OK, IL PILOTA DEL JET E’ UN PIVELLO MA L’ATTERRAGGIO A SAN FRANCISCO E’ UNA SCOMMESSA: NON C’E’ RADAR

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1 - L'OPINIONE DI TOMMASO BRAIT, COMANDANTE LUFTHANSA: "RADAR IN PANNE E SUPER TRAFFICO ATTERRARE LÌ È SEMPRE UN RISCHIO"
Paolo G. Brera per "la Repubblica"

Per Tommaso Brait, pilota Lufthansa sui 747, «l'inesperienza nell'incidente all'aeroporto di San Francisco non c'entra nulla».

Sicuro?
«Diecimila ore in generale sono tante, e a bordo si fa addestramento operativo da molte decine di anni. Anzi, c'erano 4 piloti mentre molte compagnie ne usano due: l'Agenzia europea per la sicurezza del volo ha regole più flessibili. L'aereo appariva in perfette condizioni, con cielo terso e pochissimo vento, ma ha sbagliato atterraggio».

Errore umano?
«Aspettiamo l'inchiesta, ma San Francisco ha una prassi particolare di atterraggio: ha il sistema guidato ILS disabilitato per lavori, e l'uomo radar ti tiene sempre alto per far passare sotto i traffici al decollo. Poi, improvvisamente, ti autorizza a scendere, e hai molta energia da dissipare.

Devi rallentare e scendere in una distanza breve, è una manovra delicata. E devi sempre rispettare il requisito di stabilizzazione a mille piedi di altezza e a 3 miglia dalla pista: lì devi essere già in configurazione con carrello giù, flap in posizione, spoiler armati, velocità giusta e potenza dei motori prevista per mantenerla costante, check list eseguito. Dal tracciato si direbbe che non siano mai riusciti a raggiungere questa stabilità».


2 - SAN FRANCISCO, IL PILOTA ERA INESPERTO AL COMANDO DEL BOEING CON 43 ORE DI VOLO
Paolo G. Brera per "la Repubblica"

Con trecento anime a bordo del suo jet, Lee Kang-kuk faceva scuola guida. Era «in addestramento», l'uomo ai comandi del volo Asiana 214 schiantatosi sulla pista di San Francisco in un crushlanding costato la vita a due studentesse modello cinesi. Era affiancato da un istruttore che gli insegnava a maneggiare quel gigante dei cieli, ma ha sbagliato l'atterraggio.

Gli investigatori ricostruiscono i dettagli di quegli ultimi minuti fatali leggendo la scatola nera, e scoprono che l'aereo era troppo lento, e che trascorse troppo tempo prima che si decidesse di dare potenza ai motori, quando il jet diede il segnale di allarme stallo. E a due giorni dall'incidente, sotto accusa finisce la giungla delle procedure, i regolamenti in base ai quali, mentre sorvoli l'Oceano, a tua insaputa fai da cavia a un tirocinante.

Lee Kang-kuk è un pilota esperto sui voli di media distanza - diecimila ore, tantissime, ribadiscono la compagnia e le autorità coreane - ma aveva solo 43 ore di esperienza su un "777", il gioiello della Boeing che trasportava 291 passeggeri e un equipaggio di sedici persone.

E quel colosso non l'aveva mai fatto atterrare nell'aeroporto di San Francisco,
uno scalo «difficile» perché non hai margini di sicurezza: «Davanti alla pista non c'è un campo in cui puoi rimediare con un atterraggio duro a un errore o a una doppia piantata del motore, come accadde tanti anni fa a un 777 a Londra; a San Francisco c'è il mare della baia», spiega un pilota anziano di Alitalia, chiedendo l'anonimato come quasi tutti i colleghi ai quali abbiamo chiesto spiegazioni.

Eppure, pilotare in addestramento un aereo di linea è proprio quello che prevedono i regolamenti. «Per prima cosa - spiega un altro pilota - si fa un corso macchina, che prevede un minimo di dodici voli sul simulatore e un paio di mesi di teoria. Le low cost di solito comprimono i tempi anche di un mese, rendendo i corsi più intensi per risparmiare. Alla fine c'è l'esame: se lo supero vengo assegnato a una flotta, e inizio l'addestramento in linea».

Anche qui, tutto dipende dalla compagnia: «A dare l'abilitazione a una macchina specifica non è un ente nazionale o internazionale - spiegano all'Enac - ma lo fanno direttamente le compagnie. Per ogni aereo esistono regole fissate dal costruttore, e precise manovre di emergenza scritte sul manuale della macchina. È un rapporto di fiducia, la compagnia assume un pilota e gli affida un aereo perché si fida di lui, non perché ha un'abilitazione formale. Ma naturalmente chiedono un minimo di esperienza».

In teoria, spiegano, sarebbero sufficienti la formazione teorica e il lavoro sul simulatore, «uno strumento sofisticato che replica persino le sensazioni fisiche, su cui ci si addestra anche alle avarie». L'iter, poi, «dipende molto dalla compagnia e dalla macchina da cui provieni, se è simile sono sufficienti poche tratte in linea».

Anzi, «se quel pilota aveva già una quarantina di ore sul 777 e viaggiava con l'istruttore - dice il pilota esperto dell'Alitalia - è una prova di serietà della compagnia coreana». E poi, «in 32 anni in Alitalia non ho mai avuto paura nel viaggiare con un comandante in addestramento, c'è l'istruttore e sono sempre perfettamente preparati», dice Alessandra Cardamone, hostess in pensione. Sarà, ma come per le cucine dei ristoranti, forse era meglio non sapere.

 

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