Federico Ercole per Dagospia
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Gloria, danzatrice trentenne in un cabaret parigino, concede il suo corpo come modello per la scultura di un celebre, egocentrico e cinico artista. Comincia così il lento e doloroso processo di “decarnazione” della donna , potremmo infatti tentare di tradurre in tale modo il neologismo del titolo di quest’operetta macabra francese in pixel-art, qualcosa che ha il significato opposto di “incarnazione”, la progressiva esportazione di uno spirito o un’idea da un corpo, affinché questo sia infine occupabile, vendibile e sfruttabile dagli uomini e anche dalle donne orribili che abitano questo videogioco bellissimo da leggere e guardare ma purtroppo meno da giocare.
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Tuttavia il fascino terribile del racconto e della rappresentazione rendono la contorta giocabilità del titolo quasi ininfluente quando ci si “trova” nel corpo mille volte abusato di Gloria durante la sua ordalia claustrofobica e a volte agorafobica. Così malgrado le interazioni ludiche risultino raramente programmate e implementate in una maniera ispirata e rispettosa del giocatore (chi scrive trema ancora al ricordo degli insensati virtuosismi necessari solo per “fare” stretching e yoga) Decarnation non si abbandona fino alla sua fine, avvinti dalla sua tetra beltà, dalla sua storia angosciosa e surreale che evoca suggestioni e ricordi di cinema e pittura.
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Gloria è un po’ la “Femme Publique” di Andrzej Zulawski ma tra i tentacoli e le efferate partenogenesi di Possession dello stesso regista, nel delirio soprannaturale illusorio, sublime e controllato di Lost Highway, Mulholland Drive, Inland Empire e Twin Peaks 3 di David Lynch.
Decarnation, di Atelier QDB, è disponibile per PC e su Nintendo Switch, un videogame senza dubbio deprimente, assai perturbante e disperato ma brillante di una sua definita, profonda poetica psicanalitica e simbolica. E non importa che talvolta sia davvero sgradevole da giocare, perché questo è in effetti l’elemento di una calcolata strategia ludica del disturbo edificato da Atelier QDB. Decarnation non è tradotto in italiano, quindi se vi attrae la sua ripugnante bellezza è necessario conoscere l’inglese o il francese.
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All’inizio del gioco Gloria si reca con la sua compagna al museo dove è esposta la scultura da lei ispirata, pensa che l’autore le abbia lasciato almeno un biglietto in omaggio ma non c’è pietà e rispetto per la musa. Gloria osserverà diverse e indicative opere d’arte prima di giungere nei pressi del suo simulacro, sono ridotte in pochi pixel e per questo quasi irriconoscibili se non fosse per le didascalie dedicate ai titoli e agli autori dell’esposizione: Ophelia di Millais, lo Studio per una Crocifissione di Bacon, la Lezione di Anatomia di Rembrandt, La Serratura di Fragonard, lo Specchio della Notte di Yamamoto e c’è persino Lynch con il suo Bob ama Sally finché il suo viso non diventa blu. Sono tutte immagini di corpi morti, quasi defunti, abusati, torturati oppure colti nell’illusione di un’amore che è solo prevaricazione.
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Quando infine Gloria giunge alla sua statua dietro alla rappresentazione del suo corpo c’è qualcuno che sfiora, tocca e palpa quella carne fittizia. Così comincia un’onirica deriva nell’orrore, una rapsodia di situazioni opprimenti che precipita sempre verso il peggio e se all’inizio basta urlare per dissolvere i mostri, una delle uniche idee giocose davvero riuscite di Decarnation, dopo non sarà più sufficiente, segregati nella prigione da incubo che diviene l’esistenza o il sogno dell’esistenza di Gloria.
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Ci sarà da risolvere qualche “puzzle” contorto quanto la vita nuova di Gloria, da sfuggire a mostruosità che qualche volta si possono anche attaccare, da conversare, indagare e danzare in una specie di gioco ritmico dall’impostazione quasi classica mentre trascorrono canzoni pop che risultano dissonanti (per questo affascinanti) con la funerea, misteriosa, rarefatta colonna sonora.
Decarnation sarebbe forse insostenibile (oppure chissà, magari un capolavoro) se la sua estetica fosse realistica, perché la comunque magnifica pixel-art utilizzata per illustrarlo rende più sostenibili gli orrori che vi si consumano, almeno nell’immediato perché dopo, quando si smette di giocare, è facile ripensarci e riconsiderarli in tutta la loro orribile enormità.
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Ci sentiamo vicino a Gloria ma al contempo estranei, proviamo empatia e distacco al contempo, talvolta un sentimento ancora più sgradevole, quello di essere anche noi che la giochiamo tra gli abusatori di quel povero corpo di danzatrice, complici di quella abietta “decarnazione”.
Decarnation è un gioco non riuscito o magari troppo riuscito nel suo intento orrifico, illustrativo e desolante; un’opera che urla l’angoscia invece di limitarsi a sospirarla. Qualcuno potrebbe trovare Decarnation poco giocabile o addirittura, a tratti, ingiocabile; ma non è così a patto che si assecondi la sua deviata, deviante e variabile giocabilità e la si accetti candendo sempre più a fondo nel baratro della mente offesa e umiliata di Gloria, come vittime e, nostro malgrado, aguzzini.