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Giordano Stabile per “la Stampa”
LE ROVINE DELLA MOSCHEA AL NURI A MOSUL
Ventinove giugno 2014-29 giugno 2017. L' epitaffio del Califfato l' ha dettato ieri il premier iracheno Haider al-Abadi a Mosul, nel giorno del terzo anniversario della sua «rifondazione» da parte di Abu Bakr al-Baghdadi, e soprattutto nel giorno che ha visto le truppe irachene rimettere piede nella Grande moschea di al-Nuri, o meglio sulle sue rovine. La liberazione totale dell' ex capitale dello Stato islamico dovrà attendere ancora «qualche giorno, al massimo due settimane», secondo i consiglieri americani che hanno indirizzato dalle retrovie la battaglia, cominciata nove mesi fa.
LE ROVINE DELLA MOSCHEA AL NURI A MOSUL
Al-Abadi fremeva, l'occasione era troppo ghiotta. Le immagini delle forze speciali ai piedi del minareto Hadba, il Gobbo, spezzato dalle cariche esplosive che una settimana fa hanno fatto saltare tutto il complesso, sono il simbolo del fallimento di al-Baghdadi. Dalla Grande moschea l'autoproclamato Califfo aveva lanciato la sua sfida, ricostruire un grande impero e cacciare gli «infedeli», gli occidentali, dalle terre islamiche, a cominciare dal Medio Oriente.
Il Califfato doveva diventare la «terra promessa» per tutti i musulmani ma adesso, nelle parole di al-Abadi, «questo falso Stato islamico è finito». L'area della moschea di Al-Nuri al-Kabir, una distesa di macerie disseminate di bombe-trappola, è stata ripresa ieri mattina dalle forze speciali del Counter Terrorism Service.
LE ROVINE DELLA MOSCHEA AL NURI A MOSUL
Sono state due unità di questo corpo speciale - l'Emergency Response Division e la Golden Division, addestrate da americani e italiani - a condurre il grosso della battaglia, assieme a esercito regolare e ex milizie sciite inquadrate nella Polizia federale. Sessantamila uomini che hanno piegato la resistenza di ottomila jihadisti, molti stranieri. Ne restano 400, assieme a 50 mila civili, in una striscia lungo la cornice, il lungofiume sul Tigri, due kmq scarsi. Saranno tutti «uccisi o portati davanti alla giustizia».
LE ROVINE DELLA MOSCHEA AL NURI A MOSUL
Più probabile la prima ipotesi. La battaglia è stata «il più duro conflitto urbano dalla fine della Seconda guerra mondiale», secondo il generale americano Joseph Martin. Una Stalingrado in Mesopotamia. Mosul Est è stata risparmiata, ma Mosul Ovest, e la Città Vecchia, con moschee e chiese millenarie, è distrutta. Non ci sono dati ufficiali sui soldati caduti e vittime civili. Rapporti del Pentagono indicano perdite del 40% fra le forze antiterrorismo, 18 mila uomini: più o meno 1500 morti e oltre 5 mila feriti.
Ma la riconquista della Grande moschea era troppo importante. Voluta da Nur al-Din al-Zinki, emiro della Siria e del Nord dell'Iraq sotto turchi segiulchidi, è stata terminata nel 1173. Al-Zinki governava da Aleppo a Mosul, ed è stato uno dei più implacabili avversari dei crociati.
LE ROVINE DELLA MOSCHEA AL NURI A MOSUL
Nella moschea venne a pregare il Saladino, prima della spedizione che portò alla riconquista di Gerusalemme. La scelta di proclamare qui la rinascita del Califfato era tutto un programma: guerra senza quartiere all' Occidente, fin nelle strade delle sue capitali. Il progetto di al-Baghdadi è moribondo, e la scelta di far saltare in aria la moschea, pur di non cederla intera, è segno che la fine è vicina.
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