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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Nella guerra senza quartiere sulle finanze vaticane, spunta un report diretto a Papa Francesco. Un appunto col quale Jorge Bergoglio - che non conosce a fondo tutti i dettagli regolamentari e finanziari della Santa sede - viene informato da altissimi prelati sui rischi di manovre spericolate sullo Ior. Il senso è il seguente: la banca di Dio continuerà a operare di fatto senza controlli per altri due o tre anni. Il riferimento - spiegato con dovizia di particolari in un documento che circola Oltretevere e indirizzato, come accennato, al Pontefice - è al prossimo esame con Moneyval, l’organismo internazionale che supervisiona la lotta al denaro sporco e al riciclaggio.
Il pericolo maggiore è per le verifiche sui conti correnti: a partire dal 2012 ne sono stati chiusi quasi 5mila, ma non si sa nulla né sull’origine di quei rapporti né sulla destinazione delle somme depositate e poi portate fuori dal Torrione di Niccolò V. Non solo. Altri timori riguardano l’attuale assetto interno sia dell’Istituto per le opere di religione sia dell’Autorità di informazione finanziaria.
La banca ha appaltato il controllo dei conti correnti a una società esterna, l’americana Promontory, nell’occhio del ciclone da agosto scorso dopo che le authority degli Stati Uniti l’hanno sospesa a tempo indeterminato perché ha violato l’embargo con l’Iran.
Una questione che crea non poco imbarazzo anche perché nell’agenzia americana lavora il figlio del presidente Ior, Jean-Baptiste de Franssu. Nelle carte dirette a Bergoglio, poi, sono riportati ragguagli e aggiornamenti sull’Aif: dove i dipendenti sono meno di 10 e non ci sono figure esperte di antiriciclaggio; ragion per cui il grosso del lavoro è svolto dai consulenti Ernst&Young (oggi EY).
Sia i movimenti di denaro contante sia quelli di moneta virtuale, insomma, corrono il rischio di beneficiare, per chi usa la banca vaticana al pari di una di un paese off shore, di una situazione ancora non ottimale. Lo Ior amministra un patrimonio da 6 miliardi di euro e le forze messe in campo dalla Santa sede per beccare operazioni sospette non appaiano adeguate. Un quadro che potrebbe scatenare l’ira di Moneyval. Ma gli ispettori antiriciclaggio torneranno nella Santa sede solo nel 2017 o nel 2018. Non prima.
Vuol dire, pertanto, che per almeno altri due anni l’Istituto di credito vaticano non subirà particolari pressioni dall’esterno. Del resto, Moneyval è l’unico soggetto abilitato a ficcare il naso negli affari interni di uno Stato per quanto riguarda le verifiche bancarie sull’antiriciclaggio. L’ultimo controllo dell’organismo che ha sede a Strasburgo risale al 2013; un altro - il primo della storia dei Sacri palazzi - era stato completato nel 2012 dopo un faticoso cammino. La prossima ispezione è quella decisiva per portare la Santa sede nella cosiddetta «white list»: uscite dalla lista nera, le finanze vaticane tuttavia galleggiano ancora in una zona grigia.
Tant’è che non sono stati riallacciati i rapporti con le banche italiane (chiusi a partire dal 2010) e sarebbero ancora bloccati una parte dei fondi depositati nel nostro Paese. Le carte segrete ripercorrono tutte le fasi della costruzione dell’impianto regolatorio, avviato da Benedetto XVI nel 2009 che l’anno successivo istituì l’Aif.
Moneyval mise piede nelle mura leonine nel 2011 e registrò un passo avanti, due indietro e poi un altro in avanti: di giorno c’era chi cercava di rispettare il compito affidato da Joseph Ratzinger (portare il Vaticano ai più alti standard internazionali), di notte «altri» smontavano tutto per lasciare spazio a manovre opache sullo Ior.
Che negli ultimi anni ha cambiato ben quattro presidenti. Dopo Angelo Caloia, cacciato nel 2009 e tutt’ora indagato, Benedetto XVI chiama Ettore Gotti Tedeschi, licenziato ingiustamente nel maggio 2012; nove mesi di «vuoto» e a febbraio 2013 arriva Ernst Von Freyberg, ma pure lui resiste relativamente poco e a luglio 2014 riceve il ben servito. Il tedesco fa spazio al francese de Franssu che secondo alcune voci potrebbe avere un orizzonte non troppo lungo al Torrione di Niccolò V; il numero uno Ior in carica era membro della Cosea, la Commissione referente per lo studio dei problemi economici e amministrativi della Santa sede al centro di Vatileak 2.
Resta un problema, poi, la collaborazione con le autorità italiane, come confermato ieri a Libero dagli uffici della Procura di Roma che gestiscono le indagini sulla banca vaticana: «Non corrispondono le informazioni che ci scambiamo» dicono da piazzale Clodio. C’è un elenco di 40 conti particolarmente significativi per il valore dei «saldi» sui quali si stanno concentrando le verifiche dei piemme della Capitale: gli accertamenti non sono stati conclusi, ma si ipotizzano i reati di «riciclaggio» ed «evasione fiscale». Altro che trasparenza.
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