DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Elvira Naselli per “la Repubblica - Salute”
Solo il 30% degli uomini europei ha una qualità ottimale degli spermatozoi. Il 25% appena sufficiente. Una quota tra il 20 e il 30% potrebbe dover aspettare a lungo per diventare padre e un altro 10-15% ha così pochi spermatozoi da dover ricorrere a trattamenti per la fertilità. Un panorama che non sconcerta così tanto gli esperti riuniti a Lisbona, per la trentunesima edizione dell’Eshre, la società europea di riproduzione umana ed embriologia.
E questo perché da una meta analisi precedente, che aveva analizzato 50 anni, dal 1940 al 1990, era venuto fuori niente meno che sia negli Stati Uniti che nei paesi europei si era verificato un crollo del 50 per cento della qualità del seme maschile.
Niklas Jorgensen, dell’università di Copenhagen, ha presentato a Lisbona uno studio realizzato nella sua città su 4867 ragazzi, età media 19 anni, dal 1996 al 2010. La buona notizia è che è stato registrato un leggero aumento sia della concentrazione che della conta totale degli spermatozoi.
La cattiva è che i limiti rimangono comunque molto bassi: solo il 23 per cento dei ragazzi aveva una concentrazione di spermatozoi superiore a 40 milioni per millilitro, soglia minima secondo molti studi per avere molte possibilità di concepire.
C’è da dire, però, che per l’Oms un campione è classificato come normale se la concentrazione spermatica è di almeno di 15 milioni per ml, il numero di spermatozoi morfologicamente normali è uguale o superiore al 4 per cento e il 32 per cento ha buona motilità. D’altro canto non è scontato che chi ha parametri superiori riesca subito a diventare padre e, al contrario, che chi li ha al di sotto di questa soglia non ci riesca naturalmente.
La strada della fertilità, maschile ma anche femminile, è- per dirla con un editoriale di Human Reproduction- una strada rocciosa, piena di ostacoli. Il declino documentato della fertilità maschile - le percentuali più alte si registrano in Norvegia, Danimarca e Germania - è legato infatti a molti fattori.
Uno dei più studiati è l’esposizione durante la vita fetale - in particolare tra l’ottava e la dodicesima settimana di gestazione - ai cosiddetti interferenti endocrini, inquinanti ambientali chimici che appunto possono “interferire” con lo sviluppo testicolare portando poi da adulti a cattiva qualità del seme, rischio aumentato di cancro al testicolo e possibile riduzione nella produzione di testosterone, con maggiore rischio di nascite con criptorchidismo, la mancata discesa di un testicolo nel sacco scrotale, e ipospadia, una malformazione congenita dei genitali.
Inoltre sono ipotizzati effetti avversi sulla funzione testicolare anche con l’esposizione da adulti mentre è limitata l’attenzione posta agli stili di vita, benché alcuni studi invece la ritengano importante. «In ogni caso un alto consumo di grassi trans - ricorda Jorgensen - e di alcol, e i disturbi del sonno influiscono negativamente sulla qualità del seme. Mentre l’attività fisica e la vitamina D la influenzano positivamente».
La situazione complessiva diventa ancora più grave se si pensa che in quasi tutti i paesi europei le donne posticipano la prima gravidanza ben oltre i 30 anni. Le due cose insieme - ritardo delle donne e scarsa qualità e conta spermatica degli uomini - provoca, secondo Human Reproduction , l’aumento dei problemi di fertilità in tutti i paesi.
Problema che riguarda le coppie ma che comincia ad incidere anche sui singoli Stati che non riescono più a mantenere in attivo il bilancio tra i morti e i nati. E - ribadisce la rivista - la risposta non può essere la procreazione assistita. La risposta è fare i figli prima. E non dipende solo dalle donne. Ma dalle politiche sociali che, almeno in Italia, certo non aiutano.
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