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Greta Sclaunich per www.corriere.it
La settimana scorsa ho pubblicato la storia di Roby, 44 anni, che raccontava la sua doppia vita: quella «normale» con la moglie (che sa delle sue inclinazioni ma non le condivide) e quella da slave con la sua Mistress. Sulla rubrica #sessoeamore di questa settimana, invece, trovate l’altra storia: quella di Anna, la Mistress. Finora ho ricevuto diverse storie di bdsm (acronimo che sta per bondage, disciplina, sadismo e masochismo) ma sempre con l’uomo nella parte del Master e la donna in quella della slave.
Stavolta le parti sono invertite ed è per questo che ho scelto di pubblicare questa storia. Parlando con Anna e Roby (li ho sentiti al telefono sia insieme sia separatamente) abbiamo discusso a lungo di come sia forse più difficile per un uomo che per una donna mostrare questo suo lato: ci si aspetta sempre che sia lui a incarnare il ruolo dominante nella coppia. Eppure sono pronta a scommettere che nel mondo del bdsm ci siano tante Mistress quanti Master – insomma, il ruolo «forte» della coppia può essere sia di lei che di lui. E viceversa, certo.
Ammettendo che si possa definire «debole» chi ricopre la parte dello slave: ci vogliono forza, determinazione e convinzione per accettare di mettersi al servizio di un’altra persona. Il sesso? Diversamente da ciò che cinema e letteratura ci hanno abituati a immaginare c’entra, ma fino a un certo punto: come mi hanno spiegato Anna e Roby queste relazioni vanno oltre, sono «penetrazioni mentali» più che fisiche che, sottolineano, «per noi sono più coinvolgenti del sesso tradizionale». Che infatti spesso resta sullo sfondo o non c’è proprio.
LETTERA DI UNA LETTRICE AL “CORRIERE”
Mi chiamo Anna, ho 49 anni e sono una Mistress. Non pensate che giri avvolta in corsetti di latex, tacchi a spillo e slave tenuti al guinzaglio: ho un lavoro normale, una famiglia e sì, certo, anche alcuni schiavi. Con loro «gioco». Definiamo così, nel gergo bdsm (acronimo che sta per bondage, disciplina, sadismo e masochismo), gli incontri erotici. I rapporti però non si esauriscono in sessioni di gioco, comunque molto belle e intense.
Con i miei slave faccio anche passeggiate, mi incontro per bere un caffè o vedere una mostra e spesso i soli ordini che dò loro riguardano i panni da stirare o i piatti da preparare per cena. Perché il loro piacere è servirmi, che si tratti di cucinare, riordinare la casa o spazzare il pavimento. Il sesso «tradizionale», inteso come un rapporto fisico con penetrazione, c’entra poco o niente – anche perché mi succede di «imporre» loro la castità.
Contrariamente a ciò che mi succede nelle relazioni di coppia normali, nelle quali non sono mai gelosa dei miei partner, lo sono invece molto dei miei schiavi. Con loro, infatti, si creano legami molto forti: io la definisco una «penetrazione mentale», che per noi è più coinvolgente del sesso tradizionale.
Come mi sono «scoperta»
Ho sempre saputo di avere quest’attitudine. Però quando ero adolescente non era semplice confrontarmi su questo tema: non c’era internet e di libri e film sul bdsm se ne trovavano pochi. Quei pochi spesso avevano per protagonista un Master uomo e una slave donna e magari finivano con il lieto fine di una storia d’amore. Così le mie storie, compresa quella con mio marito, sono state «tradizionali».
Tutto è cambiato, però, quando qualche anno fa mi sono separata. Mi sono iscritta a un sito di dating e tra i profili degli uomini mi ha colpito quello di uno che si diceva pronto ad accontentare e servire una padrona. Mi ha incuriosito, così gli ho scritto. Un po’ per caso e un po’ per gioco è iniziata la mia attività di Mistress. Attività che ora tengo nascosta: non perché me ne vergogni, ma perché sono riservata. Non escludo, per esempio, di parlarne apertamente con i miei figli quando saranno grandi.
I miei slave
Per il momento la vivo in maniera parallela rispetto alla mia vita «normale»: ho conosciuto e frequentato diversi schiavi, costruendo con loro rapporti molto intensi. Sono persone colte, raffinate. Anche molto belle. Spesso hanno storie già avviate e consolidate con donne che non sanno nulla di queste loro inclinazioni e con le quali hanno rapporti «tradizionali». Però, in parallelo, sono devoti a me. Niente giochi psicologici e torture mentali: la base è sempre il rispetto. Quando dò degli ordini ai miei schiavi lo tengo sempre a mente. Insomma, avete presente «50 sfumature di grigio»? Ecco, dimenticatelo: per me è quanto di più lontano esista da un rapporto bdsm.
Cos’è, per me, il bdsm
Per esempio, io ed i miei schiavi non abbiamo rapporti sessuali, se non di rado: il piacere di uno schiavo è servire la sua padrona e per me, la padrona, il piacere è farmi servire. Si tratta di un piacere mentale, insomma, molto diverso da quello fisico. Il sesso tradizionale non è scomparso dalla mia vita, ma devo dire che è molto meno importante rispetto a prima.
La svolta vera e propria, per me, è arrivata il giorno in cui il mio primo schiavo si è buttato a terra e ha omaggiato i miei piedi leccandomi le scarpe: ho provato una vertigine mentale che non mi sarei mai aspettata. Molti schiavi, nella loro venerazione per le Mistress, arrivano infatti ad adorare anche gli oggetti dei quali le padrone si circondano. Scarpe, ma anche capi di vestiario. Mi è capitato di far felice un uomo semplicemente inviandogli una foto della mia scarpiera. Dove non ci sono solo decollettes con i tacchi a spillo: a lui, a loro, piacciono anche gli scarponi da montagna. L’importante è che siano oggetti che appartengano a me.
master r e mistress coupleMISTRESS XENA
Anna, 49 anni
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