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Da “Libero Quotidiano”
La dinamica. Come ha fatto a caricarla. La sua storia precedente. Questi, forse, sono i tre interrogativi che (a chi conosce questo processo) viene spontaneo farsi. Cominciamo dal terzo. Fino a prima dell' omicidio di Yara si sapeva che Massimo Bossetti raccontava balle. Menzogne clamorose. Un bugiardo seriale.
Mentiva al lavoro: inventando di avere un tumore al cervello per giustificare l' assenza in cantiere. Mentiva alla moglie, negando di fare la lampada. Mentiva ai colleghi, dicendo che di avere tentato il suicidio per amore della consorte che lo tradiva. Anche in carcere ha raccontato farse mastodontiche, come quella del sequestro di 587 mila euro all' estero, in suo danno.
Massimo Bossetti per chi lo conosce bene, prima di essere un assassino presunto, era il Favola. Un Favola senza un precedente penale, se non fosse (come poi si scoprirà) che il suo computer era zeppo di ricerche a sfondo sessuale al limite con la pedo-pornografia (reato che in ogni caso non gli è stato contestato) e, stando alla Corte attinenti al delitto. Le ricerche riguardavano principalmente il sesso con tredicenni. E Yara aveva 13 anni, ma anche il tratto delle minorenni che lui stando all' accusa ha cercato in internet.
Davvero un uomo dal simile profilo, impegnato a lavorare come un somaro, legatissimo ai figli, senza hobby né interessi (se non le schifezze sul computer) e con la fedina penale intonsa, può arrivare a compiere un delitto di tale malvagità come quello che gli viene imputato in questo primo grado di giudizio?
Ancora: come ha fatto a caricare Yara, davanti alla palestra, quel tardo pomeriggio di novembre? Se è vero che non la conosceva, come si sospetta, come ha fatto a convincerla? Il processo ha dimostrato che la bambina è salita senza ribellarsi. Eppure, lei, hanno detto tutti a cominciare dai suoi genitori, non dava confidenza agli sconosciuti. Possibile che Bossetti sia riuscito a farle cambiare idea? Quale altra bugia può avere inventato, se lo ha fatto?
letizia ruggeri pubblico ministero del processo yara bossetti
La dinamica non è chiara. Ecco il primo interrogativo, che si lega al secondo. Ma al quale, a onore della verità, i giudici rispondono nelle motivazioni. «Vero», scrivono «la dinamica del fatto resta in gran parte oscura, ma ciò non scalfisce il dato probante rappresentato dal rinvenimento del Dna su slip e pantaloni della bambina».
E la Corte argomenta così: «La collocazione del profilo genetico» di Bossetti sugli indumenti di Yara «prova non solo che l' imputato e la vittima sono entrati in contatto ma che lui è l' autore dell' omicidio e, a fronte di tale dato, le residue incertezze su dove si sono incontrati, su come la vittima sia stata indotta a salire sul suo mezzo o su quale sia stata la successione dei colpi non rilevano».
il furgone di bossetti analizzato dai ris
A sostegno di questo dato, aggiungono: «Dai tabulati telefonici si ricava che la sera del fatto, Massimo Bossetti, era sul luogo del delitto e non altrove». Dalle intercettazioni di conversazioni con la moglie, emerge «che egli quella sera rientrò a casa più tardi del solito e che neppure nell' immediato, non solo a quattro anni di distanza, lui disse alla moglie cosa avesse fatto e dove fosse stato la sera dell' omicidio di Yara».
Non solo, scrivono i giudici: «la sua attività professionale spiega l' inusuale concentrazione sul cadavere di particelle di calce e di sferette di metallo sul corpo e sui vestiti della bambina frutto di lavorazioni a caldo, di cui solo indumenti e mezzi di lavoratori del settore edilizio possono essere contaminati».
La difesa del muratore sferra il solito attacco ai giudici. Parla di mostro giuridico. E aggiunge che la Corte ha sposato in pieno le tesi del pm: «senza rispondere alle osservazioni della difesa e senza alcuna disamina critica». Il verdetto, aggiungono i legali del muratore «è la riproposizione della requisitoria del pubblico ministero implementata dal film fantasioso della corte». Gli avvocati si preparano a impugnare. Prima però, porteranno la carta a Bergamo, in modo che Massimo Bossetti possa leggerla in cella.
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