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SIAMO ALLA FOLLIA: PER "ESSERE AUTORIZZATI" A FARE SESSO NON BASTA NEANCHE IL CONSENSO DI ENTRAMBI - UNA FARMACISTA 42ENNE FRANCESE HA DENUNCIATO IL PROPRIO DATORE DI LAVORO A TRE ANNI DALLA FINE DELLA LORO RELAZIONE SADOMASOCHISTA - I DUE AVEVANO ANCHE SOTTOSCRITTO UN CONTRATTO "PADRONE/CAGNA" - IL LORO RAPPORTO RISALE AL 2010: NEL FRATTEMPO L'UOMO È STATO CONDANNATO IN PRIMO GRADO E POI ASSOLTO IN APPELLO - ORA LA DONNA HA PORTATO IL CASO DAVANTI ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO, CHE OGGI SI PRONUNCERÀ SULLA VICENDA...
Estratto dell’articolo di Ugo Milano per www.open.online
È attesa per oggi, giovedì 4 settembre, una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la Cedu, che potrebbe ridefinire la nozione di consenso sessuale in Francia. Spingendo il paese a modificare il suo attuale indirizzo. A chiamare in causa la massima corte europea è stata una 42enne francese, conosciuta solo con le inizali E.A. per motivi di privacy.
I fatti risalgono al 2010. La donna, allora 27enne, lavorava come assistente di farmacia all’ospedale di Briey, in una cittadina nel Nord-Est della Francia. In quel periodo iniziò una relazione sadomasochista con un superiore, K.B., più grande di lei di vent’anni. Dopo tre anni di frequentazioni e incontri violenti, la donna lo denunciò per stupro aggravato, violenze fisiche e psicologiche, molestie e aggressioni sessuali.
Il procedimento giudiziario ha avuto un percorso controverso: condannato in primo grado per violenze volontarie e molestie, K.B. è stato assolto in appello nel 2021. Secondo la Corte d’appello di Nancy, infatti, la relazione era da considerarsi consensuale, anche in virtù di un contratto firmato dai due e definito «padrone/cagna», che regolava le dinamiche della coppia.
Esauriti i ricorsi interni, E.A. ha portato il caso davanti alla Cedu, sostenendo che la giustizia francese non le abbia garantito una protezione adeguata, anzi, i suoi avvocati parlano di «vittimizzazione secondaria» durante i processi.
In particolare durante l’appello, la donna si sarebbe sentita colpevolizzata da domande e commenti inopportuni da parte dei giudici. «L’udienza è stata descritta come un incubo», ha raccontato Nina Bonhomme Janotto, avvocata dell’Associazione europea per la prevenzione della violenza contro le donne sul lavoro che è anche parte civile nel procedimento.
La questione centrale riguarda la definizione di stupro nel diritto francese, che oggi presuppone la prova di una «penetrazione imposta con violenza, costrizione, minaccia o sorpresa». Per i difensori della ricorrente, questa formulazione non tutela pienamente le vittime, soprattuto quelle che si trovano in una situazione di squilibrio. E per i suoi difensori era proprio quella la circostanza in cui si è ritorvata l’allora 27enne: giovane, isolata e legata all’ospedale che le aveva pagato gli studi.
«La Corte d’appello si è limitata a constatare che esisteva un contratto e che lei non si era opposta in maniera netta. Ma non si è chiesta se quel consenso fosse davvero libero e consapevole», spiega l’avvocata Marjolaine Vignola. In Francia è già in discussione una proposta di legge che vorrebbe cambiare la definzioni di stupro in «qualsiasi atto sessuale non consensuale» e un’accezione di consenso «libero e informato, specifico, preventivo e revocabile». [...]
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