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Carlo Cambi per “la Verità”
ALESSANDRA VERNI MADRE DI PAMELA MASTROPIETRO
Sono passati dieci mesi ma l' orrore della morte e dello scempio del corpo di Pamela Mastropietro sono intatti.
Stamani comparirà davanti al Gup di Macerata, dottor Claudio Bonifazi, Innocent Oseghale, 29 anni, nigeriano che è accusato di aver violentato, ucciso, fatto a pezzi Pamela, la ragazza romana di soli 18 anni, il cui corpo fu trovato in due trolley nelle campagne di Macerata a Casette Verdini il 31 gennaio scorso.
Dopo dieci mesi d' indagini il procuratore capo di Macerata Giovanni Giorgio è convinto di avere prove schiaccianti, ma il processo si giocherà sulle perizie necroscopiche e tossicologiche. Si saprà stamani se Oseghale sceglierà o meno il rito abbreviato. Dal carcere di Forlì dove è rinchiuso il nigeriano proclama: «Ho fatto a pezzi il corpo, ma non ho ucciso».
In aula a patrocinare la parte civile ci sarà lo zio di Pamela, l' avvocato Marco Valerio Verni che rappresenta i genitori della ragazza: Stefano Mastropietro e Alessandra Verni. La mamma di Pamela in questa intervista ripercorre quest' incubo che dura da dieci mesi.
Alessandra, stamani vedrà per la prima volta l' uomo che è accusato di aver ucciso e scempiato il corpo di sua figlia. Con che spirito va in quell' aula?
«Andrò con lo spirito di una mamma in cerca di giustizia per una figlia per la quale avrei dato la mia stessa vita, come immagino farebbe ogni genitore. La forza molto spesso traballa, ma poi penso a come è stata ridotta e al compito che, a chi sopravvive a fatti di sangue come questo, spetta nei confronti della comunità: far sì che non accada ad altri».
PAMELA MASTROPIETRO CON LA MADRE ALESSANDRA VERNI
Lei hai detto: l' uccisione di mia figlia è il fallimento delle istituzioni, ma ora deve affidarsi alle istituzioni perché ha anche detto «sopravvivo per dare giustizia a mia figlia». Ha fiducia nella giustizia?
«È il fallimento di certa parte delle istituzioni. Sono cresciuta in una famiglia in cui mi è stato insegnato il rispetto per determinati valori ed è mio dovere credere fino all' ultimo nell' operato della magistratura e degli organi inquirenti.
La morte di Pamela deve servire a puntare l' attenzione su tutto quello che ha portato alla sua barbara uccisione: dalla comunità dalla quale si è allontanata, al perché persone condannate per spaccio e senza più un permesso di soggiorno valido stessero ancora in Italia a spacciare droga. Poi certo: c' è chi è pronto a domandarmi se anche noi genitori possiamo aver commesso qualche errore.
In linea generale, penso che questo aspetto dovrebbe restare nell' intimità della famiglia. Seguendo però la provocazione posso dire che, di certo, dato l' epilogo, sembra sempre di non aver fatto mai abbastanza e ci si interroga sul passato. Ma qualche domanda me la porrei anche sull' effettivo ruolo che oggi i genitori hanno nei confronti dei propri figli.
Ricordo che un carabiniere ebbe a dirmi, davanti alla stessa Pamela, con la quale avevo avuto un violento diverbio perché l' avevo sorpresa di nuovo con il ragazzo che l' aveva introdotta all' uso dell' eroina: "Signora, ma sua figlia, a 17 anni, può fare quello che vuole e uscire con chi crede. Non è - il suo - il modo giusto di fare il genitore”. Oggi sarei curiosa di vedere la faccia di quel militare».
la morte di pamela mastropietro desmond lucky e awelima lucky
Dal processo sono usciti Awelina e Desmond, altri due nigeriani condannati per spaccio, Oseghale ammette solo di aver offeso il corpo di Pamela, avremo una condanna?
«Come abbiamo sempre detto, riteniamo improbabile che Oseghale possa aver fatto tutto da solo. Ma non impossibile. Ma da quello che ci ha riferito il Procuratore, non c' è stata alcuna richiesta di archiviazione nei confronti di Awelima e Desmond. Spero che nulla sia stato tralasciato, ma ci sono mio fratello avvocato ed il suo team di validi consulenti che stanno compiendo le opportune analisi e valutazioni».
Lei si è battuta come una leonessa per gridare al mondo che Pamela non era tossicodipendente. Perché?
«Pamela, purtroppo, aveva sviluppato una patologia della personalità e l' uso della sostanza stupefacente ne è stato un effetto conseguente. Ma voleva risollevarsi e aveva accettato di entrare in comunità. Ricordo che all' inizio di questa storia, quando venne a casa una troupe televisiva per intervistarmi, rimasero un po' sbigottiti vedendo che erano in una casa normale, al centro di Roma, con tanti libri di storia, archeologia, arte, diritto e cimeli di guerra, anche appartenuti a nostri parenti decorati al valor militare.
E abitata da persone altrettanto normali, ognuno con una professione rispettabile. Forse si aspettavano una famiglia di disadattati o di poco di buono. Questo per dire del pregiudizio da parte di qualcuno».
Lei ha detto più volte: indagate sulla Pars, la comunità che l' aveva in cura. Nulla però è successo...
«Leggo di persone che messe lì a vario titolo (anche agli arresti domiciliari), si sono allontanate dalla struttura. Io mi domando come sia possibile che una ragazza giovane come Pamela, con la patologia che aveva, con un amministratore di sostegno, e sottoposta a un regime terapeutico importante, con medicinali che ne potevano compromettere la lucidità mentale, sia stata lasciata andare via in quel modo.
Noi, peraltro, siamo stati avvisati dopo che già di Pamela si erano perse le tracce. La Pars ha sempre risposto di non poter far nulla e di non essere un carcere: beh, non credo neanche che una comunità a doppia diagnosi possa considerarsi un albergo, dove uno possa entrare e uscire a proprio piacimento.
Se occorre cambiare qualcosa nelle leggi che regolano queste strutture, si faccia. E in fretta. Lei trova normale che si possano allontanare persone con patologie della personalità, o messe lì agli arresti domiciliari? Io francamente no».
Alessandra, perché ha scritto alla mamma di Desireé Mariottini e ha portato fiori a Desirée? Crede che ci sia una sorta di pregiudizio su queste ragazze per proteggere il fatto che a ucciderle e violentarle sono stati degli extracomunitari?
«A volte, l' impressione è che si voglia spostare l' attenzione sulle vittime e sulle loro famiglie, per distoglierla dai loro carnefici. Il problema dell' immigrazione è scottante e ognuno pone l' accento su queste tragedie a seconda della propria convenienza. Ma non si possono chiudere gli occhi davanti a fatti oggettivi».
alessandra verni madre di pamela mastropietro
A Macerata la morte di Pamela ha generato una spaccatura: da una parte le persone che vi hanno abbracciati, dall' altra le istituzioni che sono sempre state fredde. Ha qualcosa da dire al sindaco e al Consiglio delle donne?
«Al sindaco non ho nulla da dire né, tantomeno, al Consiglio delle donne. Rivolgo, invece, un abbraccio affettuoso alle splendide persone di Macerata che, con tanti gesti, grandi e piccoli, ci hanno testimoniato la loro vicinanza.
È anche per loro che portiamo avanti questa battaglia che è, prima di tutto, di civiltà.
Mia figlia è stata, secondo l' ipotesi accusatoria, violentata e uccisa ma poi, sicuramente, fatta a pezzi chirurgicamente, scarnificata, disarticolata, dissanguata, lavata con la candeggina, messa in due trolley e abbandonata sul ciglio di una strada. Definire questi atti demoniaci è persino riduttivo».
Ha paura di scoprire altre verità: che sua figlia sia stata vittima di un rito tribale della Mafia nigeriana?
«Nulla è da escludere. Su questo mi affido a chi di dovere».
Stefano, il papà di Pamela, che le ha confidato aspettando il processo?
Avete un atteggiamento molto solidale fra voi «Certamente. Ci siamo separati quando Pamela era molto piccola, ma l' affetto per un figlio rimane immutato. E quando devi sopravvivere a una tragedia come questa, o vai giù, o centuplichi le forze. Almeno fino a quando giustizia non venga resa. Non è affatto facile. Sono tanti i momenti di estremo sconforto. Ma ci si risolleva. Bisogna farlo».
Pensa che Pamela sia vittima anche dell' immigrazione incontrollata?
«Di sicuro, le carte processuali - e non solo - ci hanno raccontato di un mondo fatto da tante persone che vengono qui, chiedendo protezione internazionale, e invece si ritrovano, nella migliore delle ipotesi, a spacciare.
E, nel caso di Pamela, tra gli indagati, c' è chi dice di essere appartenuto, in Nigeria, a organizzazioni criminali (Rogged), o sul cui telefono sono state trovate immagini di persone torturate. Lei cosa direbbe? O cosa si aspetterebbe?».
Porterà qualcosa di Pamela in aula che la faccia sentire lì con lei?
«Non lo so. Sarà un momento molto duro, sicuramente».
Un'ultima domanda, forse la più dolorosa: com' era, chi era e cosa le resta di Pamela?
«Mi rimane il suo sorriso, e anche i nostri litigi. Le volevo bene e, nonostante la poca differenza di età che avevamo, ho cercato di darle il meglio».
PAMELA MASTROPIETRO CON LA MADRE ALESSANDRA VERNIpamela mastropietroPAMELA MASTROPIETRO
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