DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Estratto dell’articolo di Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera”
Una parete di gelsomino, aggrappata al muro di cinta, separa la villetta dei Natale-Selvaggi da un fabbricato maggiore, sormontato da una cancellata imponente. Benvenuti nella Fregene abbronzata sei mesi l’anno, irrigazione con timer, biciclette che attraversano lente viale Castellammare, gatti episodici e la pineta che limita l’area, profumata ma ferita da incuria e rifiuti.
Il prato all’inglese e la vegetazione protetta: questo vedrà, affacciato alla finestra, Gabriel Christian Natale Hjorth, l’ormai ventitreenne protagonista dell’accoltellamento del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, colpito e ucciso da undici coltellate al torace il 26 luglio 2019.
La condanna a undici anni e quattro mesi, stabilita dai giudici della Corte d’Appello nel bis processuale che avrebbe dovuto pesare i fatti di quella notte, ha autorizzato gli avvocati della difesa (in primis Francesco Petrelli) a intraprendere la strada degli arresti domiciliari.
rosa maria esilio - vedova di Mario Cerciello Rega
Dopo cinque anni di carcere, Gabe — come è soprannominato da tutti — sarà qui in giornata, con vista sui palmizi e i limoni. Il villino è della nonna paterna, italiana, che in serata conferma: «Posso solo essere contenta per mio nipote». Un’occasione che per qualcuno però ha l’amaro retrogusto di una beffa.
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L’ottimo italiano di Gabe nasce qui, fra i villini a schiera sul mare di Fregene. È qui che il ragazzo veniva l’estate dopo la scuola. Anche per la sua conoscenza della lingua, si era chiuso l’ultimo dibattito processuale, quello sulla capacità di comprendere Cerciello e il suo collega Andrea Varriale: «Siamo carabinieri!», frase che avrebbe chiarito a Gabe e al suo amico Finnegan Lee Elder, l’accoltellatore materiale, la vera posizione dei militari.
In attesa delle motivazioni con le quali i giudici della Corte d’Appello spiegheranno la loro decisione di concedere i domiciliari sono gli avvocati di parte civile a esprimere la loro perplessità: «Viene voglia di pensare che ci sia una giustizia al contrario» commenta Massimo Ferrandino in rappresentanza della vedova Cerciello, Rosa Maria Esilio.
Perfino più amaro il collega Roberto Borgogno che al processo ha rappresentato il superstite Varriale: «Difficile anche spiegare al proprio assistito che un condannato all’ergastolo in primo grado, il quale non ha mai avuto una parola di scuse, si veda dimezzata la pena e venga poi mandato agli arresti domiciliari in un luogo di villeggiatura. Le sentenze si rispettano ma non per questo si debbono condividere». […]
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