DAGOREPORT – CON L'OPERAZIONE GENERALI-NATIXIS, DONNET SFRUTTA UN'OCCASIONE D'ORO PER…
Chiara Daina per il “Fatto Quotidiano”
Di “crepacuore” si muore sul serio. Da oggi non è più soltanto un detto popolare. La sindrome, chiamata anche cardiomiopatia da stress, uccide come l’infarto. I sintomi sono identici: dolore al petto, con senso di costrizione, e affanno improvviso. Lo dimostra per la prima volta uno studio internazionale a cui ha collaborato un team di ricercatori del Policlinico Gemelli di Roma guidati da Filippo Crea, direttore del dipartimento di Scienze cardiovascolari, e Leda Galiuto, cardiologa presso la stessa struttura.
La ricerca ha coinvolto 26 centri di nove stati tra Europa e Stati Uniti ed è stata pubblicata a settembre sul New England journal of medicine, una delle più prestigiose riviste di medicina generale al mondo. “Il crepacuore non è una malattia benigna - dichiara Galiuto -. La prognosi è simile a quella dei pazienti con infarto, cioè con possibilità di shock cardiogeno nel 12% dei casi, la condizione in cui il cuore non pompa sufficientemente sangue all’organismo, e di morte nel 5%”.
Nel campione preso in esame (1.750 pazienti), le donne sono le più colpite. “Il rapporto - continua la cardiologa - è di 9 a 1”. Tra le cause più evidenti c’è lo stress emotivo, il 30% delle volte in seguito a un lutto, o fisico, in particolare dopo un intervento chirurgico (36%). Mentre la metà dei pazienti manifesta la patologia in presenza di disturbi psichiatrici, per esempio la depressione.
“Le donne tendono a trascurare i dolori al petto - avverte Galiuto -. Accompagnano il marito al pronto soccorso se accusa lo stesso sintomo, ma lei di solito non ci va e associa le palpitazioni all’ansia o al panico. Invece è bene ricordare che una repentina morsa al cuore va presa sul serio e richiede un controllo dal cardiologo”.
Delle morti per crepacuore non esiste una stima ufficiale. Se fino a questo momento la sindrome è rimasta avvolta nel mistero è perché le alterazioni non riguardano le arterie coronarie, cioè i vasi sanguigni che portano il sangue al muscolo cardiaco, come nell’infarto, ma l’occlusione a livello del microcircolo, quindi nei rami più piccoli in cui si suddividono i vasi arteriosi.
“Dall’elettrocardiogramma le coronarie risultano normali, senza restringimento - spiega Galiuto -. Il cuore però ha una forma a palloncino”. Da qui l’altro nome con cui è noto il crepacuore “takotsubo”, cioè il vaso (in giapponese “tsubo”) con cui in Giappone raccolgono i polipi (“tako”).
La scoperta a cui ha contribuito il Gemelli servirà “per non sottovalutare le fasi acute della sindrome e per gestire con più attenzione il follow up”, cioè le visite di controllo successive. A preparare il terreno alla ricerca è stato un altro studio del 2010, sempre coordinato dalla cardiologa Galiuto, che ha messo in luce il suo meccanismo fisiopatologico, e le modificazioni delle funzioni organiche nel corso della malattia.
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