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“LA PAROLA GENOCIDIO? DOPO AVERLA USATA SONO STATO BOICOTTATO” - LO SCRITTORE ISRAELIANO DAVID GROSSMAN TORNA A PARLARE DEL DIFFICILE RAPPORTO CON IL SUO PAESE: “C'È STATA UNA REAZIONE MOLTO BURRASCOSA E OSTILE. SI È DETTO DI SMETTERE DI COMPRARE I MIEI LIBRI, QUALCUNO LI HA BUTTATI PER LA STRADA, ALTRI HANNO MINACCIATO DI BRUCIARLI. NON HO POTUTO NON USARE QUELLE PAROLE ALLA LUCE DEI 66MILA PALESTINESI UCCISI. ERRORI E CRIMINI VANNO RICONOSCIUTI OGNI GIORNO, MA VOGLIO CONTINUARE A VIVERE IN ISRAELE PER CAMBIARE QUESTA SOCIETÀ DA DENTRO. AL MOMENTO NON ABBIAMO ANCORA TROVATO LA CASA CHE SOGNAVAMO. QUESTA È SOLO UNA FORTEZZA…”
1 - GROSSMAN: "OSTILITÀ IN ISRAELE PER AVER PARLATO DI GENOCIDIO"
Estratto dell’articolo di Ottavia Giustetti per “la Repubblica”
Ostinatamente innamorato di Israele, nella sua bellezza e nella sua bruttezza: «L'unico luogo dove voglio continuare a vivere, per cambiare questa società dal di dentro, perché diventi davvero un giorno la casa che noi ebrei cercavamo». Lo scrittore israeliano David Grossman, ospite del festival Radici al Circolo dei lettori di Torino, torna a parlare del rapporto con la sua terra.
E racconta quel che è accaduto dopo che — dice — «ho smesso di scegliere le parole con delicatezza, e ho pronunciato la parola genocidio». «C'è stata una reazione molto burrascosa e ostile […] Non c'è stato alcun dialogo […] Si è detto di smettere di comprare i miei libri, qualcuno li ha buttati per la strada, altri hanno minacciato di bruciarli.
È stato molto doloroso ma non ho potuto non usare quelle parole alla luce dei sessantamila palestinesi uccisi, di cui diciannovemila bambini».
E ciononostante Grossman non vorrebbe andarsene da Israele, perché, dice «molto più importante che stare in un luogo accogliente, è stare in un luogo dove si può fare la differenza […]». Lo scrittore, che nel 2006 ha perso un figlio nella guerra del Libano, ne parla con la voce rotta dalla commozione.
Non dimentica le atrocità compiute anche dal terrorismo palestinese. «Voglio continuare a lottare per evitare che noi ebrei rimaniamo per sempre le vittime — dice —: dopo 76 anni di sovranità e di indipendenza non abbiamo ancora trovato la casa che sognavamo. Questa, per ora, è solo una fortezza».
2 - DAVID GROSSMAN: “ISRAELE HA COMPIUTO ERRORI E CRIMINI DOVEVA ESSERE CASA, NON FORTEZZA”
Estratto dell’articolo di Fabiana Magrì per “la Stampa”
David Grossman si presenta afono di fronte alla platea del Circolo dei Lettori di Torino. Ma alla sua voce morale è sufficiente sussurrare per farsi sentire.
E con quella voce, Grossman ribadisce: «È nel mio Paese che voglio continuare a vivere e lottare. E trovare le parole per descrivere quello che prima sembrava indescrivibile. Israele è ancora il Paese che amo, a cominciare dal fatto che per la creazione letteraria, uso la mia lingua.
Sento il dovere intellettuale di cambiare la società dal di dentro, perché riconosco in Israele i contorni di bellezza e bruttezza, di errori e crimini che vanno riconosciuti ogni giorno. Tanto a noi quanto ai palestinesi, che da più di un secolo vivono assediati da regimi terribili. Non soltanto il nostro – anzi, forse noi non siamo nemmeno i più crudeli – ma anche i terroristi di altri Paesi».
La conversazione, nell'ambito dell'ultimo incontro di "Radici. Il festival dell'identità (coltivata, negata, ritrovata)", ruota attorno al ruolo dello scrittore di fronte alla Storia. A incalzare l'autore israeliano, con sapienza e delicatezza, è Giuseppe Culicchia.
Per Grossman, serve «coraggio» per «trovare il modo di coesistere con la memoria» del 7 ottobre e della Shoah, traumi che «non si possono dimenticare». […]
«Ora che c'è la tregua, il genocidio si è fermato», dice come tirando un sospiro di sollievo. Quando ruppe il tabù e usò – in un'intervista con La Repubblica, ad agosto – il termine più controverso della guerra di Israele contro Hamas a Gaza, le reazioni in patria furono «burrascose, ostili. Non c'è stato dialogo, c'è stato quasi un boicottaggi […]». Ma, ancora oggi, difende la decisione di quel momento: «Non ho più potuto non usare quella parola, alla luce dei 60.000 palestinesi uccisi, di cui 19.000 bambini».
[…] «Israele – continua – è stata creata perché il popolo ebraico non fosse più vittima ma perché potesse finalmente avere una casa nel mondo. Dopo 76 anni di sovranità e di indipendenza, non abbiamo ancora trovato il modo». Torna sul concetto di Israele come «fortezza» – ne aveva scritto approfonditamente nell'editoriale del 1° marzo del 2024 sul New York Times – che «non abbiamo ancora reso casa nostra, dove potremo vivere anche accanto ai nostri vicini. Non so se riuscirò a vederlo nel corso della mia vita». […]
[…]il pensiero dell'autore corre a Trump «al modo in cui concepisce il mondo ma anche il modo in cui lui sta nel mondo, parla e si comporta, come diffonde idee e notizie false». Dice che il presidente Usa «ha creato un'altra realtà e noi siamo cioè intrappolati in Trump, in questo mondo trumpiano, che credo sia collegato anche a quello che sta succedendo sul fronte tecnologico».
Lo sguardo, a 71 anni, è ancora quello che ricorda di aver sempre avuto da bambino: «curioso, interessato, assetato di sapere». Il linguaggio del corpo, invece, è quello di un uomo maturo, pacato, riflessivo. Non è così quando lavora: «Scrivo muovendomi sempre, in cerchio... Mia moglie si lamenta perché lascio i segni sul tappeto», scherza. Poi spiega: «Ho la sensazione che il movimento mi consenta di vedere le cose da diversi punti di vista, di cogliere le diverse prospettive senza rimanere bloccato in una situazione. Questa libertà la trovo soltanto quando riesco a muovermi».
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la torre mushtaha a gaza 3
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