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I GARAGE DEL SESSO IN USO IN GERMANIA
Giampaolo Cadalanu per “la Repubblica”
Il primo bordello tedesco a inaugurare la stagione delle promozioni è stato il Pussy Club, che ha offerto una tariffa “a forfait”, come per i telefoni cellulari: «Settanta euro, e rimani quanto vuoi». La proprietaria, Patricia Florein, ammette senza difficoltà il suo ragionamento: gli uomini sono sempre propensi a sopravvalutare la propria potenza sessuale, e dunque pronti ad abboccare alla proposta. «La maggior parte
riesce tutt’al più ad avere due rapporti. Con i prezzi normali sarebbero sessanta euro».
Ma naturalmente l’abbonamento permette di rilassarsi, di avere drink gratuiti al bar interno ed evita di vedere la signorina di turno guardare l’orologio già spazientita. Nel 2009 il lancio delle tariffe a forfait ha portato 1700 uomini a far la fila davanti a un club di Stoccarda, ma nei giorni successivi i clienti hanno scoperto che non era poi un grande affare: a fine giornata, si lamentavano sui forum di Internet, le ragazze «erano sempre troppo stanche».
Benvenuti all’industria del sesso nel Terzo Millennio: in Germania la prostituzione è legale dal 1927, anche se con limiti territoriali legati alle decisioni delle diverse città, e com’è ovvio il mercato segue le regole del business, con marketing, siti web, sindacati e dibattito parlamentare. In questi giorni Cdu e Spd sono alle prese con la riforma della legge del 2002 che regola l’attività dei bordelli: l’intenzione è quella di rendere il mestiere più sicuro per le lavoratrici, e magari anche più produttivo per lo stato, nel senso di entrate fiscali.
Ma è inevitabile che nella discussione si affaccino sfumature di moralismo e persino atteggiamenti benpensanti: i cristiano-democratici, per esempio, vorrebbero che l’età minima per praticare la professione fosse elevata a 21 anni, mentre i socialdemocratici respingono l’idea di creare una seconda “maggiore età”.
Il partito della signora Merkel vorrebbe punire gli uomini che vanno con donne costrette a prostituirsi, o con minorenni. Secondo i partner di coalizione invece sono proprio i clienti a fare le denunce che permettono di rinchiudere i trafficanti di esseri umani. Per non parlare del disaccordo sulle visite mediche obbligatorie, che la Cdu vuole imporre e la Spd considera una specie di schedatura inaccettabile.
Per adesso, i due partiti si sono trovati d’accordo a esigere una nuova normativa per la registrazione dei bordelli. Oggi basta la comunicazione alla camera di commercio, domani servirà una specie di sigillo di qualità, che garantisca per esempio il rispetto delle condizioni igieniche. E la coalizione di governo vuole far sparire quelle che considera “pratiche degradanti”, come il sesso di gruppo o appunto le tariffe a forfait, qualsiasi cosa ne pensino la signora Florein e le sue colleghe.
Le professioniste sembrano abbastanza in linea con le posizioni socialdemocratiche, almeno a sentire Johanna Weber, portavoce del BesD, Associazione professionale dei lavoratori nei servizi erotici e sessuali: «Con la Spd ci sono contatti stretti. Nella Cdu invece contano ancora visioni moralistiche che hanno ben poco a che vedere con la realtà del lavoro sessuale».
Secondo il sindacato, se venisse introdotta l’età minima di 21 anni, una diciottenne con necessità di lavorare sarebbe costretta a prostituirsi nell’illegalità, quindi diventerebbe una preda facile per gli sfruttatori. Quanto alle visite obbligatorie, vale la stessa logica dell’obbligo di profilattico: la costrizione funziona meno della convinzione, e magari apre la via a controlli di polizia incompatibili con l’attività.
Insomma, la discussione dei parlamentari di governo sembra lontana anni luce dall’obiettivo dichiarato, la tutela delle donne coinvolte. Se il divieto di pratiche sessuali come il sesso di gruppo (“gang-bang”) è considerato al BesD «al limite del ridicolo», il punto più contestato dalle lavoratrici del sesso è l’obbligo di registrarsi come tali.
Dice la Weber: «Sarebbero problemi grossi per chi fa il mestiere part-time: studentesse, casalinghe, madri single, che sarebbero costrette a dichiararsi prostitute anche se socialmente questo ancora non è accettato. Altro che difesa contro il traffico di esseri umani: gli schiavisti non hanno davvero nessuno difficoltà a far registrare le loro vittime».
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