“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
1 - UCCIDE L' UOMO CHE INVESTÌ SUA MOGLIE
Federica Fusco per “la Stampa”
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
«Maledetti, me l' avete ucciso». Il grido di dolore è quello del papà di Italo D' Elisa, il ragazzo, già indagato per omicidio stradale, ammazzato ieri pomeriggio in Abruzzo, a Vasto, dal fornaio Fabio Di Lello, di anni 33. L'omicidio - una sparatoria consumatasi in via Perth - passa come vendetta premeditata per la morte di Roberta Smargiassi, moglie di Fabio e vittima, lo scorso primo luglio, di un incidente stradale causato proprio dal giovane D' Elisa: lei era in scooter, lui sfrecciò con il rosso.
Intanto si apprende che lo stesso Italo sarebbe dovuto comparire, nei prossimi giorni, davanti al Gup: «Ci era stata notificata - dichiara il legale della famiglia D' Elisa, Pompeo Del Re - la fissazione di un'udienza preliminare, nel corso della quale si sarebbe deciso se disporre o meno il rinvio a giudizio».
FIACCOLATA IN RICORDO DI ROBERTA SMARGIASSI
«GIUSTIZIA PER ROBERTA»
L' accadimento aveva scosso da subito l' opinione pubblica: si era formato un comitato cittadino - Giustizia per Roberta - che chiedeva alla magistratura di agire nei confronti del colpevole. In seguito, nel periodo natalizio, era stato promosso un incontro sportivo di calcetto per onorare la memoria della donna, via via si erano accese le proteste sui social, le stesse che contribuiranno ad alimentare una caccia alle streghe con relativa «campagna d' odio».
Anche Di Lello, su uno spazio online dedicato ai lettori di ZonaLocale, aveva scritto che il suo dolore era stato trasformato in un videogioco, aggiungendo: «Mi chiedo, dov' è la giustizia? Mi rispondo, forse non esiste! Non dimentichiamo, lottiamo, perché non ci sia più un'altra Roberta».
LA BACHECA FACEBOOK DI FABIO DI LELLO
Ieri, prima di costituirsi ai Carabinieri, Di Lello avrebbe confidato tutto a un amico, poi sarebbe andato al cimitero sulla tomba della moglie per lasciare l'arma, una pistola semiautomatica chiusa in una busta di plastica e successivamente ritrovata dalle forze dell' ordine. A sporgere denuncia sembra essere stato il suocero con il quale, da mesi, si ritrovava per piangere la signora scomparsa.
Dopo un primo fermo nella caserma dei carabinieri Di Lello è stato trasferito in carcere: «Ho già incontrato Giampiero Di Florio, il procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Vasto - commenta il legale dell'assassino, Giovanni Cerella - ma non c'è stato l'interrogatorio. Oggi il pm ha fatto solo degli accertamenti autonomi, non ha sentito l' imputato che però di sua spontanea volontà ha raccontato una parte dell' accaduto. La sua situazione psicologica è molto difficile, ha dovuto fronteggiare la perdita inaspettata della moglie, tutto il resto lo appureremo».
Di poche parole lo stesso pm, che commenta la vicenda bollandola come «tragedia nella tragedia» e manifestando una certa avversione per il web: «Non mi parlate della rete, sono assolutamente contrario a tutte queste forme di comunicazione. Vedo una gioventù malsana che non parla più affidandosi a commenti spregiudicati. Sono forme di violenza anche queste».
Infine sulla scena del crimine è arrivato anche il direttore del reparto di Medicina legale della Asl Lanciano-Vasto-Chieti Pietro Falco per la ricognizione cadaverica: «Da un primo esame esterno risultano sicuramente più di due colpi, in regione addominale e craniale. Un quadro completo sarà possibile con l'esame autoptico, forse già in giornata, che stabilirà anche la direzione dei colpi. L'autopsia verrà eseguita all' obitorio presso l' ospedale di Vasto dove è stata trasferita la salma. Le indagini saranno coordinate dal sostituto procuratore Gabriella De Lucia». E così, in Abruzzo, non bastavano il terremoto, la tragedia dell' Hotel Rigopiano e lo schianto di un elisoccorso. Il teatro dell' orrore continua.
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
2 - PER FABIO C'ERA SOLO QUELLA TOMBA E L'EX BOMBER DIVENTÒ GIUSTIZIERE
Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
A rileggere le sue ultime interviste c'è Roberta ovunque. «Quest' estate non tocco il pallone. Mi piace andare in bici con la mia fidanzata, poi andremo insieme a Istanbul, un viaggio che sogniamo da tempo. E poi ci sposeremo». Erano i primi giorni di giugno del 2014. Fabio Di Lello aveva deciso di smettere per davvero. Aveva trent'anni. Negli ultimi sette si era diviso tra il pallone e il forno di famiglia. Si occupava di pizze, pane e cornetti, impastava e curava le teglie. Lavoro dalle 22 alle 8 del mattino, poi a dormire. Sveglia alle 15, allenamento alle 19. Senza soluzione di continuità.
Erano due stipendi, ma era anche una gran fatica. «Smetto, perché voglio avere una famiglia tutta mia». Il momento di dire basta non è mai facile, per un calciatore e in generale per un atleta. Di Lello era una gloria locale. Aveva cominciato che aveva cinque anni, raccattapalle nella San Paolo calcio, a sua volta una istituzione del calcio abruzzese. Prima in difesa, poi l' allenatore dei portieri ebbe una intuizione e lo spostò in avanti.
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
Divenne bomber, etichetta alla quale teneva molto, anche se non ha mai segnato tanto, e fece il giro dell'oca delle categorie minori, Pro Vasto, Casoli, Virtus Cupello, Vasto Marina. A 18 anni debuttò in serie D, aveva ricevuto offerte per salire più in alto. Rifiutò, per aiutare il padre con il forno, accettando lo status di calciatore dilettante, per quanto ben retribuito. Nel 2012 aveva già provato una volta a ritirarsi, ma era stata la sua nuova fidanzata, Roberta, a rispedirlo in campo, con l' aiuto della bilancia. Era arrivato a pesare quasi cento chili. La scelta dell' estate 2014 era definitiva. Era una promessa.
E le stava mantenendo tutte, dal matrimonio ai viaggi, sempre in coppia, prima la Turchia, poi gli Stati Uniti, ma anche la Sardegna. «Ogni partenza da soli era un regalo che uno faceva all' altro», dice al telefono un suo amico ed ex compagno di squadra. Il resto sono frasi di circostanza, erano così tranquilli e belli, non si separavano neanche la sera, lei aveva cominciato a lavorare nel panificio del suocero per stare vicino a lui, pensi che andavano anche a far la spesa insieme, al centro commerciale.
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
«Negli ultimi tempi erano diventati molto riservati, perché si bastavano». I nostri cuori, dice una vecchia poesia, rispondono a stelle che non vogliono saperne di noi. Così la notte del primo luglio 2016 lo aveva chiamato al forno Nicolino, il papà di Roberta. Vieni in ospedale, c'è stato un incidente. Era già tutto finito. Ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo.
All'incrocio tra corso Mazzini e via Giulio Cesare era finita la vita di sua moglie, e qualcosa si era spento dentro Fabio Di Lello. Da quel giorno non aveva più dato segni di reazione. Andava tutti i giorni al cimitero. Aveva chiesto e ottenuto che ci mettessero davanti una panchina, per tutte le persone che volevano rendere visita a Roberta. Il 16 luglio, due settimane dopo, aveva partecipato alla fiaccolata per lei, organizzata dai suoi amici per evitare che sulla vicenda scendesse il silenzio. Avevano parlato soltanto loro. Fabio era rimasto in silenzio. «Ci sembrava sempre più vuoto». Con quella manifestazione era cominciato anche qualcos' altro.
La legittima richiesta di giustizia si era trasformata in manifesta sfiducia nella legge, disillusione, rassegnazione al peggio, infine in odio. Di Lello era finito dentro questo contenitore, forse colmo di buone intenzioni, ma dai miasmi mefitici. Il suo vuoto si era riempito, di pensieri sempre più cupi.
Il clima intorno a questa tragedia si era fatto orrendo.
Alla fine di dicembre, mentre la Procura stava chiudendo le indagini, anche tra il legale della famiglia di Roberta e quello del presunto responsabile della sua morte erano saliti i toni a mezzo stampa, in un crescendo di accuse e insulti reciproci. Il 5 gennaio era dovuto intervenire il Consiglio dell' ordine degli avvocati di Vasto, richiamando i suoi due associati «a criteri di equilibrio e misura e al rispetto di discrezione e riservatezza», criticando «la spettacolarizzazione del processo, ancora più inopportuna nella fase successiva alla chiusura delle indagini, che non aiuta i cittadini a comprendere le dinamiche del fatto».
Fabio Di Lello credeva di aver capito tutto, invece. Non si aspettava più nulla dagli altri. Ha lasciato la pistola sulla tomba di sua moglie. È andato in caserma. «Calmissimo, persino gentile» dicono i carabinieri. Ha provato a spiegare, anche se le parole non sempre possono spiegare. Poi si è lasciato ammanettare, non più spettatore, ma incorporato al disastro. E convinto che nessun altro viaggio abbia più importanza.
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