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Federico Ercole per Dagospia
C’è un equilibrio mirabile tra una quiete apollinea e una furia dionisiaca, in Soulstice dell’italiana Reply Game Studios per Playstation 5, le serie di Xbox e Microsoft Windows, malgrado la sua sempre terrea ambientazione fantasy; una pace alternata al pandemonio senza che una minacci l’altro diventando predominante, una ritmica calcolata che alimenta con precisione la frenesia e la quiescenza, una cosa rara nei videogame d’azione. Così che il combattere battaglie convulse e quasi astratte nel caos ipercinetico di luci, forme e colori non è ripetitivo e tedioso essendo alternato con sapienza all’attività di esplorazione, alla narrazione e alla contemplazione.
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Non tragga in inganno il titolo che gioca con la parola “souls”, perché malgrado le ambientazioni rimandino ai crudeli titoli di From Software con la desolazione impazzita di un’apocalittica rovina, Soulstice è invece ispirato a giochi giapponesi dalla pirotecnica e spettacolare combattività come Devil May Cry e Bayonetta, riuscendo talvolta a mantenere persino la loro danzante eleganza marziale e andando oltre l’imitazione, proponendo idee raramente acerbe e spesso assai interessanti.
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Soulstice dimostra quindi il talento crescente e l’espressione del proprio valore degli sviluppatori italiani di videogiochi che qui compongono tuttavia un’opera che appare, appunto, “giapponese” in una maniera dichiarata e sfrenata. In questa veste nipponica e internazionale (il doppiaggio è in inglese) libera da ogni trito e dichiarato nazionalismo di facciata , vi si può cogliere il rifiuto di identificarsi in uno stato con il suo governo sempre mutevole, almeno in superficie, che guarda ancora i videogiochi con sospetto e tende a dimenticarsi dei suoi giovani tranne quando protestano.
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Una fuga di cervelli filosofica e immota. insomma non c’è il rifiuto di una cultura “italiana” (anche perché i suddetti Devil May Cry e Bayonetta sono ricchissimi di suggestioni dantesche) ma di uno stato che da decenni non sembra più rispecchiare e assecondare quello spirito popolare soprattutto giovanile. Soulstice è un gioco italiano solo nel profondo, non nel suo comunque sfavillante anche se oscuro abito ma nella sua anima creativa che qui dialoga feconda con un lontano, senza dubbio idealizzato ma amato Giappone videoludico e pop divenuto riferimento e musa.
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LE DUE SORELLE
In Soulstice controlliamo Briar, una ragazza perita e rinata grazie al chimerico innesto con lo spirito della sorella Lute, in un mondo minacciato da caotiche e malevole presenze. Tutto il gioco si svolge nella devastata città costiera di Ilden e malgrado la divisione in capitoli quest’immensa ambientazione non risulta segmentata in maniera artificiale, anzi restituisce l’idea di una organicità urbanistica così che il lungo viaggio per attraversarla alimenta il realismo fantastico dello spazio che percorriamo, il suo essere possibile e “vero”, facendoci percepire le distanze e la fatica di percorrerle.
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Non appena cominciamo a muoverci per Ilden risulta evidente il sopracitato bilanciamento tra combattimento ed esplorazione, che ci lascia ammirare l’impressionante pittoricità dei panorami, davvero ammirevoli sia nel dettaglio che in una visione compendiaria.
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I combattimenti richiedono una crescente abilità nel gestire tutte le possibilità offensive e difensive messe a disposizione. Briar utilizza un lunga spada come arma principale e diverse altre (guanto ferrato, arco, frusta, coltelli...) secondarie, da alternare e cambiare in tempo reale, che acquisiremo durante lo svolgimento del gioco; ma non si tratta che del tappeto ludico su cui cresce un modello di gioco assai più complesso, vario e nuovo.
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La bianca e fantasmatica sorella Lute coopera con Briar consentendole di parare i colpi dei nemici, attraverso la pressione di un pulsante al momento giusto, ed ella stessa può contrattaccare in maniera sempre più drastica. Ci sono inoltre dei campi di energia diversi, uno rosso e l’altro azzurro, che Lute può evocare per un breve periodo, ampie semisfere eteree che rendono efficaci gli attacchi di Briar contro determinati nemici, un’idea riuscita e fondamentale anche per l’esplorazione, utile per trovare oggetti curativi e frammenti minerali-energetici per potenziare le abilità delle due ragazze.
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Più consueta ma bellissima nella sua forma tra Go Nagai di Devil Man e Norihiro Yagi di Claymore, è la forma trasfigurata e potentissima delle due guerriere. Suggestive sono anche la narrazione disperata e la musica che fuori dai combattimenti possiede quella rarefazione timbrica e l’inquietudine dei primi Resident Evil.
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VERSO LA LUCE (DEL MALE)
Rispetto ai corrispondenti giapponesi, Soulstice è un’avventura più lunga, richiedendo anche venti ore per essere completata e risultando a tratti complessa con un livello di difficoltà media, se non si è dei virtuosi del genere. Salvo rare occasioni la telecamera attraverso cui vediamo l’azione è fissa e ci sono purtroppo dei momenti in battaglia in cui questa rende difficile la comprensione dello spazio e l’individuazione de nemici, attimi comunque non frequenti che non penalizzano in generale il valore ludico e spettacolare dell’azione. Il disegno delle creature è solo all’inizio convenzionale, ma proseguendo affronteremo creature mostruose sempre più bizzarre e letali.
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Opera lodevole, Soulstice merita di essere giocato, premiato e amato. L’industria piccola e grande dei videogiochi italiani è viva e palpitante, ma sottovalutata da chi non ha ancora compreso il suo potenziale, trascurata dalla scuola dell’obbligo (ma le tante fabbriche insicure che sfruttano e non insegnano in un’infausta alternanza scuola-lavoro dove qualche studente persino muore, quelle no, quelle formano il giovane, lo preparano al futuro) e da un’opinione pubblica che ignora e teme il videogioco come quei primi spettatori dei film dei fratelli Lumieres temettero quel treno in arrivo fuggendo in panico dal teatro.
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