DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
1.”AVEVANO LA FACCIA NORMALE, POI GLI SPARI E SOLO SANGUE”
Anais Ginori per “la Repubblica”
Fuori dal Bataclan i camion della morgue portano via i cadaveri delle ottantanove vittime. “Eagle” è scritto sull’insegna gialla che i proprietari hanno voluto tenere accesa come segno di resistenza. Dopo aver scaldato il pubblico, il gruppo Eagles of Death Metal stava cantando “Kiss the Devil”, una strofa che dice così: “I meet the devil and this is his song”.
Il Diavolo è arrivato davvero, con le sembianze di ragazzi normali. «Non avevano facce feroci o indemoniate », ricorda Célia che ha visto i tre terroristi da vicino. Con suo marito, Benjamin, aveva lasciato i figli a casa per regalarsi una serata adolescenziale. Concerto sold out da tempo per la band californiana, millecinquecento spettatori pigiati e felici dentro al Bataclan, all’incrocio tra il boulevard Voltaire e il boulevard Richard Lenoir.
La coppia, lui giurista e lei architetto, era entrata con slancio nel grande edificio colorato, riconoscibile dalla sua bizzarra architettura asiatica di fine Ottocento, quando andavano di moda le cineserie. Negli ultimi anni, il teatro aveva ricevuto minacce da gruppi islamici dopo aver ospitato serate di associazioni ebraiche o filo-israeliane. Non era stata organizzata una sicurezza rafforzata, neppure dopo gli attacchi a Charlie Hebdo, a poche centinaia di metri, e all’Hyper Cacher. Per gli ultimi dieci mesi, Parigi si è cullata nell’illusione che gli attentati di gennaio fossero solo un brutto incubo, mentre invece erano una prova generale per spostare più avanti l’asticella dell’orrore.
È buio dentro al Bataclan quando scoppiano i primi spari. Per qualche secondo, Célia e Benjamin pensano a dei petardi, a un piccolo spettacolo pirotecnico, poi tutto diventa chiaro. Qualcosa sfiora le cosce della donna: un frammento di proiettile. La band scappa dal palco, le luci si accendono sulla sala. Insieme al marito, Célia si butta a terra, travolta dalla calca. «Sentivo che Célia era vicino a me, senza poterne distinguere il viso», racconta Benjamin.
L’architetta riesce a intravedere i tre assalitori, a viso scoperto. Due sono vestiti di nero, tratti mediorientali. «Avranno avuto vent’anni», dice Célia. L’esame sui resti dei cadaveri conferma che uno degli assalitori è francese, nato in una banlieue parigina: avrebbe compiuto vent’anni il 21 novembre. Il terzo terrorista, più corpulento e meno giovane, indossa giubbotto chiaro, ha barba corta. Il commando è calmo, spietato. Il trio parla francese. «Avete ucciso i nostri fratelli in Siria, ora siamo qui». Alcuni testimoni hanno sentito: «È colpa del vostro Presidente», di François Hollande e della decisione di lanciare raid contro l’Is.
Le raffiche continuano, con brevi interruzioni per ricaricare i fucili d’assalto. Un corpo cade addosso a Benjamin. «Grondava sangue addosso a me». Un’altra donna vicina alla coppia è ferita. Gli spari vanno avanti, il commando è professionale, determinato. Un uomo anziano prende una pallottola in testa. «I miei occhiali — ricorda Benjamin — si sono macchiati di brandelli di carne, non vedevo più nulla». In pochi minuti, le vittime sono già decine, cominciando dai vigilanti all’ingresso, uccisi appena gli assalitori scendono dalla loro Polo Nera, ancora parcheggiata su boulevard Voltaire. Spingono la porta a vetri, sparano, proseguono nel piccolo corridoio, tra biglietteria e guardaroba. La porta si apre sulla sala.
I terroristi si concentrano sulla platea poi salgono sugli spalti. Uno di loro avverte: «Se qualcuno muove il culo, gli sparo». Alcuni spettatori tentano di prendere il loro cellulare, vengono giustiziati davanti agli altri. Alcuni spettatori scoprono un’uscita di emergenza, escono. Un terrorista se ne accorge, si affaccia da una finestra per colpirli. Il giornalista di Le Monde, Daniel Psenny, abita sopra al Bataclan, riprende la fuga in un vicolo laterale.
Si vede una donna appesa a un cornicione. «Aiutatemi, sono incinta». Un uomo trascina un ferito a terra. Il giornalista scende per offrire riparo, viene colpito al braccio.
Mentre gli assalitori inseguono gli ostaggi, Célia e Benjamin scappano dall’ingresso principale, insieme ad altri. Anche la band riesce a mettersi in salvo. Dentro, i sopravvissuti restano a terra, tra cadaveri e feriti.
Un piccolo gruppo sale in cima al teatro, nascondendosi nel sottotetto. Dal nascondiglio si sentono le raffiche, poi improvvisamente le detonazioni. È l’assalto delle forze speciali. I terroristi attivano i loro giubbotti esplosivi.
L’attesa e l’angoscia non finiscono. Per ore, non ci sono certezze sull’identità delle vittime, sui social network le famiglie pubblicano strazianti messaggi di ricerca. Sfilano volti di giovani di cui non si hanno notizie. Centinaia di sopravvissuti, avvolti in coperte termiche, sono interrogati dagli investigatori nel palazzo del municipio dell’undicesimo arrondissement.
Il quartiere è stato colpito da due attentati in meno di un anno. Sul boulevard Voltaire avevano marciato i capi di Stato per sfidare il terrore. La risposta è stata un macabro rodeo tra café e brasserie fino al Bataclan, espressione popolare per definire un gran casino. “On vous aime Paris” aveva urlato la band californiana all’inizio del concerto. L’amore, purtroppo, non basta mai.
Macchie di sangue vicina all'uscita secondaria del Bataclan
2. “CI SPARAVANO ADDOSSO COME SI FA CON GLI UCCELLI”. FERITO ANCHE UN ITALIANO SCAMPATO ALL’HEYSEL
Michele Farina per “Il Corriere della Sera”
Nelle case. Per strada. In teatro. Francesi e no. Vivi (e infermieri) per caso. Ecco alcune testimonianze, riportate sui media. La Parigi degli sfiorati. Magari salvati due volte, come Massimiliano Natalucci, di Senigallia, che 30 anni fa scampò alla strage dell' Heysel e venerdì è scampato al Bataclan con escoriazioni a una gamba, mentre l' amica Laura Apolloni dovrà essere operata per una scheggia alla spalla.
Ouidad Bakkali , assessore alla Cultura di Ravenna: «Al ristorante Le Petit Cambodge non c' era posto. Siamo andati di fronte, al Carillon, a bere qualcosa. Sentendo gli spari ci siamo buttati a terra. Le pallottole si conficcavano nei muri».
Cesar Lardon, sopravvissuto al Bataclan, e le sue scarpe macchiate di sangue
La signora Antonella: «Vado a Parigi a riprendere mia figlia».
La mamma di una studentessa diciassettenne del liceo Virgilio di Roma ieri era a Fiumicino, in partenza per una destinazione poco gettonate in queste ore. La ragazza è nella capitale francese per uno scambio didattico: «Venerdì sera era con un' amica in un ristorante vicino al Petit Cambodge, dove sono morte decine di persone. Ha visto passare i terroristi. E' rimasta nascosta sotto il bancone del bar fino alle 2 di notte».
Julien Pearce, radio reporter: «Ero in alto, dalla parte del palco. Ho visto due tizi entrare nel teatro. Molto calmi, molto determinati. Hanno cominciato a sparare sulla gente. Erano vestiti di nero, a capo scoperto. Uno con la faccia da ragazzo. Sembravano tipi normali, con la differenza che rispetto a noi spettatori loro imbracciavano i kalashnikov. Lui e l' altro stavano sul fondo e sparavano. Non si muovevano. Ci sparavano addosso come a caccia, come fossimo uccelli. Dieci minuti così.
Dieci spaventosi minuti: tutti sul pavimento cercando di coprirci la testa. La gente gridava. I due hanno ricaricato l' arma tre o quattro volte. In una di queste pause sono riuscito a fuggire e a nascondermi».
Un ragazzo uscito dal teatro: «Ero sdraiato, la ragazza di fianco a me era morta. Uno degli assalitori gridava: "Tutta colpa del vostro presidente"».
Isabella , 51 anni, architetto: «Stavamo chiacchierando in cucina. Abbiamo sentito i botti.
Questi non sono petardi, ha detto un amico. Dalla finestra ho visto un tizio vestito di nero che sparava col kalashnikov. Ho chiamato mio figlio al telefono, era in piazza della Repubblica, gli ho detto di mettersi al riparo.
Chiusa la finestra, spenta la luce. In strada un uomo si teneva il fianco. Siamo scesi giù, l' abbiamo tirato dentro. Ferito in più punti, perdeva sangue. Sono risalita. Al telefono un pompiere mi ha spiegato come fare con l' emorragia premendo sulle ferite. Fuori si sentivano raffiche.
È arrivato un poliziotto, hanno portato via il ragazzo. Verso il Bataclan ho visto un pompiere con un bimbo ferito in braccio: si era tolto il casco per non fargli paura. È suonato il cellulare lasciato dal ragazzo ferito. Era sua madre. È all' ospedale, non sappiamo in quali condizioni».
Yvan : «Claire festeggiava il compleanno della migliore amica al concerto. Il suo telefono non risponde. Dovevamo fidanzarci tra tre settimane. Non so se la rivedrò».
Il gestore , Comptoir Voltaire, vicino a place de la Nation: «Il kamikaze si è seduto. Ha ordinato. E subito dopo si è fatto esplodere. La cameriera, Catherine, è stata ferita al torace e all' addome. Non dovrebbe essere in pericolo. Con lei una quindicina di clienti sono rimasti feriti. È morto solo l' attentatore».
Florian , 43anni, cameriere: «Perché hanno voluto colpire il Carillon? Forse perché questo bistrot è il simbolo di una bella integrazione in atto nel quartiere? Un melange tra i vecchi abitanti, classe popolare, e i nuovi borghesi, i bobos».
Mathieu , 29 anni: «Uscendo dal lavoro ho preso un' auto Uber. In Rue de Charonne c' era una berlina nera con la portiera aperta. Un uomo con il kalashnikov sparava a raffica verso il bar la Belle Équipe. Ci siamo abbassati. Proiettili ovunque. Abbiamo fatto inversione, gente che gridava dappertutto ».
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