
DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA…
Luigi Ferrarella per “il Corriere della Sera”
Davanti ai giudici di Londra si fa vedere nessuno. Nemmeno Pinco Pallino. Lunedì a Londra, nell’udienza fissata dalla Southwark Crown Court dopo il sequestro di mercoledì scorso di 83 milioni di dollari, i soldi erano a disposizione di chi si fosse presentato a far valere la propria legittima titolarità su questi come sugli altri 110 milioni già congelati dagli svizzeri: provvedimenti disposti su richiesta della Procura di Milano nell’inchiesta sulla corruzione di politici nigeriani che avrebbe viziato l’acquisto nel 2011 della licenza (posseduta dalla società locale Malabu) a esplorare il bacino petrolifero OPL245 da parte di Eni e Shell per 1 miliardo e 92 milioni di dollari. Ma nessuno si è presentato fra tutti gli indagati che la Corte londinese pur aveva voluto fossero avvisati da formali notifiche mercoledì scorso.
Non sono cioè comparsi a Londra l’ex ministro del petrolio Dan Etete che anni fa si era autoassegnato la licenza dietro la prestanome Malabu, non il mediatore nigeriano Emeka Obi, tantomeno l’Eni che aveva sborsato quei soldi, non i suoi amministratore delegato Claudio Descalzi e ex presidente Paolo Scaroni e capo della divisione esplorazioni Roberto Casula, non i mediatori italiani Luigi Bisignani e Gianluca Di Nardo.
Nessuno ha provato a reclamare indietro uno dei residui (dopo l’invio già di 523 milioni a un collettore nigeriano di politici locali) della distribuzione di altri 200 milioni del prezzo complessivo: quello pagato nel 2011 da Eni al governo nigeriano e da esso girato alla società Malabu (cioè a Etete), anziché direttamente da Eni a Malabu come invece ventilato nel 2010 in una iniziale trattativa tra Eni e Malabu intermediata da Obi-Di Nardo-Bisignani. Nemmeno la società Malabu è comparsa in giudizio: ed è un vero peccato, perché sarebbe stato carino vedere che faccia avesse il soggetto in teoria beneficiato anni fa dalla licenza, il cui nome in nigeriano suona espressione simile all’italiano «intrallazzo Pinco Pallino».
estrazione di petrolio nel delta del niger in nigeria
Mentre quindi gli 83 milioni «orfani» restano sequestrati a Londra, i 110 in Svizzera erano già bloccati al nigeriano Obi che se li era visti riconoscere nel 2013 da un giudice inglese nella vittoriosa causa civile contro Etete, accusato di non rispettare i patti e non avergli versato la commissione pattuita sull’affare andato comunque in porto (anche se con schema diverso, cioè con il governo nigeriano tra Eni e Malabu). Di quei 110 milioni, Obi ne aveva già trasferiti 15 a Di Nardo, anch’essi sequestrati su richiesta dei pm De Pasquale e Spadaro.
Di essi l’entourage di Di Nardo propone ora una spiegazione particolare: sarebbero non una fetta della commissione di Obi sull’affare di Eni con Etete, ma la prima parte del profitto (25 milioni) che Di Nardo sostiene di avere maturato dall’aver investito in Inghilterra sulla causa civile di Obi contro Etete: i due avrebbero cioè stretto un accordo privato nel 2012, in base al quale Di Nardo finanziava le ingenti spese della causa inglese in cambio della promessa di incassare un quinto di quanto Obi avesse ricavato da una sentenza vittoriosa.
Descalzi, intanto, in una lettera ai dipendenti Eni assicura: «Voglio sappiate con certezza che ci siamo comportati correttamente ed eticamente come sempre facciamo. Le inchieste faranno il loro corso, mi auguro nel più breve tempo perché una grande azienda come la nostra non può aspettare a lungo».
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