trans cambio di sesso

LE STORIE, I DOLORI E LE SPERANZE DI CHI VOLA IN THAILANDIA PER CAMBIARE SESSO - GRAZIE A PREZZI MODICI E SANITÀ EFFICIENTE, BANGKOK E’ DIVENTATA LA CAPITALE MONDIALE DELLA CHIRURGIA ESTETICA PER CHI SENTE IL BISOGNO DI “TRANS-FORMARSI”

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Imma Vitelli per “Vanity Fair”

 

vanity fair   marzo 2016vanity fair marzo 2016

Laura siede su un salvagente di cotone e si liscia i capelli e riflette. Fa male, è evidente. “Non chiedermi come sto”, dice. “E’ troppo presto”. Comoda, dentro una maglietta rossa, pallida, senza un filo di trucco, ricorda una bimba che ha visto l’alba per la prima volta. È nata a Genova, rinata a Bangkok. Nel mezzo, tra nascita e rinascita, una laurea in Medicina e 28 anni di ricerca. «Sono finalmente integra», dice e mentre lo dice è evidente quel che pensa, chissà come sarà questa nuova vita all’orizzonte.

 

Laura fa parte del popolo in transito, persone che non si riconoscono nell’immagine che rimanda lo specchio e che viaggiano alla volta dell’Oriente, per una soluzione irreversibile. «Bangkok è la meta, lo sanno tutti», mi dirà Sonia, un’altra trans italiana, in trasferta. Negli ultimi trent’anni, la Thailandia, con i suoi efficienti servizi sanitari, la cortesia leggendaria, i prezzi accessibili, è diventata la capitale mondiale del cambio del sesso.

 

la trans foggiana soniala trans foggiana sonia

Sulle brune rive del fiume Chao Phraya è fiorita un’industria. È una specializzazione della chirurgia plastica e conta ormai più di venti cliniche e un centinaio di medici e un giro d’affari, nel 2014, di tre miliardi e mezzo di euro, in vertiginosa crescita. «In Italia, la lista d’attesa è di tre, quattro anni», spiega Sonia, una ragazza di trenta anni, di Foggia. Sonia fa la parrucchiera, a Pescara, ed è giunonica, con occhi grigi e lunghe ciglia.

 

«Veniamo tutte in Thailandia. Per forza. Sono bravissimi. Sette mie amiche si sono operate qua». Così è venuta anche lei seguendo il tam tam di un gruppo in portoghese su Facebook, «Donne del terzo millennio». «Sono felice», dice. L’altro giorno, si è guardata per la prima volta allo specchio, e si è vista liscia.

 

la trans agnes landaula trans agnes landau

«Ho pianto», dice. «Ho una bella profondità». Tecnicamente, l’intervento si chiama inversione peniena. Con la pelle e le cellule e i nervi del fallo, il chirurgo ha giocato a Dio, impastandole una vagina. La sua profondità, apprenderò in seguito, è direttamente proporzionale alle dimensioni della virilità rinnegata. Nel 70% dei casi, anche questo mi sarà spiegato, i maghi thailandesi garantiscono la perfetta sensibilità dell’impianto. Con Laura, il medico di Genova, di queste cose non parlo.

 

Tanto Sonia è femmina ed esuberante, tanto Laura è timida e meditabonda. L’unica cosa che hanno in comune è la clinica che le ha operate. Laura al collo ha un ciondolo di quarzo; il quarzo, dice, ha una struttura chimica simile al diamante, però è fatto di silicio. «Per me rappresenta la bellezza delle piccole cose». Il suo smarrimento è cominciato a 8 anni. «Mi sentivo fuori posto», dice.

 

clinica per il cambio di sesso a bangkokclinica per il cambio di sesso a bangkok

«Ho cercato di omologarmi, di nascondermi, di fare il maschio. Non ero mai vera, ero sempre una maschera. Sono stata a lungo depressa, fuori dal coro, disconnessa». Le piacevano le donne, voleva essere donna. «Sono lesbica. La mia transizione è cominciata in testa. Ho fatto tanta psicoterapia. Non ero la trans che una si aspetta. Ho iniziato a frequentare un’associazione, GenovaGaya. Da lì mi sono sbloccata, due anni fa». Mentre l’ascolto penso che siamo tutti un po’ maschi e un po’ femmine. L’identità non è data una volta per tutte, si costruisce e si trasforma tutta l’esistenza. E allora: perché il bisturi?

 

clinica per il cambio di sesso a bangkok clinica per il cambio di sesso a bangkok

Laura annuisce, paziente, e si muove sul piccolo salvagente di stoffa che la protegge. «Noi siamo testa e noi siamo corpo», dice. «Siamo un tutt’uno. Il mio rapportarmi con chi mi sta intorno passa attraverso il corpo. Quando chi sei è tanto lontano dall’immagine che dai, è tutto distorto. A quel punto, la chirurgia ti fa essere fuori quello che sei dentro. Crea un’armonia, integra i due elementi».

 

Laura è a Bangkok con i genitori, che la sostengono. La mamma, una signora bionda, che legge Khaled Hosseini, dice che è stata devastante la sua depressione: «Così qualsiasi soluzione va bene». Il papà, un signore colto, un accademico, dice che la preoccupazione è per il suo futuro, quanto sarà accettata, che vita avrà. «Quando avete cominciato a chiamarla Laura?», chiedo. Il papà sorride. «Un po’ alla volta».

 

clinica per il cambio di sesso a bangkok  clinica per il cambio di sesso a bangkok

Al nonno, cieco, non l’hanno detto. E allora talvolta è confuso, talvolta sente quel nome e chiede, nell’oscurità: ma Laura, chi è? A Laura e a Sonia sono arrivata grazie a una soave signora thailandese, che di mestiere procaccia clienti a una delle più note cliniche di Bangkok. Si chiama Charee Sripaisalmongkol e nulla l’aveva preparata a questo mestiere, se non un incongruo anno di studio della lingua italiana a Corleone.

 

La sua prima immersione avviene con una chiamata sette anni fa: il PAI, Preecha Aesthetic Institute, aveva bisogno di un’interprete per due ragazze sicule, era forse Charee disponibile? La clinica oggi ha sbancato, con mille pazienti all’anno, e la paga per occuparsi del marketing, cosa che fa con la sua società, Estetica Thailandia. Charee dice di essere prudente: a volte rifiuta.

clinica per il cambio di sesso a bangkok   clinica per il cambio di sesso a bangkok

 

«C’è chi si presenta dicendo che il fidanzato la vuole donna. Uno ha chiamato dicendo hello sono gay e voglio la vagina. Non va bene. C’è confusione. Indietro non si torna. C’è gente che si pente. Il difficile è capire chi fa sul serio». Charee accetta soltanto chi è in cura ormonale e vive da donna e si veste da donna e si trucca da donna da almeno un anno. «In Thailandia è facile», dice. «Tutto ciò che ti serve è il denaro». La legge richiede la lettera di due psichiatri, ma è una formalità.

 

«La verità è che se hai 13.000 euro – operazione più residence e voli – in due settimane torni a casa con nuovi genitali». In questi anni, ha capito diverse cose. In America, per esempio, non c’è libertà, lo fanno a 60 anni, dopo essersi sposati e aver fatto i figli. Gli italiani si lanciano da giovani e sono femminili, come gli asiatici. I turchi sono particolari, dice, sono come le trans di dieci anni fa del Sud d’Italia. E com’erano?

 

il dottor preecha tiewtranon si occupa di cambi di sessoil dottor preecha tiewtranon si occupa di cambi di sesso

«Esuberanti, chiassose. Una se ne andava felice in giro e a chiunque la notasse urlava “Operation!” alzando la gonna». Il pioniere delle «correzioni di genere» è un anziano gagliardo signore, titolare del PAI, il mitico dottor Preecha Tiewtranon. Il dottor Preecha è una fucina di aneddoti che risalgono al 1975, l’anno in cui si rese conto che quella era la sua via. Lavorava nel più grande ospedale pubblico, il Policlinico Chulalongkorn. «Arrivavano tanti pazienti mutilati. Chissà chi li tagliava. Sembravano mucche o cani, non c’era il buco, non potevano urinare. Così ho cominciato».

 

I primi stranieri comparvero a inizio anni Ottanta e fu un diluvio di stravaganze. «Il primo fu un iraniano. C’era ancora Khomeini al potere. Arrivò con 3 mila dollari arrotolati dentro un condom, nascosto nel retto». Seguirono europei, australiani e americani. «Pensi che una madre americana aveva tre figli maschi: li ho operati tutti. In un’altra famiglia, ho fatto di un figlio una figlia e di una figlia un figlio. Così tante storie strane». Nel 90% dei casi, la correzione passa attraverso la castrazione, con buona pace di Freud e dell’invidia del pene di moltitudini di bambine in guerra con se stesse.

ballerine trans a bangkokballerine trans a bangkok

 

«Al primo posto ci sono oggi i cinesi», dice il dottor Preecha. «Immagini che in Cina c’è mezzo milione di trans in attesa di operazione!». Da buon buddhista, il dottor Preecha non capisce chi non capisce, proprio non ce la fa. «Chiunque di noi, morendo, potrebbe rinascere come loro».

 

È un pensiero diffuso, nel Sudest asiatico. In Birmania e nel Nord della Thailandia, si pensa che i transessuali abbiano un brutto karma, che nella vita precedente abbiano commesso peccati contro le donne. Nell’antica cultura di Siam, essi avevano un ruolo privilegiato: quello di medium tra gli spiriti e il mondo terreno. Danzavano alle cerimonie del tempio ed era riconosciuto loro uno status superiore, di custodi, in un corpo solo, del maschile e del femminile.

 

trans cambio di sessotrans cambio di sesso

Della ricomposizione dell’alterità in un’unica forma. Della conciliazione degli opposti, dello yin e dello yang. «Personalmente penso sia un tragico errore la scelta chirurgica dei trans», dice l’antropologo Narupon Duangwises. «Dovrebbe essere consentito loro di essere maschi effeminati. Invece ha vinto la cultura occidentale che impone loro una scelta. È una perdita per l’umanità ed è una vittoria del marketing e dell’industria della bellezza che li vuole castrati e con un corpo perfetto».

 

Ho pensato alle parole del professor Narupon entrando in uno dei centri più sofisticati di Bangkok, la Clinica Kamol. La clinica effettua 340 interventi all’anno ed è nota per una certa scaltrezza nella promozione in alcuni mercati. Sponsorizza ogni anno in Brasile e in Australia concorsi di Miss Trans, in palio l’operazione di cambio del sesso, gratis. «Ma è optional», mi dice il capo del marketing, Danai Tanamee.

 

il cambio di sesso prevede la rimozione del pene e dei testicoliil cambio di sesso prevede la rimozione del pene e dei testicoli

«Volendo possono farsi una liposuzione o anche il botox a vita». È stato alla Clinica Kamol che ho conosciuto uno struggente personaggio, una fragile principessa del Dagestan. Più che una donna, Agnes Landau era un miraggio. Ancheggiava, discinta, su trampoli rosa, brandendo un orsacchiotto. Diceva di essere musulmana convertita al cattolicesimo; fuggita minorenne a Vilnius, in Lituania; modella con una piccola agenzia di Milano. Odiava il padre e anche lo specchio che rifletteva il suo «coso».

 

Era sola e riemergendo dall’anestesia aveva chiamato la madre: «Mi ha detto: a casa non tornare mai più». Tutto questo me lo diceva in varie interviste, poiché dal nostro arrivo, in clinica, aveva fatto in modo di essere al mio fianco, in diverse mise, con diversi trucchi, con l’orso e gli occhioni spalancati. Se si potesse misurare la solitudine, la sua farebbe il giro del pianeta, ho pensato.

operazione di cambio sessooperazione di cambio sesso

 

Un giorno l’ho trovata distesa su una sdraio nera, tra le gambe un vibratore chiaro. Ce ne erano sei, allineati su un piano, di diverse dimensioni. «Sto facendo le dilatazioni », annunciava trionfale. Le dilatazioni facevano parte della routine quotidiana, ne faceva due al giorno, un’ora per volta. «Io sono al numero 2», spiegava.

 

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«Il numero 2 è di 14 centimetri. All’inizio ero a dieci, lentamente guadagni in profondità, ma fa male. Non posso mica rischiare che si richiuda. Dovrò farlo per sempre». Mi osservava in silenzio, una bambina con un orsacchiotto in mano. Aveva 22 anni. Aveva fatto l’amore per la prima volta a 14 con un uomo molto più grande, incontrato su Internet. Aveva camminato per le vie della sua città, inseguita da un insulto: frocio! E ora era lì, a migliaia di chilometri da casa, a dirmi: casa? Che casa? Casa è la mia valigia, casa sono io, è il mio problema, voglio una famiglia, non l’ho mai avuta. Ora era lì, a ricordarmi i traumi che fanno di noi le persone che siamo. Le vessazioni per il nostro colore, per la nostra religione, per le nostre inclinazioni sessuali, che non dimentichiamo. Le ferite che diventano armature, maschere, identità. Puoi nasconderle, ma non eluderle; trameranno nell’ombra in attesa della rivincita. Era lì, dentro un cubicolo di Bangkok, a guardarmi come un cucciolo smarrito.

 

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«Vuoi vederla?», chiedeva a un tratto, triste e sfrontata. «Ogni vagina è unica». Sollevava il telo. «C’è tutto», diceva. C’è tutto, confermavo. C’era anche un bottoncino di carne rossa, infiammata: la clitoride sorta dalle cellule del glande. «Sono una donna», sussurrava, «sono una principessa», diceva e la voce s’incrinava e il volto si rigava di lacrime.