DAGOREPORT - SI SALVINI CHI PUO'! ASSEDIATO DAL PARTITO IN RIVOLTA, PRESO A SBERLE DA GIORGIA…
1. LA MOVIDA SI SGONFIA È FUGA DAI LOCALI E LA CITTÀ SPROFONDA NEL COPRIFUOCO
Giovanna Vitale per “la Repubblica - Roma”
Intorno a mezzanotte piazza San Pietro è immersa in una nebbiolina sottile che restituisce alla spianata basilicale un aspetto spettrale. Nei dintorni del colonnato del Bernini ormai sigillato, sorvegliato h24 da sette camionette abitate da coppie di agenti armati fino ai denti, si aggirano spaesati non più di una decina di persone, che a gruppi di due o tre affrettano il passo al primo ticchettio sul selciato avvertito alle spalle.
Un riflesso condizionato, dopo la strage di Parigi: il nemico può essere chiunque, il ragazzo con la barba che nasconde il volto in una sciarpa colorata, la coppia di stranieri aggrappati ai loro zainetti, il quarantenne in abiti dimessi che somiglia tanto a un pellegrino, ma chissà.
È buia piazza San Pietro. Nonostante i lampioni. Nonostante i fari delle macchine della polizia. Nonostante le torce accese da qualche turista previdente per farsi largo nell’oscurità di una città poco conosciuta. I terroristi dell’Is l’hanno spenta. Svuotata. L’eco dei kalashnikov imbracciati oltralpe è arrivato sin qui, è come se si sentisse ancora, ha il suono della paura che si diffonde nella notte romana e diventa compagna inseparabile.
«Hanno detto che i prossimi siamo noi, impossibile non farci i conti», si stringono due studenti fuori sede iscritti alla Lumsa, l’università cattolica poco distante, un bilocale affittato nei dintorni. «I nostri genitori non fanno che ripeterci di stare attenti, di non uscire la sera, di evitare i luoghi affollati, ma come si fa? Dovremmo rinunciare a vivere. Ma abbiamo ventitre anni!». Giusto qualcuno in meno di Salah Abdeslam e Abdelhamid Abaaoud, le menti degli attentati di Parigi. Gli stessi di molte delle vittime trucidate al Bataclan.
A Roma, di notte, comincia a far freddo. L’autunno è arrivato tardi, quest’anno, sull’onda di un’estate che sembrava non finire più. Trastevere è deserta. Nessuno beve ai tavolini all’aperto. I bar di piazza Trilussa, in genere tracimanti musica e teenager, stanno già abbassando le saracinesche. Nei vicoli si avverte l’odore acre dei detersivi passati sui pavimenti prima della chiusura.
«Da lunedì è un dramma, non viene più nessuno », conferma il titolare di un pub aperto spesso fino all’alba, ma non stasera, non c’è ragione. «Dopo gli attacchi in Francia, complice gli allarmi- bomba che ormai si registrano anche a Roma, i locali si sono svuotati», rivela Fabio Spada, presidente della Fipe-Confcommercio che raggruppa un migliaio tra bar, ristoranti, pizzerie, gelaterie.
«Solo oggi mi hanno chiamato una quindicina di associati per lamentarsi: rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, c’è stato un crollo degli affari che sfiora il 20%. I picchi registrati soprattutto in centro, forse perché i luoghi di aggregazione, nell’immaginario collettivo, sono i più rischiosi».
Ma a soffrire, forse per la prima volta, sono pure «i ristoranti stellati, che stanno ricevendo valanghe di cancellazioni anche dall’estero». Trattorie storiche e blasonate come Pierluigi o L’antica Pesa, «che hanno una clientela internazionale e dunque subiscono il calo della presenza straniera».
La verifica sul campo certifica la debacle. Gli hotel sono i più colpiti. «Da sabato, i tour che passavano per Parigi e arrivavano a Roma sono stati quasi tutti annullati», lancia l’allarme Giuseppe Roscioli, presidente della Federalberghi cittadina. «A venir meno sono stati soprattutto i potenziali visitatori provenienti dal sud est asiatico, Giappone, Cina, Corea. Ma è ancora presto per fare stime, la reazione in questo momento è emotiva ». Legata cioè a quel sentimento di terrore e angoscia che si respira ovunque.
Nelle metropolitane, dove «fa impressione scendere e trovare l’esercito», racconta Silvia, tutti i giorni sulla linea A da Rebibbia a Cipro e ritorno. «Ormai con gli altri passeggeri è tutto un guardarsi intorno, prima passavo il tempo a leggere, ora non più, osserviamo ogni pacco o valigia, sobbalziamo a ogni movimento improvviso ». È così in quei luoghi ovattati e zeppi di bellezza che sono i musei.
Dove ieri squadre di agenti si sono presentati - su input del prefetto Gabrielli per verificare i dispositivi di sicurezza: dal funzionamento dei metal detector alle telecamere di videosorveglianza, allertando gli addetti sul comportamento da adottare in caso di persone e oggetti sospetti. Racconta uno di loro che «martedì sera, intorno alle 19,30, dalla sala regia ci avvertono che nei piani non c’è più nessuno e che possiamo cominciare a chiudere.
La guardarobiera però ci dice che le è rimasto uno zaino. Succede, a volte, ma l’effetto non è lo stesso. Non oggi. Seguo la ragazza, parlando mi dice che è il numero 42, lo prende, gesticola, ma dentro di me qualcosa è entrato in allarme. Le dico di posarlo e di andare a riferire. Guardo quello zaino, nero, come tanti altri zaini. Cerco di pensare a come facciano le persone a dimenticare gli oggetti, ma nello stomaco si crea un vuoto che difficilmente si può spiegare.
Chiudiamo, e mentre dico ai colleghi che sì, forse bisognerebbe avvertire le forze dell’ordine, il proprietario dello zaino rientra trafelato. L’ho guardato e l’ho odiato. In dieci minuti ho pensato a cosa abbiano provato i ragazzi del Bataclan mentre vedevano sterminare quelli che, fino a pochi istanti prima, cantavano e ballavano accanto a loro». L’indicibile. L’orrore.
2. TURISMO E CONSUMI SE LA NOTTE DI PARIGI PUÒ GELARE LA RIPRESA
Maurizio Ricci per “la Repubblica”
Cosa volete che sia un’ombra, qualche milligrammo di zucchero in più nel sangue, destinato, per giunta, ad essere rapidamente riassorbito? Be’, dipende. Se è un paziente appena uscito dalla rianimazione, tuttora in terapia intensiva, quel milligrammo è sufficiente a far scattare l’allarme e a convocare, attorno al capezzale, cardiologi con la fronte aggrottata. Li vediamo in queste ore. Il capezzale è quello dell’economia europea, il trauma sono i massacri di Parigi, i cardiologi sono i banchieri centrali.
«È aumentato il livello di incertezza», commenta amaro il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Gli attacchi di Parigi «potrebbero aver elevato i rischi di un indebolimento dell’area euro», concorda Peter Praet, il capoeconomista della Banca centrale europea. Mettete in conto che, nelle riunioni informali della stessa Bce, già ci si interrogava sull’opportunità di ritoccare in modo robusto, agli inizi di dicembre, le dosi di medicinali, vista la debole risposta dell’economia europea alle terapie in corso e capirete il nervosismo che circola a Francoforte.
Per una volta, i banchieri centrali sono più irrequieti degli stessi mercati. Le Borse non hanno ancora deciso da che parte muoversi. Il petrolio ha continuato a scendere, l’oro galleggia. D’altra parte, è difficile prevedere l’impatto effettivo di eventi tragici come quelli di Parigi. Il terrorismo — dicono gli economisti — tende ad avere conseguenze limitate e transitorie sull’economia. Il caso di scuola sono le due Torri di New York. Le stime parlano di oltre 20 miliardi di dollari di danni fisici a edifici e infrastrutture, una paralisi del turismo con 12 miliardi di dollari di profitti in meno per le compagnie aeree del mondo.
Tutto sommato, l’economia Usa crebbe nel 2001 mezzo punto in meno di quanto sarebbe avvenuto senza gli attentati, e creò 600 mila disoccupati in più. Dati che vanno visti in prospettiva: nel giro di un anno, l’America aveva recuperato il terreno perduto.
Gli attentati del 2001 non sono peraltro comparabili, per scala (di morti e di danni), a quanto è avvenuto la scorsa settimana a Parigi. Più vicino l’attacco dei terroristi ai treni dei pendolari a Madrid nel 2004, con 191 morti.
Gli economisti spagnoli hanno concluso che i costi dell’attacco furono equivalenti allo 0,03 per cento dell’economia nazionale. Nella situazione europea attuale, tuttavia, il dato complessivo può non essere sufficientemente indicativo. Nei prossimi mesi, gli economisti guarderanno in particolare al turismo, che, per la Francia, che aspetta gli Europei di calcio, come per l’Italia, che aspetta il Giubileo, vale oltre il 7 per cento del Pil. Non si tratta solo di viaggi ed alberghi. Anche di consumi. Chi pensa che i ricchi facciano i loro acquisti sotto casa, ad esempio, si sbaglia. Oltre metà degli acquisti di lusso avviene in viaggio.
Perché turismo e lusso sono così importanti per l’Europa di oggi? Perché sono indicatori sui quali è facile leggere in fretta il clima psicologico delle economie nei mesi a venire, un dato che viene ritenuto cruciale per le speranze di ripresa. Ai vertici delle banche centrali europee sono, infatti, acutamente consapevoli delle difficoltà che sta incontrando la rianimazione dell’area euro.
Sotto gli occhi di tutti c’è il fatto che nell’economia continentale, in questi mesi, stanno venendo immessi stimoli di una intensità inedita. Un prezzo dell’energia ai minimi, come non si vedeva da anni. E iniezioni massicce di liquidità di entità inedita, destinate a ripetersi ancora, almeno per altri dieci mesi. Tanto che, finalmente, si sta allentando la stretta al credito, anche nei Paesi più difficili: in Italia stanno crescendo i crediti alle imprese e ne diminuiscono i costi.
Ma le economie si muovono lo stesso a passo di lumaca. L’espansione, in Italia, sarà meno dell’1 per cento quest’anno e dell’1,5 per cento il prossimo. La Francia crescerà dell’1,1 per cento nel 2015 e dell’1,4 per cento nel 2015. Anche la Germania resterà sotto il 2 per cento. A questi ritmi, se anche il terrorismo tosasse solo qualche decimale, l’impatto sarebbe brusco e sensibile. In Italia, ad esempio, anche uno 0,1 per cento in meno equivarrebbe a tagliare la crescita di un decimo.
Come osserva Moody’s, meno crescita significherebbe deficit e debito più pesanti, rendendo d’attualità manovre di bilancio all’insegna dell’austerità. E stroncherebbe sul nascere i germogli di ottimismo e fiducia su cui le autorità monetarie contavano per un sostanziale rilancio dei consumi interni, che compensi le debolezze della domanda estera.
11/9 - Il collasso della torre sud
Quei germogli erano già assai deboli, come confermano le aspettative di inflazione, ancora a ritmi troppo lontani dall’obiettivo del 2 per cento. Ora, come dice Praet, potrebbero essere ancora più avvizziti. E, se l’impatto diretto del terrorismo è transitorio, nel momento in cui intacca ottimismo e fiducia si prolunga nel tempo. Sempre che rimanga contenuto e isolato. Una vera e propria ondata terroristica, infatti, avrebbe costi assai diversi. Si calcola, ad esempio, che, nei Paesi Baschi, la campagna di attentati dell’Eta sia costata fino al 10 per cento del Pil. E altrettanto ha pesato, sull’economia israeliana, l’Intifada.
11 settembre L impatto del secondo aereo
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