“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Teodoro Chiarelli da “la Stampa”
«Sulla nave io, come comandante, sono il primo dopo Dio». Fa un certo effetto ascoltare in aula le espressioni colorite di Francesco Schettino visto che è sotto processo per il naufragio che ha causato la morte di 32 persone.
Ma tant’è, anche così l’ex comandante risponde al pubblico ministero Alessandro Leopizzi che lo incalza con domande pressanti sul tardato allarme dopo l’urto della Costa Concordia al Giglio la notte del 13 gennaio 2012. Il pm insiste, chiede dettagli su procedure, ruoli, responsabilità e mansioni di quanto avviene a bordo. Fino a che Schettino sbotta e per spiegare il proprio ruolo di comandante, taglia corto: «Sulla nave io il primo dopo Dio».
A Grosseto, al Teatro Moderno adibito a Tribunale, secondo giorno dell’interrogatorio dell’ex comandante per il quale la Procura della Repubblica di Grosseto intende chiedere oltre 20 anni di carcere. Dopo la manovra, l’urto e la prima emergenza, oggi viene trattata la fase dell’abbandono della nave e lo sbarco sull’isola. Si parte affrontando il tema del ritardato allarme ai passeggeri.
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«Perché non diede subito l’emergenza generale?», chiede il pm. Schettino non si scompone. «Volevo far arrivare la nave il più possibile sotto l’isola, altrimenti se avessimo dato i 7 fischi brevi e uno lungo, con le vibrazioni che c’erano state, la gente si sarebbe buttata in acqua quando ancora la Concordia scarrocciava in alto mare dopo l’urto».
Sì, perché Schettino sostiene di essere stato certo che la nave era in grado di galleggiare. «Anche con tre compartimenti motori allagati». Anzi, aggiunge, che si sarebbe avvicinata al Giglio. «D’inerzia, con la prora al vento di grecale, sarebbe tornata verso l’isola. Ho aspettato a dare l’emergenza generale, e me ne assumo la responsabilità, perché sapevo esattamente i tempi di scarroccio della nave, io conoscevo bene la Concordia, volevo fare in modo che si avvicinasse all’isola e poi, allora, dare l’emergenza generale. Il danno era ormai fatto. Andava mitigato».
Leopizzi non sembra molto convinto, tutt’altro. Torna più volte sul ritardato allarme, mentre la Concordia aveva i locali motore allagati, niente più propulsione e il generatore d’emergenza ko. Poi chiede a muso duro: «E quegli annunci vocali rassicuranti fatti dare dal personale ai crocieristi terrorizzati?». Un sospiro e l’imputato risponde: «L’ho fatto per tranquillizzare le persone, temevo il panico».
Il pm non dà tregua. Gli chiede conto del perché non ha detto alla capitaneria di Livorno e al capitano Gregorio De Falco cosa era successo, ammettendo solo un blackout. «Il capo dell’unità di crisi di Costa Crociere, Roberto Ferrarini, mi disse che avvertiva lui la Capitaneria, io volevo chiamare i rimorchiatori. E non volevo dirlo via radio perché, come mi disse Ferrarini, i rimorchiatori si sarebbero mangiati la nave». Dunque, parrebbe di capire, Schettino avrebbe mentito alla Capitaneria di porto di Livorno per far risparmiare Costa Crociere. Poi, però, a una domanda precisa di Leopizzi, l’ex comandante risponde, un po’ imbarazzato: «No, non l’ho fatto per far risparmiare Costa».
costa concordia arriva a genova
Leopizzi continua. «Perché a Civitavecchia lei dà il cellulare e non chiede via radio i rimorchiatori, voleva risparmiare sul costo?». Schettino prova a spiegare. «Perché via radio avrebbero sentito tutti. E comunque io non ho privilegiato la nave rispetto alle vite umane. Il prezzo l’avrei concordato successivamente. Avrei agito con freddezza una volta che tutti i passeggeri fossero stati in sicurezza».
Il pm, però, fa notare come la procedura di emergenza prevedesse di chiedere soccorso via radio e che tra le accuse che lo riguardano c’è la mancanza di comunicazioni con l’autorità. Fa ascoltare in aula alcuni brani intercettati e la telefonata in cui dalla Concordia, su ordine di Schettino, fu detto alla capitaneria di Livorno che c’era soltanto un blackout a bordo. «Non cambiava nulla - risponde l’ex comandante - Già dire che c’era il blackout era motivo di allarme per la capitaneria».
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