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Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
Ho tre brevetti da sub (chi se ne frega, ma serve per l'articolo) e forse potrei dire qualcosa a proposito dei sub milanesi che sono scomparsi in Indonesia sabato scorso: qualche giornale, chiuso per Ferragosto, ne accennava ieri.
Che poi "scomparsi" (...vuol dire, probabilmente, morti: le ricerche locali confidano di trovare le salme tanto per chiudere la pratica (anche se alcuni sub inglesi, otto anni fa, furono salvati dopo essere rimasti in balia delle onde per due giorni) e quindi si tratta di capire se da noi l' attività subacquea faccia notizia solo in caso di disgrazia (e dunque non sia realmente pericolosa) oppure se sia pericolosa eccome, col dettaglio che si straparla degli incidenti soprattutto in agosto quando sui giornali non si sa che cosa mettere.
Naturalmente c' è del vero anche in questo: i milanesi scomparsi nella piccola isola di Sangalak (est del Borneo, Indonesia) nel nostro inverno avrebbero trovato meno spazio, anche se le vacanze esotiche non rendono gli incidenti subacquei meno numerosi; è anche probabile che in posti come l' Indonesia i controlli di sicurezza dei diving master (gli istruttori che ti noleggiano la roba e ti portano a fare le immersioni) possano essere meno stringenti. Pare che lo stesso diving master che aveva organizzato l' immersione in Indonesia fosse un tipo disinvolto, che badasse cioè poco ai rischi delle correnti sottomarine - spesso assenti in superficie - le quali possono trascinarti via e arrivederci a tutti.
Parentesi: nell' Oceano Indiano mi capitò un istruttore locale che non controllava neppure che i clienti avessero i brevetti, e che, ricordo, indossava un cappello da generale Custer (sott' acqua) e ci fece un briefing di mezz' ora per controllare che le nostre bombole fossero a posto: poi, più tardi, a meno trenta metri, d' un tratto si attaccò al mio erogatore d' emergenza perché aveva dimenticato di riempire le sue, di bombole. In Italia invece il brevetto te lo controllano quasi sempre: capitò così anche durante un' immersione notturna in cui mi diedero una torcia che però si scaricò di colpo, lasciandomi nel nero totale.
Detto questo, l' attività subacquea è un sport meraviglioso ma appare ben più pericoloso di altri che hanno peggior fama. Non mancherà mai chi ti spieghi che, se fai tutte le cose bene, non ti accadrà mai nulla: ma l' errore capita sempre, e poi gli imprevisti sono dietro l' angolo. È convenzione che i detentori di un solo brevetto non scendano oltre i 18 metri: ma non ho mai incontrato nessuno in vita mia - mai - che si attenesse alla regola.
Parliamo di una disciplina che, qualsiasi cosa capiti, ti provoca l' impulso di risalire in superficie: anche se è proprio questo a causare embolie e sovradistensioni polmonari. Il problema è che mancano dati chiari e attendibili: qualche organizzazione internazionale (Dan, Divers Alert Network) parla di tassi di mortalità effimeri (3 x 100.000, sarebbe lo 0,00006 per cento) e questo per cause come esaurimento delle bombole (41%) o intrappolamento (21%) o problemi con le attrezzature (15%) o ancora acque agitate (10%) eccetera.
Personalmente ci credo poco. Occorrerebbe capire se i dati comprendano anche i malesseri che possano capitarti sott' acqua (e che diventano fatali perché capitano sott' acqua) e se i dati comprendono anche i morti per attività di apnea, che paradossalmente superano quelli dell' attività attrezzata.
Un altro studio (Dan e Università del Rhode Island) ha sostenuto che gli incidenti capitano anche perché hai paura di averne: il panico sarebbe responsabile del 20-30 percento degli incidenti mortali in immersione (dato che contraddice i precedenti) e perciò sarebbe la prima causa di morte; nell' ansia di raggiungere la superficie il più rapidamente possibile, il sub dimentica di respirare normalmente e questo facilita un' embolia gassosa arteriosa. Insomma, non sarebbe uno sport per apprensivi.
In tema di sport e mortalità comunque non mancano le sorprese: il paracadutismo - che pure ho praticato, ma che ora mi terrorizza - ha un tasso di mortalità solo dello 0,025 per cento, mentre lo sci ce l' ha dello 0,05 per cento: è più facile ammazzarsi sciando. Non stiamo parlando di numeri assoluti, ovviamente, ma di percentuali rapportate al numero dei praticanti: altrimenti lo sport più pericoloso d' Occidente sarebbe il calcetto (300mila persone che ogni anno finiscono al pronto soccorso per traumi assortiti) o così almeno ha sostenuto la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia: peggio del rugby, del football americano o del pugilato.
Ma non - attenzione - dell' alpinismo e dintorni, forse la disciplina più pericolosa in rapporto a quanto poco se ne parla, forse nell' incertezza di comprendere in una sola categoria l' alpinismo propriamente detto e le ferrate e l' arrampicata in tutte le sue declinazioni, ma soprattutto l' escursionismo improvvisato, il più fatale tra tutti. Un concetto che mi tornava in mente l' altro giorno sul Resegone, montagna relativamente semplice e citata nell' incipit dei Promessi Sposi: ma che in pratica, tra un parco giochi e una funivia, lungo le sue gole ha una lapide ogni dieci metri. Non è fatto per stare sulle montagne, l' uomo: figurarsi sott' acqua.
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