DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E…
Mirella Serri per "la Stampa"
Siamo arrivati al limite, c'è troppa libertà e troppo permissivismo nelle scuole italiane? Almeno nell'abbigliamento? Oppure, viceversa, nei nostri istituti vi sono sacche di autoritarismo e i giovani, giustamente in rivolta, rivendicano la facoltà di circolare per aule e corridoi in pantaloncini e infradito, secondo gusti e tendenze personali? Tutto è nato dalle parole di una professoressa che, per rimproverare una sua allieva di essersi presentata in classe con l'ombelico scoperto, ha evocato la via Salaria, consolare romana notoriamente frequentata, per non dire battuta, dalle belle di giorno.
A questa provocazione si è aggiunto un altro docente che ha parlato anche lui di "troie" o lucciole, che dir si voglia. Proprio queste sono state le similitudini, non troppo raffinate bisogna dirlo, utilizzate da alcuni insegnanti per sanzionare e rimettere in riga studentesse vestite, secondo il loro parere, con modalità poco decorose e che avrebbero leso la dignità degli istituti scolastici frequentati. Hanno dunque ragione i maschi che manifestano davanti alla scuola in minigonna per solidarietà con le loro vituperate compagne?
Oppure c'è necessità di rivedere l'eccesso di nonchalance e disinvoltura e di imporre in classe un dress code agli studenti (si spera sia per maschi che per femmine)? La risposta ce l'hanno data proprio gli alunni degli istituti superiori, esibendo venerdì scorso una grande prova di maturità in un'altra occasione ma che stimola la riflessione complessiva sul mondo scolastico. Si è conclusa la lunga occupazione dell'Istituto Valentini-Majorana a Castrolibero, in provincia di Cosenza.
È stata una delle prime manifestazioni, se non la prima in assoluto, "per molestie". I giovani che hanno dato vita al movimento #metoo nelle scuole superiori protestavano contro la dirigente dell'istituto accusata di aver sottovalutato le denunce (presentate peraltro anche a carabinieri e polizia) di alcune ragazze contro le avances di un professore. I ragazzi, provenienti da tutta la Calabria, sono scesi in piazza con striscioni e cartelli che reclamavano "+ rispetto" per gli studenti.
Una richiesta molto precisa e coinvolgente. Il "rispetto" chiamato in causa non era solo quello, ovvio da esigere, a tutela della dignità delle studentesse. Il corteo calabrese che sfilava ordinato, serio e disciplinato, chiedeva un rispetto dal significato assai più ampio e complessivo e ha messo sotto gli occhi di adulti e docenti i desideri dei giovani di oggi.
Un tempo a scuola si parlava di rispetto in quanto doveroso riguardo nei confronti di genitori e insegnanti. Guai a usare il turpiloquio, guai a offendere con frasi o osservazioni sprezzanti il supremo rappresentante dell'istituzione, il prof. Quest' ultimo, al contrario, anche se nel secolo scorso aveva deposto la bacchetta e le punizioni corporali, spesso usava le parole come staffilate per colpire e per mettere alla berlina i discepoli. Nessuno osava dirgli che, con altri metodi, avrebbe sicuramente ottenuto maggiori successi e si sarebbe conquistato la stima e l'affetto degli studenti. Cosa vogliono oggi dunque i ragazzi? Si sono rovesciate le parti: sono i più giovani che esigono decoro e buoni esempi.
È certo una terribile mancanza di rispetto far finta di niente quando una ragazza denuncia, con dovizia di prove, il comportamento prevaricatorio e inquietante di un professore. Ma è assenza di rispetto pure il lessico fin troppo familiare usato da chi siede in cattedra per rimproverare e richiamare all'ordine quanti indossano una maglietta o un abitino troppo succinti o un jeans tutto strappato (come è stato rilevato ieri nell'intervento su questo argomento su La Stampa di Simonetta Sciandivasci: «È stata l'insegnante a calpestare la scuola e il suo ruolo: non la ragazzina»). In questo caso il linguaggio dei docenti sottende un malinteso senso di vicinanza al mondo degli under venti, una prossimità a cui oggi aspirano gran parte degli insegnanti. Viene esibita una forma di giovanilismo che però non coglie nel segno.
L'insegnante che, per sollecitare un ragazzo a esprimersi dignitosamente anche attraverso l'abito e l'aspetto, interloquisce utilizzando riferimenti a "Salaria" o "troie", non è affatto più vicino né in sintonia con il discente. Le parole sono pietre e questi rimproveri sono quanto di più lontano dall'abbigliamento severo e castigato che gli educatori vorrebbero dai loro alunni. Anzi, a dir la verità, in termini linguistici, sono il corrispettivo del comportamento degli allievi che si vorrebbe sanzionare.
Nessuno vieta di chiedere ai ragazzi un dress code scolastico. Ma le regole devono riguardare anche il linguaggio e i professori che non sanno parlare anziché insegnare debbono sedersi sui banchi per imparare. Oppure andare dietro la lavagna. Lì un tempo ci finivano i ragazzini che al massimo avevano detto "babbeo/a" al professore o alla professoressa ma mai utilizzavano parole come "troia" o puttana con cui alcuni (pochi) professori dileggiano oggi le loro allieve.
LICEO RIGHI PROTESTE 4LICEO RIGHI PROTESTE 7liceo righi di roma 5liceo righi di roma 2liceo righi di roma 2LICEO RIGHI PROTESTE 8pancia scoperta a scuola 2LICEO RIGHI PROTESTE
Ultimi Dagoreport
NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON…
DAGOREPORT – I GRANDI ASSENTI ALL’INAUGURATION DAY DI TRUMP? I BANCHIERI! PER LA TECNO-DESTRA DEI…
DAGOREPORT – DA DOVE SPUNTA IL NOME DI SANDRO PAPPALARDO COME PRESIDENTE DELLA NUOVA ITA “TEDESCA”…
C’ERA UNA VOLTA IL TRENO PER KIEV CON DRAGHI, MACRON E SCHOLZ. ORA, COMPLICE IL TRUMPISMO SENZA…
FLASH – COME MAI IL PRIMO MINISTRO UNGHERESE VIKTOR ORBAN, PUR INVITATO, NON È VOLATO A WASHINGTON…