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Enrico Franceschini per “la Repubblica”
È scomparsa la segretaria. Non si tratta di un thriller, bensì di un dato di fatto: questa cruciale figura del lavoro di ufficio sta uscendo di scena. A Londra, in poco più di un decennio, il loro numero è calato del 44 per cento. In tutta la Gran Bretagna, nello stesso periodo, i posti da segretaria si sono dimezzati: rispetto al 2001 ce ne sono 163mila in meno.
Una svolta che, scrive il Financial Times, non riguarda soltanto il Regno Unito, bensì tutto il mondo industrializzato. È il risultato di un doppio fenomeno. Da un lato la crisi economica del 2008 e i suoi postumi, che hanno spinto molte aziende a ridurre i dipendenti e contenere le spese: i compiti della segretaria sono stati distribuiti fra il resto del personale, ognuno deve arrangiarsi da sé e contribuire al funzionamento della società.
Dall’altro lato, la rivoluzione digitale, che consente a smart phone, application e web di fare almeno parte del lavoro della segreteria: la segreteria in carne e ossa sostituita da una segretaria computerizzata. E c’è un terzo elemento che spiega il declino delle segretarie: l’out-sourcing, l’esternalizzazione delle mansioni al di fuori di un’azienda e spesso addirittura in un altro Paese, dove è più basso il costo del lavoro. Così chi non può farne a meno prende la segretaria “a noleggio”, un tanto all’ora, magari utilizzando un call-center in India.
Attenzione però: non abbiamo avuto tutti la sensazione, lavorando in un ufficio, che la segretaria o meglio le segretarie fossero il vero motore che teneva in piedi tutto l’edificio? Proprio questo è il punto della novità indicata dalle statistiche inglesi. L’indagine del quotidiano della City, infatti, segnala che a scomparire è la segretaria vecchio stile, poco più che una dattilografa, quella che rispondeva al telefono, batteva o digitava una lettera, magari portava il caffè al capo, come nei vecchi film sull’agente 007.
Mentre è destinata a rimanere al suo posto, anzi a diventare sempre più importante, la “segretaria 2.0”, che perlomeno in Inghilterra o negli Stati Uniti nessuno si sogna più di chiamare “secretary”, giudicato riduttivo, preferendo il termine “Personal Assistant”, abbreviato per comodità in P.A. (pronuncia: “pi ei”). Una “assistente personale” di dirigenti, manager, boss, che è sempre di più un elemento essenziale dell’ingranaggio, chiamata ad amministrare e di fatto decidere l’agenda e il calendario del suo assistito, a viaggiare con il capo, talvolta a rappresentarlo e sostituirlo nelle riunioni.
Quasi sempre laureata, in grado di parlare due-tre lingue, in sostanza una specie di “vice-comandante” del dipartimento in cui presta servizio: l’equivalente del capo di gabinetto di un ministro o del “chief-of-staff”, il capo dello staff, di un presidente. Tanto più potente quanto è il potere del dirigente per cui lavora.
E la P.A. viene pagata molto bene, da 50mila a 250mila dollari lordi l’anno negli Usa (da 45mila a 230mila euro). L’unica cosa che stenta a cambiare, per ora, è il sesso: il 97 per cento degli iscritti alla International Association of Administrative Professionals, l’associazione internazionale della categoria, sono donne. Ma il mestiere cambia, cambia la sua immagine e gradualmente aumentano anche gli uomini interessati a farlo. Magari come P.A. di un boss donna.
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