DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giuseppe Filetto per “la Repubblica”
Il suicidio di un medico che non regge alla vergogna di vedere il figlio farmacista arrestato per traffico e riciclaggio di medicinali rubati non si archivia facilmente. La magistratura di Genova sul decesso di Francesco Menetto, di 65 anni, apre un fascicolo “per atti relativi”. Un’inchiesta “dovuta”. Ma se il procuratore capo Michele Di Lecce parla di “un suicidio non lineare”, c’è più di una ragione per capire che la polizia dovrà indagare.
«Dobbiamo chiarire alcuni aspetti, ancora oscuri», precisa il procuratore, conosciuto come un magistrato per nulla giustizialista. Ma le due parole messe insieme sono molto forti. Tanto che gli agenti della Squadra Mobile già da lunedì sono al lavoro per ascoltare eventuali testimoni, poi il figlio del pediatra, Marco, e la nuora Valentina Drago. Vogliono interrogare la moglie del pediatra suicida, Graziella Valeria Ghini, di 67 anni. L’unica che può spiegare come sono andati i fatti. La donna domenica sera in macchina ha accompagnato il marito. Insieme avevano deciso di farla finita. Poi ha visto volare Francesco dalla ringhiera di una passerella vicina al Ponte Monumentale della centralissima via XX Settembre; non ce l’ha fatta a seguirlo ed ha vagato in stato confusionale, fino a quando è stata rintracciata dalla polizia.
«Abbiamo acquisito i tabulati delle telefonate, abbiamo bisogno di chiarire ogni dettaglio — ripete Michele Di Lecce — capire dove i due sono stati prima di raggiungere il Ponte Monumentale». Il medico aveva detto che sarebbe rincasato più tardi, per una visita medica. «L’ha fatta? — si chiede il procuratore —. Nel frattempo è successo qualcosa che lo ha turbato?».
La donna, dopo il suicidio del marito, ha scritto un sms, spiegando a Marco che dentro un cassetto avrebbe trovato una busta con dei documenti e dei soldi per pagare alcune bollette. «Mi è sembrata una comunicazione di vita quotidiana — ripete il figlio — non l’annuncio di qualcosa di grave». Graziella da domenica sera è ricoverata nel reparto di Psichiatria dell’ospedale Galliera e ieri al figlio ha ripetuto: “Dovevo morire anch’io”.
2. L’ARRESTO E LA GOGNA SUL WEB
G.Fil. per “la Repubblica”
«Non collego il suicidio di mio padre al mio arresto, e sono convinto che i giudici svolgeranno il loro lavoro - dice Marco Ballario Menetto, il figlio arrestato di Francesco, il pediatra che non ha retto alla vergogna e si è gettato dal Ponte Monumentale di via XX Settembre, a Genova. Io e mia moglie dimostreremo la nostra estraneità ai fatti, ma sull’opportunità di applicare una misura cautelare abbiamo da lamentare. Quello che abbiamo subito, bisogna provarlo...». Il farmacista è nervoso, ha la faccia stanca di uno che non dorme da 48 ore e ha pianto.
Puntate l’indice contro la procura di Monza?
«Abbiamo ricevuto l’avviso di garanzia nel settembre del 2012, abbiamo continuato a lavorare, ci siamo anche sposati. Già tre anni fa ero stupito di essere indagato, figuriamoci quando ci è stato notificato l’arresto. Non mi aspettavo una misura così restrittiva, anche perché non siamo stati sentiti dai magistrati, né sono stati contattati i nostri avvocati».
Arresti domiciliari perché la magistratura ha ritenuto sussistente la reiterazione del reato. Lei ha continuato ad acquistare farmaci di provenienza illecita. C’era il pericolo di fuga, per i pm.
«Non capisco per quale motivo sarei dovuto scappare da Genova. E poi, da quelle ditte coinvolte nell’indagine dei Nas non ho più comprato. Avevo tagliato i ponti già da subito, con qualcuna già prima. Non avevano prezzi vantaggiosi».
Eppure la accusano di avere acquistato farmaci rubati.
«Secondo voi compro medicinali dal riciclaggio, poi faccio i bonifici bancari, registro le fatture e trasmetto i numeri di serie al Ministero della Salute? Tutti passaggi tracciabili».
Quale è stata la sua reazione quando ha saputo che lei e sua moglie, Valentina Drago, eravate agli arresti?
«Non essendo delinquenti di professione, bloccati in casa, senza poter telefonare, con i carabinieri che ti controllano a qualsiasi ora, che ti svegliano alle 3 del mattino per verificare se sei in casa, è devastante. Mi accusano di partecipare ad una associazione a delinquere. Noi, oltre ad avere la farmacia in via Bixio, siamo anche distributori e il giorno dopo il mio arresto abbiamo ricevuto le disdette di moltissimi ordini».
E suo padre?
«Non credeva a tutto ciò. Mi ha cresciuto e mi ha educato sui valori in cui credeva, mi faceva coraggio, aveva fiducia in me».
Però non ha retto.
«Tutti questi fatti hanno incrinato la famiglia, tutte le persone care hanno accusato un duro colpo. Vedere il figlio sbattuto in prima pagina come un delinquente, per noi è una gogna. Tanto che si è suicidato e mia madre stava per andargli dietro».
Questa vicenda ha pesato sulla professione di Francesco Menetto?
«Potete chiederlo a chi l’ha conosciuto - ripete, singhiozzando - era amato dai bambini e dai genitori: alle 3 di notte si alzava ed andava in visita domiciliare, in estate non faceva le vacanze per non lasciare i bambini, non andava al cinema per non spegnere il telefonino. Eppure, sui social network ha letto commenti di ogni genere: “Lucrano sulla vita degli altri”, oppure “Chiudetegli la farmacia”. Poi sono iniziate le telefonate offensive, del tipo: “Ma che vaccino ha usato per mio figlio?”, “Ci prescrive farmaci rubati?”. Accuse insopportabili».
Sono cresciuti i sospetti anche sul suo lavoro di pediatra?
Prima di rispondere il farmacista guarda la moglie, quasi cercasse l’autorizzazione. «L’ultimo colpo è arrivato la scorsa settimana: mio padre è rimasto un giorno intero senza essere chiamato dai pazienti, senza fare una visita. Non era mai accaduto».
E sua mamma?
«Non si aspettava questa batosta. Ieri sono andato a trovarla in ospedale, mi ha detto che voleva buttarsi anche lei: erano legatissimi. Non ho capito ancora cosa è accaduto domenica sera, non ho voluto chiederglielo, anche perché tuttora non ha realizzato... ».
3. CARNEVALI: CHIEDO SCUSA ALLA FAMIGLIA
Piero Colaprico per “la Repubblica”
La foto ufficiale del presidente della Repubblica è ancora quella di Carlo Azeglio Ciampi, le nuove non sono mai arrivate. A sinistra della scrivania ci sono quelle di tre papi, Wojtyla, Giovanni XXIII e Francesco. Manca Benedetto XVI. Sulla scrivania, pile di fascicoli, e altri, con «firma urgente», ne porterà poco dopo un cancelliere: «Qui — dice Corrado Carnevali, procuratore capo di Monza — ogni anno apriamo 17mila fascicoli per quindici sostituti procuratori, uno ogni 70mila abitanti circa, ma lei non è qui per questo record negativo, immagino».
Il caso è ormai noto, dottor Carnevali. Un genitore di 65 anni si suicida a Genova, dopo che su richiesta di questa procura il figlio farmacista viene messo agli arresti domiciliari. Prima di buttarsi da un ponte, il padre lascia scritto «Magistratura miope a volte uccide», e lei risponde «Ormai dicono tutti così». È una frase che rinnega?
«Non la rinnego, ma il fatto è che ho risposto al telefono a una giornalista, ho fatto un lungo discorso che cominciava con il cordoglio, com’è comprensibile. Poi ho detto quello che pensavo, e sono le stesse cose che ha detto più autorevolmente il presidente della Repubblica Mattarella convocando il Csm dopo i tre omicidi dentro il palazzo di giustizia di Milano, e cioè che “i magistrati sono sempre in prima linea e ciò li rende particolarmente esposti, e anche per questo va respinta con chiarezza ogni forma di discredito nei loro confronti”.
In più, conosco le carte, sono convinto che il mio sostituto, che ha chiesto l’arresto del farmacista genovese, e che per esempio ha scoperto chi stava dietro il cosiddetto “caso Boffo”, stia svolgendo un’inchiesta accurata, quindi perché “magistratura miope”? Gli avvocati dell’arrestato hanno fatto ricorso, gli arresti sono stati confermati, perché accusarci così? Noi ci occupiamo di reati, dobbiamo smettere forse d’indagare? Che cosa si vuole da noi delle procure?»
È comunque il biglietto di un suicida.
«Lo so e in 47 anni di magistratura mai m’è successo né di entrare in polemica né di essere travisato. Forse è un segno dei tempi che sono cambiati e quest’anno vado in pensione».
Tempi cambiati come?
«C’è un clima impensabile negli anni in cui mi sono occupato di terrorismo, quando sono stato in Corte d’appello durante Tangentopoli. Comunque, sappia che tutto volevo fare meno che offendere una persona che s’è tolta la vita, o i suoi familiari. È successo qualcosa andato ben al di là della mia intenzione».
Ma il montare delle polemiche non l’ha colpita?
«La verità? Mi ha chiamato mia figlia, in serata, ma insomma, mi sembrava esagerata, convinto com’ero di non aver detto niente di male. Non ho visto la tv, stamani non sono ancora riuscito a leggere i giornali perché s’è tenuta una riunione sulla manutenzione del Palazzo di giustizia e ho saputo in ritardo, e con sorpresa, che anche il viceministro alla giustizia Costa mi ha criticato. Se mi avesse fatto una telefonata, avrei detto subito che è stata estrapolata una piccola frase da un contesto più vasto in cui prevaleva il cordoglio. E se c’è da chiedere scusa chiedo scusa, ci mancherebbe. Ma in piena coscienza a tutto pensavo meno di poter aggiungere dolore a dolore, però…».
Però?
«Oggi vedo ribaltarsi il concetto stesso di giustizia. Come se fosse in atto una sorta di rivoluzione copernicana, per cui l’illegalità è sempre più diffusa, l’impunità sembra una regola e poi… ascolti, c’è una lettera, mandata qualche giorno fa in carcere all’uomo che ha sparato nel tribunale di Milano, che mi ha particolarmente colpito».
Una lettera a Claudio Giardiello?
«Sì, lettera anonima, il carcere ce l’ha mandata per competenza. Scritta da uno che gli dice che “almeno l’80% della gente è con te”. E si congratula con questa frase: “Un magistrato in meno, qualcuno gli ha fatto capire come gira il mondo”. Insomma, secondo l’anonimo i cittadini “sono esasperati” contro i magistrati che “non sono stati eletti dal popolo” e che “liberano i criminali e non arrestano gli zingari e i ladri di rame”. La conclusione è: “Temete l’ora dei mansueti”. Non credo che l’80% degli italiani stia con l’indagato detenuto nel carcere di Monza, sia chiaro, però…».
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