
DAGOREPORT - COME DESTABILIZZARE IL NEMICO PIÙ INTIMO? SEGUITE IL METODO MELONI: AD OGNI INTRALCIO…
MA CHI L’AVREBBE MAI DETTO: LE FAMIGLIE DEI QUATTRO BAMBINI ROM CHE HANNO UCCISO LA 71ENNE CECILIA DE ASTIS, INVESTENDOLA CON UN’AUTO RUBATA, SONO SPARITE NEL NULLA. IERI SERA I RAGAZZINI ERANO STATI RILASCIATI DALLA POLIZIA (NON SONO IMPUTABILI PER LA LORO ETÀ) E AFFIDATI ALLA FAMIGLIA. ORA SARANNO LIBERI DI TORNARE A FAR DANNI DA UN’ALTRA PARTE – LA RABBIA DEI RESIDENTI VICINO AL CAMPO NOMADI: “MA QUALE RECUPERO, QUELLI SONO PEGGIO DELLE CAVALLETTE, RUBANO TUTTO, SE NON RUBANO DISTRUGGONO” – UN RISTORATORE ROMENO: “QUEI QUATTRO VENIVANO ANCHE QUI A FARE CASINO, CHIEDEVANO COCA COLA, VINO, FACEVANO RUMORE. STA SUCCEDENDO QUALCOSA DI STRANO: DI NOTTE QUI INTORNO C'È UN…”
1. MILANO, SPARITE DAL CAMPO NOMADI LE FAMIGLIE DEI QUATTRO RAGAZZINI CHE HANNO RUBATO UN'AUTO E CAUSATO UN INCIDENTE MORTALE
Estratto dell’articolo di Matteo Castagnoli e Pierpaolo Lio per www.corriere.it
I QUATTRO MINORENNI ROM CHE HANNO UCCISO CECILIA DE ASTIS A MILANO
Erano tornati a «casa» martedì sera. Di nuovo all’accampamento di via Selvanesco, a Milano. Mercoledì mattina, le tre famiglie dei quattro ragazzini che erano sull’auto (rubata) che lunedì ha investito e ucciso la pensionata 71enne Cecilia De Acutis sono sparite nel nulla. Di loro, nel piccolo campo di roulotte e camper di via Selvanesco, non c’è più traccia.
C’erano ritornati martedì sera, al termine di una lunga giornata passata al comando della polizia locale, dopo essere stati fermati per l’incidente mortale di via Saponaro, nel quartiere Gratosoglio.
Alla fine su disposizione della procura dei minorenni era stato deciso di riaffidare i quattro ragazzini - un 13enne, che era alla guida dell’auto, un 12enne e la sorellina di un anno piu piccola, e un altro 11enne - alle rispettive famiglie. […]
2. LA VITA NEI CAMPI ROM DI 112 FAMIGLIE
Estratto dell’articolo di Giampiero Rossi,Silvia Calvi per il “Corriere della Sera”
«Questi sono ragazzini allo sbando, abbandonati a loro stessi, man mano che crescono, sono sempre in giro a fare casino, magari riuniti in bande. Inutile stupirsi, se cresci in questo contesto è difficile prendere un’altra strada, hai bisogno di aiuto».
La madre di uno dei minorenni che erano sull'auto che ha ucciso Cecilia De Astis
Le parole di don Paolo Steffano grondano amarezza. Lui da prete, responsabile della Comunità pastorale del Gratosoglio — lo storico quartierone popolare dove si è consumata la tragedia di lunedì mattina — conosce la realtà ruvida delle strade di questo estremo Sud metropolitano, in cui le fragilità si sommano e si scontrano.
E conosce anche i ragazzini che ogni giorno sgusciano fuori dai campi nomadi che per loro dovrebbero essere «casa». E infatti, il prete racconta: «In questi anni abbiamo organizzato diverse attività per coinvolgerli: il doposcuola, un corso di ginnastica, il pranzo insieme una volta a settimana, li abbiamo portati anche in campeggio. I ragazzini vengono, partecipano, ma non sono costanti: la cosa difficile è riuscire a tenerli agganciati».
cecilia de astis investita e uccisa a milano 2
E ad ogni fattaccio, compresi quelli che non raggiungono le cronache, «nel quartiere si alimentano scintille di rabbia». E allora diventa difficile anche chiedere e dare solidarietà a quei bambini senza infanzia.
[…] Proprio lì vicino […] sorge il «Villaggio delle rose», nome che vezzeggia il più grande campo nomadi di Milano. È lì, in via Chiesa Rossa, dal 2002 e raccoglie 70 famiglie per un totale 260 persone tra italiani, sinti lombardi, rom harvati, provenienti da Istria e Croazia.
Oltre a questo, attualmente in città gli insediamenti riconosciuti sono quelli di via Impastato (periferia Sud-Ovest, al confine con San Donato Milanese), via Negrotto (a Nord-Ovest, a ridosso di Villapizzone e Bovisa). Tre in tutto. Ufficialmente vi abitano 112 famiglie, 416 persone.
Perché negli ultimi 14 anni il numero degli insediamenti per nomadi nel capoluogo lombardo (dopo, Roma e Napoli, terza città italiana per presenze) si è costantemente ridotto. Erano 24, punteggiavano la mappa della città e ospitavano almeno 3.000 persone.
Agli atti di Palazzo Marino risulta che l’ultima apertura — cioè proprio il Villaggio delle rose — fu deliberata nella primavera del 1999 (giunta di centrodestra, sindaco Gabriele Albertini). Poi, dal 2011, sono iniziate chiusure e smantellamenti, una ventina di aree, molte delle quali erano occupate da accampamenti abusivi. Che ciclicamente ricompaiono.
[…] «Gli abitanti del villaggio di Chiesa Rossa per metà sono minori e vanno a scuola, frequentano l’Istituto comprensivo Arcadia — spiega Paolo Cagna Ninchi, presidente dell’Associazione Upre Roma, nata nel 2009 per promuovere la cultura rom e sinti e il dialogo con le istituzioni —. Una volta c’era uno scuolabus che li portava, ma due anni fa è stato soppresso e, quando non li accompagnano i genitori, i bambini devono percorrere a piedi i due chilometri e mezzo che separano il campo dall’istituto. Non è un piccolo disagio, e anche questo contribuisce a far sentire questi bambini emarginati».
cecilia de astis investita e uccisa a milano 4
[…] Un’indagine condotta un paio d’anni fa dalla Caritas Ambrosiana riassume in modo impietoso le condizioni di vita nei campi nomadi: spazi ridotti, problemi di igiene, mancanza di servizi, in qualche caso anche dell’accesso all’acqua potabile.
Tra gli adulti, poi, domina la disoccupazione, abbinata a bassi livelli di istruzione, difficoltà ad accedere ai documenti e — non di rado — guai con la giustizia. E tutto questo, probabilmente, contribuisce al dato più impressionante denunciato dalla Caritas: una speranza di vita di 10 anni inferiore alla media nazionale.
[…]
3. "NOI POVERI, NON ANIMALI" E DAL CAMPO ROM PIOVONO PIETRE E INSULTI
Estratto dell’articolo di Maria Novella De Luca per “la Repubblica”
All'imbrunire nel campo rom di via Selvanesco le uniche luci sono quelle dei fuochi e delle collane di lampadine appese fuori dalle roulotte, resti tristi di qualche vecchio festeggiamento.
L'odore di gomma bruciata, di immondizia, di fogne a cielo aperto e di masserizie ammuffite fa lacrimare gli occhi. Due carcasse di auto semi carbonizzate, tra giocattoli rotti, bici scassate e un paio di topi morti segnano l'ingresso al campo, monito, sembra, a non avvicinarsi troppo.
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«Basta guardare ancora, non siamo cattivi, siamo poveri, andate via, mica siamo animali», dice una donna-ragazza con accento slavo, avrà forse diciott'anni, un bambino in braccio, altri due alle calcagna, la pancia grossa di un parto prossimo, l'unica che accetta di dire qualcosa, prima che le altre la fermino. «Noi vogliamo bene ai nostri figli, andavano a scuola ma scuola è lontana», mormora in una mescolanza tra italiano e slavo, i pochi uomini osservano ostili, i bambini, tanti, corrono tra cumuli di immondizia invasa da mosche.
È in questa favela malsana […] che sono cresciuti, invisibili alla società fino a quando non hanno ucciso una donna, i quattro ragazzini che hanno investito e spento la vita di Cecilia De Astis.
E allora bisogna venire qui, dove giornalisti e telecamere sono stati accolti con lanci di pietre, in questa conca sterrata che quando piove diventa acquitrino, fango e melma, di proprietà di una delle famiglie che lo abitano, per capire come possano esistere dei bambini invisibili.
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Semi adolescenti che non vanno a scuola, rubano, hanno le facce da grandi, poi un giorno il gioco diventa troppo grande e una donna muore. Dove sono cresciuti? Le anagrafi scolastiche si sono accorte della loro assenza?
[…]
Da qualche parte, ma ben nascosti e protetti dagli adulti, nel campo di via Selvanesco, i quattro ragazzini sono già tornati alle roulotte. Affidati alle famiglie, non punibili per la loro giovane età. Probabilmente poi, a meno che non scenda l'oblio, di nuovo, su questa enclave di invisibili, qualcuno dovrà pensare al loro recupero.
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«Ma quale recupero — sbotta fuori da una baracca un anziano che qui aveva il suo orto urbano — quelli sono peggio delle cavallette, rubano tutto, se non rubano distruggono. Io avevo qui le mie piante, non ho più nulla».
Perché non c'è soltanto il campo rom in quest'area coltivata a girasoli. Ci sono, chissà da quanti anni, case di lamiera, rifugi per disperati, una strana popolazione mista di persone che camminano con borse, fagotti, vecchie biciclette e carrelli della spesa con la ferraglia presa dai cassonetti.
Davanti al ristorante "Al Garghet" a poche centinaia di metri dal campo di via Selvanesco, il giardiniere romeno sta innaffiando le piante. «Qui la vita è diventata difficile. Noi al ristorante abbiamo dovuto aumentare la sicurezza. Quei quattro che hanno messo sotto e ucciso la signora, io li conosco bene, venivano anche qui a fare casino, chiedevano Coca Cola, vino, facevano rumore. Sta succedendo qualcosa di strano: di notte qui intorno c'è un gran traffico di furgoni che entrano ed escono dalla zona delle roulotte. E da quando hanno chiuso anche gli ultimi campi, loro sono sempre di più».
Loro. Favela ai margini di una città ricca e feroce che ormai esclude i giovani, le famiglie, dove la povertà aumenta, così come l'altezza dei grattacieli travolti dall'ultimo scandalo del mattone. Favela che la destra vorrebbe radere al suolo, tutti via cancellati, mentre la Caritas ricorda che l'unica strada, pur nella pretesa della legalità «sono percorsi di accompagnamento, vanno chiamate le istituzioni a esercitare il proprio ruolo».
Bisogna chiederselo allora dove erano le istituzioni mentre questi quattro ragazzini crescevano. Per intercettarli, includerli, proteggerli anche dalle loro stesse famiglie.
Perché ciò che resta, mentre scende la notte e bisogna andare via da questa periferia agreste che diventa terra di nessuno, sono il degrado, i cani randagi e il tanfo di copertoni bruciati. Niente acqua corrente, niente fogne.
Un uomo arriva a portare via la futura mamma che aveva detto qualche parola.
«Questa è la nostra zona, voi non potete entrare». Restano quattro bambini con il destino segnato, forse un futuro in comunità, o in affido familiare, cresciuti senza infanzia e senza futuro. A meno che di questi invisibili qualcuno torni a occuparsi.
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