DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Simone Di Meo per Dagospia
Malgrado l'ispirazione cattolica, nella Cisl sono ben poco caritatevoli e propensi a porgere l'altra guancia. Lo scandalo delle intercettazioni abusive ai danni dell'ex segretario campano Lina Lucci e le manovre ricattatorie nella sede di Via Medina a Napoli (di cui Dagospia scrisse in anteprima nell'ottobre scorso) sono solo i geyser di una battaglia tellurica che si sta combattendo senza esclusione di colpi nelle stanze nazionali del sindacato. E non c'entra nulla la difesa dei diritti dei lavoratori. Si tratta di consolidare la gestione del potere nelle mani della Furlan e dei suoi «consigliori».
La leader nazionale ha avviato da mesi una campagna di commissariamento a tappeto in vista del congresso. A Roma, giovedì scorso, l'ennesimo atto di un esecutivo insofferente: il contestatissimo azzeramento dei vertici della Funzione pubblica, il braccio finanziario e «politico» della Confederazione. La Furlan pensa così di aver ipotecato la sua riconferma ma il clima di veleni che ha generato mette a rischio l'effettiva riuscita del piano. Chissà se, dopo gli episodi di questi giorni, spunteranno altri candidati. E altri veleni.
Al di là delle operazioni di Palazzo, la situazione è critica anche e soprattutto sotto il profilo della legalità e della tenuta finanziaria dell'organizzazione. Come rivelato dal «Fatto Quotidiano» qualche giorno fa, la Cisl rischia un crac da 70 milioni di euro per i debiti accumulati dalle associazioni Ial (Innovazione apprendimento lavoro); strutture territoriali nate negli anni Cinquanta per dedicarsi all'addestramento dei lavoratori ma che si sono rivelate, e come tale gestite, delle piccole aziende «private» con tanto di consulenze esterne, assunzioni clientelari e via discorrendo. La gran parte della massa debitoria (circa 53 milioni) è imputabile alla sola segreteria regionale del Piemonte, dal 2008 al 2014 retta da Giovanna Ventura. Oggi braccio destro della leader nazionale e segretario organizzativo della Cisl.
Qualora scattassero, a seguito dei decreti ingiuntivi, azioni di responsabilità patrimoniale sui vertici del sindacato a vario titolo coinvolti nella bancarotta «Ial», tra cui la stessa Furlan, come reagiranno gli iscritti? Peraltro, la stessa leader nazionale ancora oggi non ha fornito chiarimenti adeguati sui suoi esorbitanti guadagni. Tema sollevato da Fausto Scandola, il pensionato che scoprì lo scandalo dei maxi-stipendi Cisl e che, per tutta risposta, fu repentinamente espulso proprio dall'associazione.
Secondo l'«indagine» di Scandola – in Via Po la chiamano «Scandola Papers» facendo il verso ai ben più famosi «Panama Papers» – la «Furban» dovrebbe restituire alla Cisl differenze di stipendio (per il periodo 2008-2014) per oltre 280mila euro. Certo, sul sito della Confederazione ci sono tre paginette di un commercialista che dichiara che è tutto a posto, che la retribuzione della segretaria generale è in linea con le politiche di indirizzo del sindacato ma a fronte di un obbligo di trasparenza appare un po' riduttiva come risposta. O no?
Strano inoltre che non siano pubblicate le buste paga dei relativi periodi periziati dal commercialista così da consentire una più incisiva azione di verifica e controllo da parte degli iscritti. Che sono quelli che pagano le quote associative e, quindi, gli stipendi dei dirigenti.
Negli «Scandola Papers» la Furlan è comunque in buona compagnia, a cominciare dai segretari confederali. Come Maurizio Petriccioli a cui gli «Scandola Papers» contestano guadagni aggiuntivi rispetto ai minimi regolamentari per 238mila euro. E come Piero Ragazzini, attuale commissario della Cisl campana, che dovrebbe restituire 201mila euro.
Al «top» c'è Ermenegildo Bonfanti, segretario generale Funzione pubblica, che avrebbe intascato oltre 1 milione e 250mila euro in più. Il presidente Inas, Antonino Sorgi, lo segue a ruota con quasi un milione di euro. A Pierangelo Raineri, segretario generale Fisascat, invece, toccherebbe restituire 818mila euro.
Il capo della Fai Cisl Luigi Sbarra si assesta a 270mila euro. In coda Paolo Mezzio (vicepresidente Inas) con 70mila euro e Pietro Cerrito (presidente Caf nazionale) invece 57mila euro. In totale, i vertici dell'organizzazione di categoria attualmente in carica, se volessero mantenere fede al regolamento all'epoca vigente, dovrebbero restituire ai lavoratori iscritti alla Cisl qualcosa come 4 milioni di euro. Su Cerrito la situazione è pure un po' più delicata perché un esplosivo esposto, che lo riguarda insieme a un altro dirigente sindacale campano, è fermo da diversi mesi nelle mani dei probiviri. Come mai?
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