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OGNI SCUSA È BUONA PER MENARE LE TOGHE - I GIUDICI LIBERANO L’IMAM DI TORINO MOHAMED SHAHIN E LA MELONI NE APPROFITTA PER FARE CAMPAGNA ELETTORALE PER IL REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA - LA CORTE D’APPELLO HA STABILITO CHE L’IMAM, DESTINATARIO DI UN DECRETO DI ESPULSIONE PER LE SUE FRASI SUL 7 OTTOBRE (“SONO D'ACCORDO”), E A CUI SONO CONTESTATI DEI RAPPORTI CON INDAGATI PER TERRORISMO, “NON È PERICOLOSO” E HA DISPOSTO LA CESSAZIONE DEL TRATTENIMENTO PERCHÉ “ILLEGITTIMO” – INSORGONO IL VIMINALE E LA DUCETTA: “COME FACCIAMO A DIFENDERE LA SICUREZZA DEGLI ITALIANI SE OGNI INIZIATIVA VIENE SISTEMATICAMENTE ANNULLATA DAI GIUDICI?”
Caterina Stamin per “La Stampa” - Estratti
Mohamed Shahin è libero. L'imam, destinatario di un decreto di espulsione firmato da Piantedosi per le sue frasi sul 7 ottobre («sono d'accordo»), ora può riabbracciare sua moglie, i suoi due figli e tutta la comunità del quartiere San Salvario di Torino che in queste settimane hanno alzato la voce per lui.
Shahin era recluso nel Cpr di Caltanissetta dal 24 novembre ma ieri la Corte d'Appello di Torino ha accolto il ricorso presentato dai suoi avvocati e disposto la cessazione del trattenimento perché «sono emerse nuove informazioni tali da metterne in discussione la legittimità». E in serata arriva anche la decisione del tribunale di Caltanissetta che «sospende» il rigetto della domanda di asilo politico: per il momento Shahin non può essere accompagnato alla frontiera.
Il Viminale insorge. E annuncia che non farà un passo indietro sull'espulsione: il ministero dell'Interno farà ricorso in Cassazione per ottenere il rimpatrio dell'imam.
«Parliamo di una persona che ha definito l'attacco del 7 ottobre un atto di resistenza, negandone la violenza, che dalle mie parti significa giustificare, se non istigare, il terrorismo – tuona la premier Giorgia Meloni – Come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da giudici?».
Shahin, 47 anni, egiziano, da oltre un decennio è l'imam della moschea di San Salvario. Un uomo «di pace», dice chi lo conosce. Ha insegnato l'arabo alla Scuola di applicazione dell'esercito e la Costituzione italiana dentro la moschea. Ha partecipato a tante manifestazioni per la Palestina ed è proprio a un presidio, lo scorso 9 ottobre, che disse: «Sono d'accordo con quello che è successo il 7 ottobre» (giorno dell'eccidio di Hamas, ndr). Una posizione ribadita 24 ore dopo: «Condanno sempre la violenza ma il 7 ottobre è stata una reazione ad anni di occupazione». Frasi che gli sono costate un decreto di espulsione per «motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo».
I suoi avvocati, Fairus Ahmed Jama e Gianluca Vitale, hanno chiesto l'asilo politico perché, dicono, se tornasse in Egitto rischierebbe la vita in quanto oppositore del governo di Al-Sisi.
In attesa di una decisione, l'imam era stato portato nel Cpr di Caltanissetta: per chiederne la liberazione sono scesi in piazza musulmani, cattolici, valdesi, sindacati, associazioni e politici. Ieri la decisione della Corte d'Appello che ha disposto la cessazione del trattenimento. I motivi? Punto uno: il procedimento relativo alle frasi sul 7 ottobre era stato archiviato dalla Procura perché quelle frasi erano «espressione di pensiero che non integra gli estremi di reato».
Nell'ordinanza viene sottolineato che quelle parole, al di là delle considerazioni di carattere etico e morale, «in uno Stato di diritto» di per sé non possono bastare «per formulare un giudizio di pericolosità». Punto due: Shahin aveva una denuncia per blocco stradale ma la sua condotta non è stata «connotata da alcuna violenza», scrive il giudice, e l'imam era «presente sulla tangenziale assieme a numerose persone». A Shahin erano anche contestati dei rapporti con indagati per terrorismo, contatti che, secondo la Corte, sono «isolati e decisamente datati».
carlo nordio matteo piantedosi giorgia meloni – foto lapresse
Ricordando che l'imam è in Italia da 20 anni, è «integrato e inserito nel tessuto sociale del Paese» ed è «incensurato», il giudice ha accolto il ricorso, scatenando il dibattito politico.
«Chi semina odio non può restare in Italia» insorge il vicepremier Matteo Salvini.
«Chi ha letto le due ordinanze della Corte d'Appello di Torino sa che ha smentito se stessa» dice Augusta Montaruli, vicecapogruppo FdI alla Camera, mentre il capogruppo Galeazzo Bignami parla dell'«ennesimo schiaffo allo Stato».
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ALFREDO MANTOVANO. - GIORGIA MELONI - CARLO NORDIO - MATTEO PIANTEDOSI - FOTO LAPRESSE
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