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“‘MI AMO TROPPO PER STARE CON CHIUNQUE’ È UNA DICHIARAZIONE DI SOLITUDINE NARCISISTICA” – MARCELLO VENEZIANI CONTRO LA FRASE, DIVENTATA UNO SLOGAN, CHE SARA CAMPANELLA, LA RAGAZZA UCCISA A MESSINA, AVEVA SCRITTO SUI SOCIAL: “È LA RIVELAZIONE DI UNA TRAGICA CONDIZIONE GIOVANILE. NON È IL PENSIERO ISOLATO DI UNA RAGAZZA, MA È LA “FORMA MENTIS” PIÙ PREOCCUPANTE DIFFUSA TRA I RAGAZZI: UNA GENERAZIONE ALLEVATA AD AMARE SÉ STESSI SOPRA OGNI ALTRA COSA E A RIGETTARE LEGAMI CON CHIUNQUE. IN QUEL CONTESTO S’INNESTA L’USO BECERO DEI COSIDDETTI FEMMINICIDI PER ARMARE IL FEMMINISMO CONTRO I MASCHI ASSASSINI POTENZIALI…”
Estratto dell’articolo di Marcello Veneziani per “La Verità”
«Mi amo troppo per stare con chiunque»: è la frase che Sara Campanella, la ragazza uccisa a Messina, aveva scritto sui social come biglietto da visita del suo profilo. È stata affissa alle fermate dei bus della città, sventolata nei cortei di piazza e presentata nei telegiornali come una bandiera di libertà […]
Non si sono resi conto che è una frase terribile. È una dichiarazione di solitudine narcisistica, di egoismo e di egocentrismo assoluto, di onanismo mentale; proclama la rottura col mondo e con gli altri, rinuncia a priori a ogni vero amore, a ogni legame affettivo, e in prospettiva a ogni dedizione e proiezione verso la famiglia, i figli, gli amici, la società. Mi amo troppo, non ho tempo né spazio per voialtri, tutti, dovrei sottrarlo a me stesso.
La pietà per la sua precoce, assurda morte, per la sua giovane vita spezzata, vittima di un ragazzo che pretendeva di essere amato e non tollerava di essere respinto, resta intatta e totale.
Ma non deve indurre a esaltare quella frase che è invece la rivelazione di una tragica condizione giovanile.
Non è il pensiero isolato di una ragazza che si ama troppo ma è piuttosto la forma mentis più preoccupante diffusa tra le ragazze e i ragazzi. È la variante peggiorativa di un’altra frase che si ama ripetere: l’importante è star bene con sé stessi. Se quel che conta è solo quello, allora io posso tranquillamente fregarmene degli altri, lasciarli morire o andare al diavolo, e perfino compiere azioni di ogni tipo, anche criminale, se mi fanno star bene.
[…]
Certo, è naturale che l’istinto di autoconservazione ci porti a preoccuparci prima di noi, poi di chi sta più vicino a noi, quindi degli altri. Ma un conto è vivere solo per noi stessi, un altro è vivere a partire da sé stessi e poi allargarsi al mondo, a cominciare da chi ci è più caro e vicino.
Amare sé stessi in positivo vuol dire non buttare via la propria vita, non sprecarla, rispettarsi, curarsi, avere anche un po’ di fierezza e amor proprio: ma la proclamazione di un amore esclusivo di sé e autoreferenziale, in cui non c’è posto per gli altri, è l’inizio del male, il passaggio dalla solitudine benefica all’isolamento. Che società potrà nascere da chi adotta quel motto? […]
Una sponda a questo universo autocentrato la dà oggi su la Lettura del Corriere della sera Roberto Saviano che, in un momento di sconforto, appoggiandosi a un libretto mortifero, scrive un articolo dal titolo «L’umanità è una malattia» in cui si professa omovacantista, ovvero auspica la fine dell’umanità e inneggia all’antinatalismo, ovvero al rifiuto di mettere al mondo altri umani.
[…] «Dopo di me il diluvio», è il grido d’angoscia dei narcisisti frustrati, degli egocentrici delusi che scoprono di non essere al centro del mondo e allora «Muoia Sansone con tutti i filistei», perisca l’umanità intera.
Ma al di là dello stato mentale di Saviano, del suo maledettismo letterario e dei suoi travagli personali (gli auguriamo di passare questo brutto momento, o come si dice a Napoli, «a nuttata») il tema che qui preme sottolineare riguarda in realtà una generazione allevata ad amare sé stessi sopra ogni altra cosa, persona, principio o valore e a rigettare legami con chiunque. Viviamo nell’epoca dell’individualizzazione tragica, come la definisce Ulrich Beck; l’io si sradica, non si sente erede di nessuno e rifiuta di essere padre/madre di nulla al di fuori di sé stesso; perde la realtà, il mondo, la natura, la storia, la società.
S’inabissa nella sua solitudine, munita solo di connessione tecnologica. Salvo poi, contraddittoriamente, nutrire la paura di essere escluso, di essere tagliato fuori, quel che in sigla si chiama Fomo (fear of missing out). Così vive in rete la sua esistenza virtuale, è in rete ma fuori dal reale, è connesso da remoto ma sconnesso dalla vita vera e dalle sue prossimità; ha contatti senza avere legami.
[…] In quel contesto fiorisce Narciso, e trova fondamento quella frase «maledetta» che diventa frase di culto, anche perché consacrata dal sacrificio della vittima che l’ha pronunciata.
Qui s’innesta come ulteriore deformazione della realtà l’uso becero dei cosiddetti femminicidi per armare il femminismo contro i maschi assassini potenziali e incitare alla lotta per l’autorealizzazione. Dopo ogni femminicidio c’è questa chiamata alle armi per combattere il maschio violento e mobilitarsi in una specie di lotta di genere, succedaneo della lotta di classe. Il presupposto falso e fuorviante di questo esercito della salvezza è che si fronteggi con un esercito di maschi potenziali femminicidi, che è lì di fronte a loro. E invece non c’è nessun esercito maschile contro cui combattere; il 99 per cento dei maschi non usa violenza verso le donne, semmai è intimidito, in fuga o si arrocca sulla difensiva.
I femminicidi sono aberrazioni di singoli che hanno perso la testa e non vittime di uno scontro sociale di genere. Non c’è nessun esercito nemico da battere ma ci sono solo individui solitari che uccidono per incapacità di vivere, dipendenza assoluta dalla loro partner e fragilità distruttiva e autodistruttiva. Sono, lo ripeto, uomini-narciso, che vivono specchiandosi nell’altro e quando lo specchio si rompe (porta male) le schegge diventano coltelli per uccidere chi ha infranto la loro immagine proiettata nella vita di lei.
Alla fine vivono tra due deserti di solitudine: quella di chi ritiene di dover alzare i ponti col resto del mondo perché ama troppo sé stessa e quella di chi escluso dalla prima si vendica e uccide l’oggetto proibito del suo ego che chiama amore. Narciso contro Narciso, solitudine contro solitudine mentre le tifoserie inveiscono e incitano alla lotta. Ma il vero nemico è l’egolatria di massa. Viva Io, a morte l’Io altrui. Così muore una società, non solo un individuo.
RAGAZZA ACCOLTELLATA ALLA GOLA A MESSINA
SARA CAMPANELLA
sara campanella e il fidanzato antonino fricano 1
RAGAZZA ACCOLTELLATA ALLA GOLA A MESSINA
RAGAZZA ACCOLTELLATA ALLA GOLA A MESSINA
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