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“LA DERIVA DELLA NOSTRA SCUOLA HA PRECISE RESPONSABILITÀ POLITICHE” – LO STORICO GIANNI OLIVA REPLICA A MASSIMO CACCIARI, CHE HA DENUNCIATO “UNA SCUOLA CHE PERSEGUE L'OBIETTIVO DI ADDOMESTICARE IL GIOVANE AL MERCATO, OSSESSIONATA DALLA PEREGRINA IDEA DELLO ‘SBOCCO OCCUPAZIONALE’, IL TRIONFO DELL'ORDINAMENTO BUROCRATICO” – PER OLIVA “UN PASSAGGIO CHIAVE È STATA LA RIFORMA MORATTI DELLE ‘TRE I’ (INGLESE, IMPRESA, INFORMATICA), VARATA NEL 2003, PENSATA PER PREPARARE I GIOVANI ALL’INSERIMENTO NEL MONDO DEL LAVORO. UNA RIFORMA CHE HA SMANTELLATO L'ISTRUZIONE UMANISTICA SENZA SOSTITUIRLA CON ALTRO…”
LA CRISI DELLA NOSTRA SCUOLA HA PRECISE RESPONSABILITÀ POLITICHE
Estratto dell’articolo di GIANNI OLIVA per “La Stampa”
la crisi della scuola in italia
Mali aggrovigliati di una scuola senza identità. Massimo Cacciari ne ha tracciato un profilo giustamente severo su La Stampa di ieri, descrivendo un sistema oppresso dalla burocrazia e ingessato in un metodologismo astratto, dove il successo formativo si misura solo sulla percentuale di coloro che finiscono il corso negli anni previsti e dove lo Stato abdica alla sua funzione politica essenziale, quella di investire nella formazione.
Difficile non concordare con il pessimismo che emerge dalle sue riflessioni. Nella deriva della nostra scuola ci sono tuttavia passaggi che richiamano a precise responsabilità politiche. Il primo, di carattere generale, è il "sessantottismo", cioè la riduzione di ciò che erano state le rivendicazioni del '68 a "volgarizzazioni" sin troppo semplicistiche.
Contestare il classismo del sistema, la selezione fondata sulle origini sociali, l'algida distanza tra "cattedra e "banchi", così come fece don Milani nella Lettera a una professoressa, significava porre al centro dell'attenzione il tema della "scuola e del "sapere" per lanciare la sfida di un modello di istruzione nuovo:
i figli bocciati dei contadini appenninici, raccolti a Barbiana, studiavano in una dimensione di gruppo anziché nella competizione per il voto più alto; imparavano l'italiano attraverso il linguaggio della Costituzione o dei quotidiani, anziché nelle pagine del Manzoni; applicavano la matematica calcolando le voci delle buste-paga, il valore d'acquisto dei salari, l'andamento dei prezzi.
Barbiana non poteva e non voleva essere una risposta ai problemi, ma era uno spunto per cominciare a porsi domande e cercare soluzioni al modello gentiliano, che allora era vecchio di mezzo secolo (e oggi di ben 102 anni, visto che fu varato nel 1923). […]
La politica non seppe o non volle rispondere: anziché una riforma del sistema formativo, furono via via "tolti dei pezzi" all'esistente, sgomberando il campo dai motivi di maggiore frizione.
È nata così la liberalizzazione degli accessi alle università, con il risultato di facoltà all'improvviso investite da numeri decuplicati di iscritti, costrette ad immettere in cattedra senza selezione docenti giovanissimi, spesso privi della preparazione necessaria (e destinati a "bloccare" le carriere universitarie alla generazione immediatamente successiva);
letizia moratti congresso forza italia
è nata così la maturità con due scritti e due orali (su quattro materie sorteggiate), con il risultato che nell'ultimo anno nessuno studiava le discipline non caratterizzanti; è nata così la progressiva sostituzione delle interrogazioni orali o degli elaborati scritti con i test a crocette, che hanno come effetto immediato la disabitudine all'elaborazione organica del pensiero.
Colpa del '68 e delle sue degenerazioni? O non piuttosto colpa della classe dirigente della Prima Repubblica, incapace di essere davvero "classe dirigente" e, dunque, di elaborare un progetto nuovo anziché smantellare l'impianto vecchio? Inutile ripercorrere le conseguenze di tutto questo: sono sotto l'occhio di chiunque abbia dimestichezza con la scuola (come docente, studente o genitore).
Un secondo passaggio chiave è stata la riforma delle "tre i" (inglese, impresa, informatica), o riforma Moratti, varata nel 2003 (anche se i ritardi nei decreti attuativi e i cambi di maggioranza hanno impedito che il percorso si realizzasse per intero). L'idea di fondo era preparare i giovani in funzione del loro inserimento nel mondo del lavoro: tanta informatica, perché è il fondamento della nostra contemporaneità tecnologica; tanta impresa, con i suoi valori di efficientismo, tagli degli sprechi, flessibilità, crescita; alternanza scuola-lavoro, per abituarsi alla realtà verso la quale ci si prepara.
Si trattava di etichette buone per la campagna elettorale, inventate senza fare i conti con la realtà (dove sono i laureati in informatica pronti ad andare ad insegnare a 1.400 euro al mese? Perché un imprenditore dovrebbe organizzare in modo serio l'alternanza, distaccando a sue spese qualche dipendente come formatore? Che cosa significa, nel concreto, educare all'efficientismo o alla flessibilità?). A parte ogni considerazione tecnica, è questo lo scopo della scuola?
Preparare al lavoro? Non è invece quello di preparare i giovani a inserirsi nella società, che certamente è fatta di lavoro, ma prima ancora di conoscenze, di consapevolezze, di curiosità intellettuali, di responsabilità sociali? Che, cioè, è fatta di "cultura"? Anche in questo caso i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la riforma delle "tre i" ha smantellato l'istruzione umanistica senza sostituirla con altro. Meno storia, meno filosofia, meno italiano, «un'infarinatura di impressioni generiche» (come la chiama Cacciari).
E l'unica "i" davvero essenziale, l'inglese, continua ad essere lingua straniera, anziché essere insegnata sin dalle elementari come "lingua 2".
Semplicemente, oggi si fa "meno" quello che prima si faceva "un po' di più" (al netto delle doverose eccezioni, perché, nel marasma della scuola, ci sono ancora docenti che mantengono la "barra dritta"!).
EDUCARE È LIBERARE
Estratto dell’articolo di Massimo Cacciari per “La Stampa”
massimo cacciari a otto e mezzo 5
Quale dovrebbe essere il compito fondamentale di uno Stato? La risposta che ci proviene dalle voci che stanno all'origine della nostra civiltà è una sola: nutrire, allevare ed educare i giovani. Nutrire e allevare il loro corpo, formare ed educare la loro anima. Nella loro indissolubile unità. Di che cosa infatti dovrebbe avere massima cura una città, una polis retta secondo ragione, se non della propria forza e della propria durata?
[…] È un'idea gerontocratica dell'educazione quella che la riduce essenzialmente a trasmissione di saperi. Educare, come dice la stessa parola, significa trarre fuori dal giovane la potenza che già è in lui, aprire la sua mente, i suoi occhi, e non informarlo di ciò che padri e nonni hanno compreso e vissuto. Educare significa liberare.
la crisi della scuola italiana
Il peccato mortale della nostra politica consiste nell'ignorare tutto ciò. Il suo fallimento è palese, ma ci si ostina a nasconderlo. I dati lo denunciano impietosamente. La sfiducia nelle capacità formative del nostro sistema cresce con disarmante regolarità.
I laureati nella fascia d'età 25/34 anni sono il 30% (ma al Sud solo il 20%), il 10% in meno rispetto alla media europea. Di questi laureati quelli che prendono la via dell'emigrazione crescono ogni anno dall'inizio del nuovo millennio, passando da qualche centinaio a parecchie migliaia.
Chi trova lavoro in patria lo ottiene, nella stragrande maggioranza dei casi, irregolare e sottopagato. E per ogni capitolo di questo dramma il Sud vede peggiorare la propria situazione rispetto al Centro-Nord. Sono dati a disposizione di tutti, non opinioni.
la crisi della scuola in italia
La formazione delle nuove generazioni non rappresenta la priorità della nostra politica. E una politica che nella sua agenda non esprime questa priorità cessa di avere un qualsiasi futuro.
[…] Nella sua politica per la scuola una classe dirigente ha sempre espresso, cosciente o no, nel modo più chiaro il proprio livello culturale e la propria strategia complessiva. L'assetto della scuola è lo specchio più veritiero della sua qualità. Quale idea di società emerge dagli attuali ordinamenti?
Una confusa contrapposizione al modello classista gentiliano ha condotto a inseguire quello di una scuola "al servizio" del sistema economico-produttivo. Una scuola che tradisce il suo stesso etimo per diventare nec-otium, negozio, una sorta di pre-lavoro. Modello non solo culturalmente odioso, ma semplicemente idiota, poiché esso prefigura una scuola che si troverà sempre in costante ritardo rispetto alle trasformazioni organizzative e tecnologiche.
[...]
Tutto si tiene. Una scuola, a tutti i gradi, che persegue l'obbiettivo di addomesticare il giovane al mercato, ossessionata dalla peregrina idea dello "sbocco occupazionale", sarà necessariamente il trionfo dell'ordinamento burocratico, del controllismo formale. L'oppressione burocratica schiaccia l'autonomia didattica, omologa al basso, rende vacua chiacchiera ogni selezione meritocratica.
L'insegnante ha sempre meno tempo per leggere, studiare, continuare a formarsi; produzione di riunioni per mezzo di riunioni, redazione di piani e progetti, rendiconti continui non sulle proprie conoscenze, ma sull'osservanza di procedure e metodi soffocano il suo spirito di iniziativa. Come ha bene spiegato Ivano Dionigi nel suo libro Magister ormai la scuola non la fanno i maestri, ma i ministri.
È il sistema dell'universale sorveglianza. Tutto si svolge sotto il timore della punizione. Non hai seguito la regola, non hai riempito con diligenza i moduli prescritti, la controversia legale, magari fino al Tar, sta in agguato. Per essere tranquilli, obbedisci ai comandamenti ministeriali, per quanto stupidi possano essere e anche se ciò ostacola fino a impedirla la tua volontà di crescita intellettuale, di cambiare, di innovare dove le cose non ti sembra funzionino.
Bada anzitutto al "successo formativo", che si misura sulla percentuale degli studenti che finiscono il corso negli anni previsti. "Successo formativo" significa perciò non avere "bocciati", non avere "fuori corso". Il "sindacato Famiglia" vigila che così sia. La meritocrazia può attendere, anche perché quale meritocrazia potrebbe esserci in un regime che non ha alcuna politica per un reale diritto allo studio?
L'astratto metodologismo imperante determina anche i piani di studio. La competenza disciplinare lascia il posto a indigeribili melting pot specie nelle materie cosidette umanistiche, infarinature di impressioni generiche su letteratura, arte, storia, invece di letture dirette, poche ma solide, conoscenze specifiche, limitate ma reali, fondate.
Il "politicamente corretto" completerà l'opera di metamorfosi della conoscenza disciplinare in chiacchiera universalistica. Così non si educa il giovane e così lo Stato abdica alla sua funzione politica essenziale. Docenti e studenti debbono allearsi nel combattere questa intollerabile situazione. Solo da questa lotta può nascere anche una nuova èlite politica, una nuova classe dirigente del Paese.
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