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Flavia Amabile per “La Stampa”
È il crepuscolo quando arriva anche Eugenio Giani, il presidente della Regione Toscana. La piazzetta scelta per la manifestazione dei rider nel centro di Firenze è piena. Dal palco improvvisato sugli scalini della chiesa di sant' Ambrogio, lo salutano i rappresentanti delle diverse categorie della Cgil radunate per protestare dopo la morte di Sebastian Galassi, investito da un'auto a un semaforo sabato sera durante una consegna. Dalla piazza, invece, si levano gli insulti. «Giani vai via. Questa piazza non è il tuo posto».
Sono una decina di Cobas, contestano il presidente della Regione Toscana che «non ha fatto nulla per i rider» e la Cgil che «ha ottenuto un contratto che non serve a nulla». «Meglio di niente», rispondono gli attivisti della Cgil. «Vai a lavorare. Io sulla bicicletta vivo, tu stai al comodo in un ufficio» rispondono i Cobas.
giani contestato dai rider firenze
Vita da rider è anche questa divisione nel centrosinistra che diventa scontro nelle manifestazioni. È accaduto a Roma il 28 settembre durante il presidio per l'aborto sicuro. Si è ripetuto ieri a Firenze. La contestazione è poi rientrata, la piazza si è di nuovo unita. «Siamo qui per denunciare che la strage dei rider va fermata. Non vogliamo rimanere in silenzio di fronte alla terza persona morta in Toscana mentre lavorava che si aggiunge al rider di Treviso morto solo poche settimane fa», dicono dal palco.
Si muore senza un'assicurazione, senza nemmeno qualcuno con cui prendersela. Dall'altra parte della mail e della app che regolano la vita dei rider c'è solo un algoritmo che licenzia chi, come Sebastian Galassi, è morto trattandolo come uno che abbia scelto di fare altro nella vita. «Basta con il cottimo, basta morire per una consegna» è lo slogan della manifestazione di Firenze.
In piazza ci sono alcune decine di rider. Pochi se li si considera come lavoratori con diritto di sciopero. Tantissimi se si pensa che per loro fermarsi vuol dire perdere posizioni nel rigido schema imposto dall'algoritmo e che da oggi dovranno ricominciare a correre ancora di più per recuperare le ore perse mentre scioperavano.
Federico Curcio ha 53 anni, da tre lavora come rider. «Da quando sono tornato dall'estero per motivi familiari e ho scoperto che a 50 anni in Italia un informatico non ha alcuna possibilità di lavorare». Ha preso una bicicletta "muscolare", una di quelle vecchio stile, si è registrato e ha iniziato a pedalare. «Riesco a guadagnare mille euro al mese nei giorni di maggiore richiesta, lavorando sette ore al giorno», spiega.
I giorni migliori sono i peggiori per chi è in strada, sono le sere in cui piove, c'è la neve, fa freddo. I giorni in cui, chi può, resta in casa. Federico Curcio si è dato una scadenza. «Quando i problemi di famiglia termineranno tornerò all'estero. Questa non è vita. Tornerò a fare l'informatico ma resterò rider per sempre. Quando hai diviso con delle persone le sere di freddo e di tempesta, salutandole in fretta perché devi correre ma riconoscendole e ritrovando nei loro sguardi stanchi la tua stanchezza, finisci per considerare questa una comunità di fratelli. E i fratelli sono per sempre».
Marco Donati ha 35 anni e una laurea in Scienze Politiche. Lavora come rider da tre-quattro anni. «Al massimo sei ore, dopo mi stanco. Se dovessi vivere solo di questo non ce la farei». Marco si arrangia con altri piccoli lavori e ha imparato a darsi un limite nelle consegne. «Un anno fa ho avuto un incidente. Avevo lavorato troppo per tutta la settimana. La domenica sono caduto per stanchezza. Trauma cranico, quattro punti, l'azienda mi ha addebitato la consegna non effettuata. Mi è andata bene, avrei potuto farmi molto più male. Da allora ho capito che dovevo lavorare meglio, senza inseguire soltanto la quantità. Ora sono iscritto alla Nidil, sarei per uno sciopero al mese. Questo lavoro non deve farci morire».
Nemmeno Simone Batistoni con le consegne riesce a pagarsi tutte le spese. «Quando va bene guadagno anche 1200 euro al mese ma per riuscirci devi agire da pirata. Semafori rossi, strade in senso vietato e correre tanto. È un lavoro che non può essere preso sottogamba, devi essere concentrato, serio. Non puoi studiare e lavorare, ti devi dedicare. Io prima lavoravo in fabbrica poi quando ho visto che durante il Covid si guadagnava abbastanza bene ho iniziato. Vorrei continuare a farlo ma è necessario dare maggiori tutele».
Andrea Pratovecchi ha 23 anni. Studia economia e ha iniziato a lavorare come rider due anni fa. Sperava di pagarsi una casa. «Mi sono reso conto che avrei dovuto lavorare dieci ore al giorno, non avrei avuto il tempo per studiare». Ha dimezzato le ore di lavoro, al massimo 3 o 4 al giorno e si è rassegnato a continuare a chiedere aiuto ai genitori ma ha deciso di impegnarsi per migliorare la vita di chi non ha la sua fortuna.
«Essere un rider vuol dire essere uno schiavo dell'algoritmo. Si è pagati a cottimo, si finisce per lavorare a un ritmo insostenibile. Tragedie come quella di sabato lo confermano. È necessario sedersi a un tavolo per avere garanzie, diritti e tutele che ora non ci sono». Assodelivery, l'associazione che riunisce e rappresenta le principali piattaforme di food delivery in Italia, ha espresso «profondo cordoglio e vicinanza alla famiglia di Sebastian Galassi, rider vittima di un incidente stradale a Firenze» e ha ricordato che «in questi anni sono stati fatti importanti passi in avanti e altri ancora ne possono essere fatti insieme alle istituzioni e alle parti sociali» . Prima del prossimo morto, chiedevano i rider radunati ieri a Firenze.
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