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MA QUALE “CULTURA PATRIARCALE”, I GIOVANI SOFFRONO DI ANALFABETISMO EMOTIVO - LO SPIEGA BENE LO PSICOTERAPEUTA ALBERTO PELLAI: “NESSUNO INSEGNA AL MASCHIO COME ESSERE COMPETENTE ANZICHÉ POTENTE. È PREOCCUPANTE IL DESERTO IN CUI STANNO VENENDO SU I MASCHI, AI QUALI CHIEDIAMO SEMPRE DI STARE DENTRO L’AZIONE, LO SPORT, IL GAMING E NON DENTRO LA RELAZIONE. ANCHE NEI PERCORSI DI PREVENZIONE SULLA VIOLENZA DI GENERE PARLIAMO DI MASCHI CHE UCCIDONO E RAGAZZE VITTIME, FACENDO PASSARE UNA NARRAZIONE CHE VEDE SOLO IL MASCHILE ATTIVO CHE COLPISCE E IL FEMMINILE CHE SI DEVE DIFENDERE…”
Estratto dell’articolo di V.Gian. per “la Repubblica”
«L’unico messaggio che passa è imparare a riconoscere il maschio violento, ma nessuno insegna al maschio come essere competente anziché potente». Alberto Pellai è medico e psicoterapeuta, autore di un libro dal titolo: Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani.
Come è possibile che quello che i suoi conoscenti descrivevano come “un bravo ragazzo”, “mai strano”, come Filippo Turetta, avesse manie di controllo, comportamenti violenti, fino a uccidere?
«[…] Dentro a questi copioni di “bravissimo ragazzo obbediente” non si è costruita quell’autonomia e quella competenza di sé che ci fa capire chi siamo. Tanto che un ragazzo può pensare di essere sé stesso solo se legato a un’altra persona.
Da questo consegue una paura tremenda, una disperazione spaventosa nel perdere il legame d’amore. E questa massa di sentimenti esplode poi in rabbia perché non si sa stare in contatto con la propria tristezza. Si tratta di analfabetismo emotivo: i primi veri dolori, che per un adolescente possono essere la ragazza che ti lascia, non si sa come maneggiarli».
giulia cecchettin e filippo turetta 1
Secondo lei dobbiamo parlare quindi di fragilità emotiva e non di violenza patriarcale?
«Ne sappiamo poco, non so se qui ci sia un padrone patriarcale violento e non intendo assolvere gli uomini perché maschio ma mi sono fatto l’idea che ci sia una vulnerabilità identitaria terrificante. La relazione amorosa diventa la totalità del contesto relazionale e scatena un controllo manipolatorio pesante […] Se mi lasci, è il concetto assurdo, non esisto più. […] Senza quella relazione, un soggetto che per età non ha ancora avuto il tempo di diventare nulla, si sente niente. E scatena allora un disperato tentativo di controllo della vita dell’altro senza saper controllare il proprio stato di solitudine e abbandono».
Manca l’educazione alle relazioni?
«Questo è un tema enorme, che riguarda come crescere i nostri figli e figlie e farli attraversare i tempi dell’adolescenza e dell’adultità. Ed è preoccupante il deserto in cui stanno venendo su, soprattutto i maschi, ai quali chiediamo sempre di stare dentro l’azione, lo sport, il gaming e non dentro la relazione. Anche nei percorsi di prevenzione sulla violenza di genere parliamo di maschi che uccidono e ragazze vittime, facendo passare una narrazione che vede solo il maschile attivo che colpisce e il femminile che si deve difendere».
giulia cecchettin e filippo turetta 2
E allora come si fa a educarli i ragazzi?
«In Ragazzo mio ho immaginato cinque momenti. Il primo è insegnare ai ragazzi a dire le parole legate ai propri stati d’animo, a raccontare il loro male, la rabbia, la paura, la tristezza. Il secondo è legato all’educazione sentimentale che è praticamente inesistente: per i maschi ci sono solo giochi sparatutto e film con supereroi, non c’è alcuna narrazione affettiva. Terzo step: la differenza tra fare sesso e fare l’amore. Gli adolescenti hanno un accesso continuo a una sessualità manipolatoria e oggettificante dove il corpo dell’altro serve a prendersi il piacere mentre anche nel sesso si possono creare relazioni empatiche, rispettose e responsabili. Il quarto momento è la costruzione della competenza al posto della concezione di potenza alimentata dalla velocità e dalle sfide estreme. Ultimo: il lavoro sul tema del rispetto e del consenso nella relazione, il sentirsi alla pari non per controllo ma perché si sta bene l’uno con l’altro».
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