QUESTIONE DI CLASSE - IL BULLISMO AD HARVARD SI FA COI SOLDI: SE NON PAGHI NON TI DIVERTI

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Francesco Semprini per "La Stampa"

Questione di soldi, verrebbe da dire sentendo il racconto di alcuni ex alunni di Harvard Business School, la scuola di «affari» dell'ateneo più celebre degli Stati Uniti che anche quest'anno si trova in vetta alla classifica del World University Rankings.

A far la differenza tra gli iscritti sono infatti gli assegni staccati per le attività ludiche, come se non bastassero le cospicue rette che vengono pagate per l'iscrizione e la «sopravvivenza» universitaria. Ad esempio, all'ingresso nel campus gli alunni del primo anno devono staccare alle rispettive «Section», ovvero il gruppo di studio in cui vengono inseriti, un assegno di 300 o 400 dollari, se vogliono essere coinvolti nelle cosiddette «attività sociali», feste, riunioni, celebrazioni e altri generi di svaghi.

Ed è solo l'inizio, perché secondo il «New York Times», gli studenti di secondo anno (il corso «graduate» è articolato in un biennio), organizzano minivacanze sulle piste da sci a mille dollari, o fine settimana di lusso a Mosca o in Islanda. Gli spendaccioni più spregiudicati sono quelli della «Section X» una sorta di «società segreta» per studenti ultra-ricchi chiamata così per sottolinearne l'eccezionalità, visto che le sezioni regolari vanno dalla A alla J.

Eloquente la testimonianza di Christina Wallace, attuale direttore di «Startup Institute», che ha frequentato la scuola di business di Harvard grazie a una borsa di studio. «Ad un certo punto i miei compagni di corso mi hanno detto a chiare lettere che dovevo spendere più soldi se volevo essere più coinvolta nelle attività di classe», dice l'ex studentessa. «Non facevano altro che ripetere la stessa cosa - racconta - "la differenza tra una buona esperienza ed una bellissima è di soli 20 mila dollari"». Quasi una forma di bullismo discriminante: «Lì le differenze di classe sono elemento di divisione ancor più che la differenza tra maschi e femmine», chiosa Wallace.

Tanto che in riferimento a un recente articolo apparso sempre sul «New York Times» nel quale si diceva che Harvard sta aumentando i propri sforzi per promuovere il ruolo delle donne all'interno dell'ateneo, la reazione di molti è stata simile a quella di Christina.

«Il problema è un altro - ha scritto sul sito del quotidiano un'ex alunna - ho preso in prestito decine di migliaia di dollari per elevare il mio stato sociale e non mi sono mai sognata di portare i compagni a casa dei miei genitori». Eppure gli iscritti alla scuola di Business sembrano provenire dalle realtà più disparate e il 65% frequenta grazie a borse di studio che permettono di far fronte alla retta di 50 mila dollari l'anno.

Anche il rettore della scuola, Nitin Nohria, è noto per aver sempre affrontato in maniera corretta le questioni sociali che caratterizzano le dinamiche interne all'ateneo. Tuttavia è assai complicato capire quali e quanti sforzi siano stati compiuti per far fronte ai conflitti sociali e di sesso. Un suggerimento arriva da Thomas J. Peters, coautore di «In Search of Excellence», e aspro critico dell'educazione impartita nelle scuole di business, il quale spiega che bisognerebbe introdurre una clausola di iscrizione: i candidati ricchi devono aver fatto un'esperienza significativa dal punto di vista sociale. Sempre che non si comprino anche quella.

 

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