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Paolo Berizzi per “la Repubblica”
Magari ci fosse ancora Rodolfo Siviero. In principio fu lui, lo “007 dell’arte”. Investigatore, seduttore, poi ministro. Uno capace di recuperare qualcosa come 3mila opere d’arte italiane trafugate dai nazisti o sottratte da ladri comuni nel caos del dopoguerra. Da dove inizierebbe, Siviero, morto nell’83, per risolvere il giallo di Verona, o il «colpo del secolo», come l’hanno ribattezzato in città?
«Qui il problema è uno solo, ed è molto banale: non perdere nemmeno un secondo. Perché ogni secondo di vantaggio che regaliamo a questi signori — li chiama così — è un mese di speranza che dobbiamo togliere alla probabilità di recuperare i 17 quadri». Magari passeranno anni, magari no. Il detective che ragiona fa parte del pool investigativo «congiunto» al lavoro da 48 ore sulla clamorosa rapina al Museo di Castelvecchio.
Una squadra formata dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico e dai poliziotti della Squadra mobile di Verona. Su questa tipologia di reati ha esperienza da vendere. Ma Verona è un rompicapo da togliere il sonno. «Dire che si tratta di un’indagine complessa è un eufemismo. Per tanti motivi. Che in questo momento non è saggio elencare. Possiamo fare solo delle considerazioni... ».
Da dove inizia un’investigazione su un maxifurto di capolavori che ha mutilato l’arte italiana? In quale direzione si orienta? «In 99 casi su 100 opere di questo tipo vengono trafugate quando nei musei o nelle gallerie non c’è nessuno. Qui siamo di fronte a una rapina. Il che, da un punto di vista investigativo, può essere di aiuto», spiega la fonte. Per quale ragione? «Parti da un’indagine tradizionale. Rilievi scientifici, telecamere, esame dei testimoni».
Due. La cassiera imbavagliata, e la guardia giurata che, sotto la minaccia delle armi, accompagna i tre uomini incappucciati e vestiti di nero nelle sale dove, in silenzio, per quasi un’ora, staccano i dipinti di Tintoretto, Rubens, Mantegna, Bellini, Pisanello. La banda sapeva dove e cosa cercare? Conosceva la numerazione precisa della “quadreria” da trafugare o ha preso nel mucchio?
CAROTO RITRATTO DI BAMBINO CON IL DISEGNO
«Restiamo sul furto. In questi casi — spiega l’investigatore — è chiaro che vai subito ad analizzare le anomalie». Ce n’è una che parla. Il sistema di allarme del museo. Viene inserito, normalmente, alle 20. Dopo il “cambio della guardia” tra il personale comunale e gli addetti della società di vigilanza privata. Se l’allarme non viene inserito, il protocollo prevede che alle 20.10 scatti in automatico una segnalazione alla centrale operativa. Cosa che non è avvenuta.
Perché? La banda è stata così abile da disinserire i sistemi di sorveglianza e “azzerare” il protocollo? Aveva una talpa? Poi i ladri. La tipologia. Continua la fonte: «In questi casi in pochi pensano al gruppo di malviventi che tentano il jolly alla lotteria.
Se stacchi una tela del 1500 e non vuoi danneggiarla devi saperlo fare. Non la metti in un bagagliaio con l’umidità. Non la porti via alla bell’e meglio ». Bisogna immaginare, per capire il tipo di indagine, un bivio: da una parte le ricerche dei ladri, dall’altra le ricerche dei ricettatori, o “mandanti”. Che, quasi certamente, attendevano al caldo l’esito della rapina. «Il mercato “parallelo” dell’arte è un ginepraio. È lì è solo lì che possono finire queste opere.
PISANELLO LA MADONNA DELLA QUAGLIA
Non alle aste, non in un museo, non in una galleria. Per smascherare la banda e il “mandante” può bastare una perizia. Un esperto o un mediatore che vende la “soffiata” tra un passaggio e l’altro del quadro. Muovendosi, il ricettatore, l’errore lo fa».
E quindi? «Più probabile pensare a un privato danaroso e senza scrupoli». Che sia uno sceicco arabo, un magnate russo, un collezionista italiano poco cambia. O forse si. «Se la banda riesce o è già riuscita a portare le opere all’estero, ha un vantaggio in più. Per questo non possiamo perdere nemmeno un minuto ».
2. ANCHE LA PICCOLA OPERA RUBATA IN CHIESA LASCIA UN VUOTO NELLA NOSTRA MEMORIA
Francesco Bonami per “la Stampa”
Ieri ero a Venezia per l' ultimo weekend della Biennale di Arti Visive e camminando fra la gente, sui vaporetti, in piazza San Marco, ai giardini, visitando i tantissimi padiglioni nazionali di un mondo che non parrebbe avere problemi il pensiero non andava certo all' incolumità e alla sicurezza delle opere in mostra, ma alla nostra sicurezza ed incolumità.
Sentire quindi che molte importanti opere d' arte antiche sono state rubate, alcuni addirittura capolavori, è sembrato se non irrilevante, marginale rispetto alle tragedie di Parigi, di Beirut, di Bamako.
Eppure irrilevante non è proprio. Non tanto per il valore artistico ed economico dell' arte trafugata ma per il suo valore simbolico. Un valore che diamo, particolarmente in italia, ancor di più in luogo come Venezia, per scontato ma che invece scontato non è proprio e la violenza attuale lo ha dimostrato.
SAN GIROLAMO PENITENTE BELLINI
Un' opera d' arte non vale mai quanto una vita umana. Se si potessero scambiare 129 capolavori per riavere tutte le vittime dei massacri di Parigi io non avrei dubbi. Ma siccome non si può allora l' arte che la storia e la civiltà ci hanno donato deve essere tutelata perchè anche il vuoto lasciato da una piccola scultura di un artista minore rubata da una chiesa è un vuoto che si crea nella nostra memoria.
Lasciar portar via il proprio patrimonio artistico significa lasciar avanzare un alzheimer culturale e civile dal quale ogni barbaria trarrà un beneficio. Camminando per Venezia, per quanto banale possa sembrare ripeterlo, si capisce come pur non rinunciando a guerre, conquiste e violenze la nostra cultura abbia sempre sentito la necessità di purificarsi e affrancarsi dal barbaro che si annida nel dna dell' umanità attraverso l' arte.
Non prendersi cura della nostra arte significa dare energia a quel barbaro. Orson Welles cinicamente diceva che insieme al sangue e alla violenza creato dai tiranni rinascimentali sono venuti fuori Michelangelo, Leonardo, Mantegna, mentre dai tanti secoli di pace della Svizzera è venuto fuori solo l' orologio a cucù.
La violenza oggi vuol distruggere sia Michelangelo che l' orologio a cucù o magari limitarsi a rubare una tela da una chiesa sconosciuta. Difendere tutto questo non è una questione di ciò che conta di più o di meno ma di far capire ai barbari con il mitra o con il grimaldello che la civiltà è una sola senza ma né però.
pisanello la madonna della quaglia
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