“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Natalia Distefano per il Corriere della Sera - ed. Roma
Il sottotitolo di Mangasia, mostra curata da Paul Gravett del Barbican Centre al Palazzo delle Esposizioni, è «Wonderlands of asian comics», ossia «Meraviglie dei fumetti asiatici».
Azzeccato, perché quelle che affollano l' esposizione, visitabile da oggi al 21 gennaio, sono centinaia di tavole originali, pile di riviste a fumetti, graphic novel , videoproiezioni e opere d' arte (antiche e moderne) che testimoniano nascita ed evoluzione non solo dei manga giapponesi ma di tutto l' universo grafico-narrativo del continente asiatico che ne è stato influenzato.
Una vera meraviglia per gli appassionati di fumetti, a cui si consiglia di lasciare fuori dal Palaexpò ogni sorta di superbia.
Se infatti per neofiti e curiosi l' esposizione può rappresentare l' occasione di entrare in contatto con la tradizione centenaria di un linguaggio artistico ormai metabolizzato dalla cultura occidentale, è per gli occhi degli esperti di settore che Mangasia si offre come una sorta di rivelazione grazie a una collezione minuziosa di documenti inediti o rarissimi scovati in giro per l' Asia, tutta: dalla Cina all' India, da Taiwan alle Filippine, dalla Malesia alle due Coree, dal Vietnam alla Cambogia, Bhutan, Sri Lanka, Hing Kong e Singapore.
Gravett ha compiuto innanzitutto un autentico lavoro da cartografo, mappando ogni diversa declinazione dello stile manga e tracciandone le varianti in cui confluiscono mitologia e storia locale, questioni sociali e politiche (dalla guerra all' emancipazione femminile e sessuale), espressione individuale e industria editoriale.
E c' è anche l' erotismo, al maschile e al femminile, elegantemente contenuto in sale separate da leggere tende di carta che ricordano i tipici noren giapponesi.
L' esposizione, prima al mondo nel suo genere, si articola in sei percorsi con 281 tavole disegnate a mano, 200 volumi di fumetti, oggetti come la scrivania originale di un mangaka (disegnatore di manga), alcuni kaavad (i santuari portatili usati dai cantastorie del Rajasthan), poi abiti, cartoni animati e lungometraggi ispirati ai manga, un' enorme scultura gonfiabile di Aya Takano e l' installazione di Shoji Kawamori Mechasobi con il suo gigantesco mecha robot che interagisce con i visitatori.
«La mostra copre due secoli di manga in Asia, da cui Mangasia - spiega il curatore - per dimostrare come ogni paese asiatico abbia sviluppato una propria cultura del fumetto attingendo alle tradizioni nazionali e rielaborando le influenze straniere, e per svelare l' estrema duttilità del manga».
Così insieme a qualche "volto" riconoscibile di cartoni animati giapponesi, come in un album si scorrono dai lianhuanhua cinesi ai manhwa coreani, passando per i cergam indonesiani e i komiks filippini.
«Materiali mai assemblati insieme prima d' ora - conclude Gravett - alcuni antichissimi, che nella mostra dialogano serenamente con le nuove tecnologie, con l' arte contemporanea e con un Occidente che ha ancora molto da scoprire sui manga».
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