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Rory Cappelli per la Repubblica
Un testimone che spunta dopo 41 anni. E che racconta, in una memoria presentata in questi giorni in procura dall'avvocato Stefano Maccioni, come Pier Paolo Pasolini, ucciso all'Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975 - nonostante la vulgata che da allora ha circolato persino, e forse soprattutto, nelle carte giudiziarie - non fosse affatto tranquillo, in quei giorni.
Si racconta di un Pasolini spensierato e intento a mangiarsi un bel piatto di pasta da Pommidoro senza un solo pensiero in testa, se non i suoi ragazzotti di borgata che l'avrebbero alla fine portato alla deriva e poi, ovvio corollario, alla morte.
Da questa testimonianza, quella dell'allora corrispondente del Giorno (di Cefis) a Stoccolma, Angelo Tajani, viene fuori un Pasolini "preoccupato, che si sentiva minacciato, e che per questo era molto spaventato".
foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi 8
L'avvocato Maccioni, che con caparbietà da anni porta avanti la sua battaglia per la verità, a novembre aveva chiesto la riapertura delle indagini perché la genetista Marina Baldi, studiando la relazione del Ris di Parma sugli indumenti di Pasolini, aveva trovato incontrovertibile che sulla scena del crimine ci fossero altre persone.
Una richiesta di riapertura indagini per ulteriori approfondimenti scientifici arrivata quasi tre mesi fa in procura, che il procuratore capo Giuseppe Pignatone ha assegnato allo stesso pm che si era occupato dell'ultima indagine, finita poi in un nulla di fatto, Francesco Minisci. Richiesta cui adesso si aggiunge, appunto, la testimonianza di Angelo Tajani che allora era corrispondente per il Giorno a Stoccolma e che il 30 ottobre 1975, due giorni prima della morte del regista, partecipò a Stoccolma, con la moglie, a una cena proprio con Pasolini e l'editore svedese di Le ceneri di Gramsci Renée Cockelber.
Pasolini era tirato, preoccupato, si sentiva minacciato, ed era molto spaventato per questo. Il giorno successivo alla morte, Tajani mandò in redazione un articolo in cui raccontava di quella cena, della preoccupazione e delle minacce di cui aveva parlato Pasolini.
Un articolo che non venne mai pubblicato, mentre uscì su un giornale svedese.
L'avvocato Maccioni ha dunque presentato questa inedita testimonianza accanto alla richiesta di riapertura indagini: una testimonianza che rafforza la convinzione che tutta la ricostruzione successiva di ciò che era veramente accaduto a Pasolini fosse quanto meno compromessa. Pasolini si sentiva minacciato: da chi? E perché?
"Chi sa, a 41 anni di distanza, si decida a parlare" dice il legale che con grande perseveranza continua a tentare di trovare anche solo un raggio di luce nel buio pesto dei depistaggi, delle mezze verità, della sparizione di prove, della contaminazione della scena del crimine, delle costruzioni ad arte dei chi voleva che tutto affondasse nella palude di un fango torbido. "È arrivato il momento".
foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi 9
"Quella costruita intorno al caso Pasolini" dice David Grieco - autore di La macchinazione, film e libro con lo stesso titolo che ha scritto insieme a Stefano Maccioni - che ha scovato il testimone a Stoccolma, "è la menzogna più grossa che sia stata raccontata negli ultimi 70 anni in Italia. E aveva due obiettivi: ammazzarlo e sporcarlo".
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PASOLINI
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