CHI UCCISE L’UOMO IN FRACK? UN NUOVO LIBRO GETTA OMBRE SULLA MORTE MISTERIOSA DI RAIMONDO LANZA DI TRABIA CHE, SECONDO LA VERSIONE UFFICIALE DELL’EPOCA, SI SUICIDO' - NON E' CHE IL DANDY E PLAYBOY ARISTOCRATICO FU SUICIDATO?

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Natalia Aspesi per "la Repubblica"

Poco prima di morire lo zio Galvano le sussurrò: «Non si è ucciso». Chi? Lui, il padre di Raimonda, quel principe Raimondo Lanza di Trabia che anni prima, la mattina del 30 novembre 1954, a Roma, era precipitato dalla finestra di una camera dell'Hotel Eden: ricchissimo e aristocratico dandy siciliano, aveva 39 anni, una moglie, Olga Villi, l'attrice "dalle più belle gambe d'Italia", una figlia piccola, Venturella, e un'altra in arrivo.

Poco più di due mesi dopo la sua morte, l'11 febbraio 1955, nasceva infatti Raimonda; che a quel padre sconosciuto, di cui nessuno in famiglia, né la vedova, né il fratello, parlava mai, come se tutta la sua vita e soprattutto la sua fine nascondessero un misterioso pericolo, adesso, assieme alla figlia Ottavia Casagrande, dedica una nuova biografia (ne esistono già due, scritte da Vincenzo Prestigiacomo, e da Marcello Sorgi).

Per raccontarne non solo la vita avventurosa e mondana, di spia e playboy, tra la guerra di Spagna e la seconda guerra mondiale, tra Edda Ciano e Susanna Agnelli, tra Errol Flynn e Onassis, tra le solfatare e le tonnare dei suoi immensi feudi e il petrolio dello Scià di Persia.

Ma partendo da quella rivelazione, «non si è ucciso», e da una misteriosa valigia piena di documenti, trovata per caso in un ripostiglio, e una piccola chiave contenuta in un anello, le due signore hanno deciso di andare oltre le frettolose e pompose cronache d'epoca: per addentrarsi, 60 anni dopo, nello scenario oscuro e incerto di una ipotetica storia molto siciliana, di mafia e politica, che trasformerebbe il suicidio di quel giovane uomo che aveva tutto dalla vita in un delitto premeditato e subito occultato.

Dice oggi Raimonda: «Nessuno seppe perché non era sceso come sempre al Grand Hotel dove aveva il suo appartamento, come mai aveva scelto l'albergo dove si incontravano i petrolieri e dove in quel momento alloggiava Enrico Mattei; da che piano si era buttato, (il primo, il terzo, il quarto?), perché era precipitato a testa in giù, per quale ragione nessuno cercò di rintracciare il medico che l'aveva appena visitato, e soprattutto perché il caso fu
subito chiuso, senza inchieste giudiziarie.

Mi toccherà ballare ( Feltrinelli) è il titolo di questa biografia che due donne di rara, semplice, aristocratica grazia, una figlia e una nipote, dedicano a uno degli ultimi grandi principi siciliani, la cui immensa ricchezza è totalmente svanita nel mistero. Le eredi di nulla, se non del desiderio di ricordarlo, hanno dato al loro libro il titolo di una specie di diario incompiuto in cui il principe si confessava: «Se avessi seguitole regole sarei stato per sempre bastardo. Non avrei buttato piatti di vermeil e reliquie di santi tra i flutti. Non avrei amato Magdalene. Non avrei fumato oppio. Non avrei amato la morfina e l'alcol. Non avrei risparmiato la vita a un comandante repubblicano in cambio del suo impermeabile. Non avrei fuso 72 motori. Non avrei comprato un uomo. Non avrei ballato coi tonni in punto di morte. Non saprei che gusto si prova ad andare in giro nudo. Non saprei se le americane baciano meglio delle italiane. Be', mi sarei perso molte cose».

Un principe bastardo? Si, il certificato di nascita di Raimondo è quanto mai complicato; risulta figlio di N. N. e di madre che non vuole essere nominata, gli viene dato il cognome Ginestra. Viene registrato all'anagrafe di un paesino lombardo dalla levatrice, tutore l'amante della levatrice che lo rapisce e ne chiede il riscatto. È l'11 settembre del 1915, il padre, Giuseppe Lanza principe di Scordia sta combattendo sul Carso, la madre, l'aristocratica veneziana Madda Papadopoli ha già un noiosissimo marito, il principe Gino Spada Potenziani.

L'adultera se dichiara la sua maternità fuori dal matrimonio rischia la prigione, la legge impedisce al padre di riconoscere figlio naturale. Ci riesce finalmente nel 1926, ma solo nel 1942, quando Raimondo aveva già 27 anni, un decreto reale ammette il suo riconoscimento e quello del fratello minore Galvano. L'ultimo ostacolo l'aveva superato la grandiosa nonna Giulia Florio, che pur odiando Mussolini, si era piegata a farsi ricevere da lui per ottenere nel nuovo codice civile l'equiparazione tra figli legittimi e naturali.

La bellissima signora che viveva a Palermo a Palazzo Butera solo dopo la morte del figlio Giuseppe si era finalmente decisa a incontrare Madda la peccatrice e i suoi nipoti ormai adolescenti. E l'accordo fu: il primogenito Raimondo sarebbe vissuto da principe in Sicilia con lei, Galvano con la madre a Vittorio Veneto.

Palermo non bastava al bel principe scapestrato che si precipitò instancabile nelle guerre e nella mondanità internazionale del cinema e del grande business, tanto che sarebbe lui ad avere ispirato a Domenico Modugno l'elegante personaggio della sua canzone Vecchio frack .

Ma era così facile sfuggire alla Sicilia e ai suoi cupi autentici padroni? Nel suo libro 50 anni nel Pci , Emanuele Macaluso ricorda come ai tempi in cui era ancora segretario della Camera del lavoro di Caltanissetta, «Li Causi mi chiamò a Palermo per dirmi che i principi Galvano e Raimondo Lanza di Trabia, proprietari di grandi feudi tra Villalba e Mussomeli, volevano trattare una possibile concessione in affitto delle loro terre alle cooperative ».

Affittuari erano allora Calogero Vizzini, Genco Russo e soci, e i Lanza volevano uscire da una situazione in cui i mafiosi li taglieggiavano. Ma i mafiosi non erano d'accordo, e «ci furono occupazioni, intimidazioni, sparatorie, cause civili e penali, una generazione visse un'autentica guerra civile».

Ma il disastro arrivò con il tentativo di Raimondo, che voleva andarsene e mettersi nel grande business del petrolio, di vendere la solfatara Tallarita in cui erano stati sperperati milioni per un impianto di flottazione, quando oramai lo zolfo siciliano da anni, non era più competitivo, spinto fuori dal mercato da quello americano.

Ma quell'inutile monumento alla disumana fatica dei poveri, dando lavoro a tanta gente, rappresentava ancora un irrinunciabile bacino di voti ed era amministrato come tutti i beni dei Lanza di Trabia, da un potente avvocato siciliano che prendeva ogni decisione.

Nella valigia dei misteri, Raimonda e Ottavia hanno ritrovato l'atto di vendita della Tallarita firmato solo da Raimondo, non da Galvano, quindi inutilizzabile. Raimondo cadde dalla finestra, Galvano, anni dopo, rompendo ogni legame con l'amministratore disse, «mi ha tradito». Tutte le miniere siciliane furono rilevate dalla Regione e i debiti i pagati con i soldi pubblici. Tutte tranne la Tallarita, che fu lasciata fallire, divorando il denaro dei Lanza di Trabia.

 

IL LIBRO SU RAIMONDO LANZA DI TRABIARAIMONDO LANZA DI TRABIARAIMONDO LANZA DI TRABIARAIMONDO LANZA DI TRABIA E VITTORIO EMANUELE ORLANDORAIMONDO LANZA DI TRABIA