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Carlo Bonini per “la Repubblica”
Nell’estenuante danza diplomatico-giudiziaria tra Italia ed Egitto nell’indagine sul sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni, la Procura di Roma affronta l’ennesima stoica prova di resilienza. Sapendo di non avere altra scelta che tenere aperto il gioco degli “impegni rinnovati alla ricerca della verità” e consapevole di una costante nelle mosse dell’interlocutore: che apparenza e sostanza mai, o quasi mai, coincidono.
Convocato ad horas al Cairo dal procuratore generale egiziano Nabil Sadek dopo l’ennesimo stallo nella cooperazione giudiziaria durato oltre due mesi, e una formale sollecitazione da parte della stessa Procura di Roma a riprenderla, il pm Sergio Colaiocco è volato infatti ieri al Cairo per tornarne in serata con i documenti personali di Giulio (il passaporto, i suoi due badge universitari ed il bancomat), una data certa nel prossimo mese di dicembre in cui i magistrati egiziani saranno in Italia per incontrare la famiglia di Giulio, e un comunicato congiunto dei due uffici giudiziari che vuole essere l’annuncio che, dopo essersi nuovamente piantata, la laboriosissima e faticosissima inchiesta congiunta riparte. O, almeno, dovrebbe ripartire.
«Durante il fruttuoso incontro — si legge infatti nella nota — le parti hanno discusso gli ultimi sviluppi investigativi e hanno rinnovato il loro impegno a continuare la loro proficua collaborazione nel comune intento di assicurare giustizia per la vittima». «Gli ultimi sviluppi investigativi» altro non sono che l’impegno a dare risposta in tempi ragionevoli alle rogatorie che, lo scorso settembre, la Procura di Roma aveva inoltrato al Cairo con l’obiettivo di approfondire e allargare la prima (e unica) significativa traccia offerta dalla magistratura egiziana in questi nove mesi.
Quella che indicava nella denuncia strumentale alla Polizia di Gyza dell’ex leader del sindacato degli ambulanti, Mohammed Abdallah (l’uomo voleva vendicarsi di non essere riuscito a mettere le mani sul finanziamento di una borsa di studio inglese per una ricerca al Cairo di poche migliaia di sterline), l’innesco che aveva precipitato Giulio nel cono di attenzione degli apparati della sicurezza egiziana.
Le rogatorie della Procura di Roma riguardano infatti i tabulati di Abdallah, i suoi rapporti con ufficiali di Polizia e funzionari del Servizio segreto civile e, per due mesi, appunto, sembravano essere state inghiottite nel nulla. In una stasi che non solo aveva rapidamente gelato ogni ottimismo su tempestivi sviluppi dell’inchiesta, ma che, per il modo in cui era stata formalmente giustificata (l’inaugurazione dell’anno giudiziario egiziano), aveva autorizzato le previsioni più fosche.
Che nell’ennesimo scontro interno agli apparati egiziani, la via già di per sé strettissima e scivolosissima alla verità fosse cioè di nuovo ingombra di ricatti e veti insormontabili. Che il prezzo della verità fosse nuovamente “inesigibile” per il regime di Al Sisi.
Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ieri pomeriggio, ha commentato con un tweet il viaggio di Colaiocco al Cairo («Positiva visita al Cairo della Procura di Roma. Restituiti alla famiglia i documenti di Giulio. Continua il lavoro per accertare la verità»), confermando che la strategia di Palazzo Chigi non cambia.
La Procura di Roma è e continuerà ad essere l’attore principale di questa partita, con il governo pronto a un’ipotetica precipitazione dei rapporti diplomatici con l’Egitto non appena il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il suo sostituto, Sergio Colaiocco, dovessero concludere che non esista più alcuno spazio di manovra.
In questa chiave, si spiega perché l’arrivo al Cairo del nostro nuovo ambasciatore, Giampaolo Cantini (nominato nel maggio scorso), continui ad essere congelato sine die. E che sia e rimanga questa la leva principale con cui la nostra diplomazia intende continuare ad esercitare pressione sul Cairo.
I TUTOR INGLESI DI REGENI PROTESTANO CONTRO AL SISI
Vedremo dunque cosa accadrà di qui all’annunciato viaggio degli egiziani a Roma. Dicembre, si è convenuto. Quattro settimane almeno. Se non di più. Un tempo lungo per una famiglia e un Paese che attendono da nove mesi. Un tempo breve se solo si considera il nulla assoluto delle ultime otto settimane. E che, soprattutto, impegna gli egiziani a una data. Che poi possa essere quella decisiva, nessuno, a Roma, è in grado o si azzarda a prevederlo.
il manifesto prima pagina con gli articoli di giulio regeni dopo la morte
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