Federico Ercole per Dagospia
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Tokyo spogliata d’improvviso dalle persone, delle quali giacciono al suolo gli abiti rotti e scomposti. Ma la metropoli non è vuota, si muovono per le sue strade surreali ombre che sembrano essersi scollate dai dipinti di Magritte, fantasmi senza volto abbigliati con mortuaria eleganza vagano reggendo neri ombrelli, osceni studenti decollati mimano atteggiamenti giovanili, signore con l’impermeabile armate di forbici abnormi passeggiano quiete prima di infuriarsi. Vivono ancora gli animali in questo limbo spettrale, cani, gatti e uccelli; tutto il resto è apparizione tra l’essere e il non essere in un panorama metropolitano notturno e piovoso dove ogni luce è artificiale.
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Ecco Ghostwire Tokyo per PlayStaion 4 e 5, l’ultima opera di Tango Gameworks, fondata da Shinji Mikami, ovvero l’inventore di Resident Evil che qui è produttore esecutivo e persino musicista perché, si legge nei titoli di coda, è lui che esegue il primo movimento della sonata numero 14 in do diesis minore “al chiaro di luna” di Ludwig Van Beethoven che si ascolta durante un delle tante spiritate e ispirate missioni secondarie del gioco. Dirige invece con stle Kenji Kimura, già level-designer di Metal Gear Solid Peace Walker.
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Ghostwire Tokyo è un’avventura d’azione in prima persona che si protrae assecondando le dinamiche relativamente libere di un “open world” ridotto ma dalle ambientazioni assai suggestive, navigabili persino con interesse turistico, illustrando una città, soprattutto il suo celebre quartiere Shibuya, dall’indubbio fascino, così inedita nella sua dimensione priva di ogni folla. Ci sono tuttavia pittoriche derive nell’altrove, sovrapposizioni lisergiche tra dimensioni dell’esistenza che variano talvolta lo spazio metropolitano con violenza.
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Si tratta di un impressionante videogioco d’orrore soprannaturale, profondo nelle sue tematiche umanistiche e spirituali che non dovrebbe essere trascurato, poiché come tanti altri videogiochi più che degni di nota usciti quest’anno durante l’ammucchiata da “chiusura anno fiscale”, rischia di essere adombrato dalla mole e dalla potenza ludica di Elden Ring o dimenticato nella quotidiana ansia bellica.
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Ma Ghostwire Tokyo merita di essere giocato e amato, una fantasmatica aria fresca che modifica inoltre il nostro rapporto con la soggettiva dei videogiochi d’azione, sostituendo alle armi da fuoco (chi ha voglia di sparare con un mitra oggi?) i pirotecnici, meraviglianti effetti speciali di policromatici poteri paranormali gestiti da un danzante movimento delle mani ispirato al Kuji-kiiri, il “taglio dei nove caratteri”, pratica esoterica orientale dall’utilizzo sia marziale che religioso.
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AKITO & K. K.
Giochiamo nel corpo posseduto, con un rapporto parassitario che si rivela benefico, del giovane Akito. Il ragazzo è invaso dallo spirito di K.K., un poliziotto esperto di soprannaturale che lo accompagnerà attraverso la lunga avventura, fornendogli preziosi poteri, illustrandogli i misteri del dopo-vita e dello spiritismo giapponese, conversando con una dialettica inizialmente aggressiva e poi sempre più amichevole. Ghostwire Tokyo oltre che un testo ludico sulla morte e il rimpianto, è anche una storia di amicizia scritta con perizia, sentita.
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Ci sono inoltre tante altre storie, alcune memorabili, altre meno, che risultano opzionali ma attraverso le quali emergono drammi familiari o del lavoro, considerazioni politiche contro la proprietà, curiosità folkloristiche legate al mondo degli “Yokai”, nozioni sul costume, le mode e la società di Tokyo. Dovremo purificare strade, sotterranei, palazzi e centri commerciali da una nebbia che ci impedisce di proseguire nell’intento salvifico contro una cospirazione di spiriti malvagi, mentre combattiamo orde di nemici affascinanti nella lo spettrale follia.
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Le attività ludiche potrebbero risultare ripetitive ma gratificanti, come quella di salvare gli spiriti da una non morte o per i cinofili l’accarezzare e nutrire gli innumerevoli cani. Ma il senso di ripetizione sorge solo se si ha fretta di concludere il gioco, un errore che negherebbe a Ghostwire Tokyo la sua innegabile profondità artistica e narrativa, oltre che privarlo di quell’umanità che si percepisce dagli innumerevoli dialoghi possibili solo se lanciati dalle missioni secondarie.
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Bisogna quindi trascorrere con calma e desiderio di completamento questo viaggio “after-life” metropolitano, giungendo così al suo devastante e intimistico finale con la giusta carica emotiva, così questo risulterà addirittura commovente con la sua malinconica poesia.
SPETTACOLO PARANORMALE
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L’estetica e la tecnologia di Ghostwire Tokyo sono ammirabili, soprattutto su Playstation 5 dove lo splendore umido della pioggia battente, le illuminazioni straordinarie di Shibuya, gli effetti speciali dei poteri di Akito risultano impressionanti per l’occhio. Su PS5 sono inoltre usate a dovere tante funzioni spesso dimenticate del controller Dualsense, come il microfono attraverso il quale sentiamo con effetto straniante la voce di K.K. e tanti livelli di vibrazioni diverse utilizzate in maniera sinfonica ed emozionante. Anche il panorama sonoro è orchestrato con arte, risultando sempre suggestivo, adeguato allo spazio e illuminante per chi gioca, poichè in grado di segnalare con precisione la presenza e la distanza dei nemici.
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Ghostwire Tokyo è il terzo gioco di Tango Gameworks e il loro terzo successo (spero anche commerciale), dopo lo spaventoso e classico The Evil Within e il suo troppo sottovalutato ma bellissimo seguito. Una “promenade” del brivido che non si limita ad evocare la paura ma tenta di indurci a conoscerne le ragioni, che non sono paranormali o fantasiose, ma concrete ed esistenziali.
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