Federico Ercole per Dagospia
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Curiosa e illuminante l’idea di Josh Sawyer di Obsidian -l’autore di giochi di ruolo imprescindibili come Fallout New Vegas e i due Pillars of Eternity- di ambientare la sua nuova opera in un fittizio paese bavarese del XVI secolo, durante il passaggio traumatico e indefinito tra basso medioevo ed età moderna, un videogame dove non si utilizzano gli spadoni e i primi schioppi ma solo le arti della retorica e della dialettica.
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Si tratta dell’epoca di una sorgente e travolgente rivoluzione luterana, dell’affermazione crescente dei primi libri stampati, della ribellione contadina contro il potere opprimente del Sacro Romano Impero, una scelta bizzarra se intesa come proposta per le masse di videogiocatori, se Sawyer non avesse intravisto in quei tempi una inquietante similitudine con in nostri, un tecno-medioevo con il sorgere di potentissime aristocrazie fondate su capitali illimitati e un’immagine virtualizzata e tutelata nello pseudo misticismo dei milioni di “follower” credenti che alimentano sui sociale il campo d’influenza di messia e profeti dello status quo, la diffusione di una nuova povertà sfruttata e non tutelata, lo spegnimento e la repressione di istinti rivoluzionari.
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Quindi il notevole Pentiment, disponibile per gli abbonati al Game Pass di Microsoft su Xbox e PC, non è solo un curioso manifesto storico ed artistico, ma una riflessione sulla contemporaneità che è impossibile non cogliere mentre la sua drammatica storia si (e ci) consuma.
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Solo minima la corrispondenza con Il Nome della Rosa di Umberto Eco per l’ambientazione benedettina, codici in vetuste biblioteche di secolari abbazie e omicidi, Pentiment ricorda invece la sofferta opera Mathis der Maler di Paul Hindemith, anch’essa ambientata durante le ribellioni dei contadini tedeschi, un dramma musicale che il compositore scrisse e musicò durante l’ascesa del nazismo e la crescente demoralizzazione della libertà di esprimersi.
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Quindi non fermatevi solo sulla superficie bellissima della sua rappresentazione, sull’originalità della sua ambientazione che non è scenografica ma culturale in una maniera profonda, perché si rischierebbe di limitare Pentiment in una nicchia per intellettuali e invece si tratta di un’esperienza utile quanto appassionante, propedeutica e politica oltre che, a suo modo, appagante in una quasi indefinita forma ludica, quindi persino “divertente”.
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PROFESSIONE ARTISTA
Il protagonista di Pentiment durante i decenni in cui è ambientata la trama, è Andreas Maler , la quale carriera di intellettuale e studioso potremo definire come nella scheda di un gioco di ruolo. Andreas si trova a Tassing per lavorare nello scrittorio dell’abbazia di Kiersau al fine di completare il suo capolavoro e tornare a Norimberga, dove sposarsi e vivere della sua arte.
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Nei panni di Andreas, che risiede presso una famiglia contadina, impareremo a conoscere la variegata popolazione di Tassing composta da personaggi dalla squisita ideazione, tanto da formare le figure “vive” di un grande affresco, non meno importanti del protagonista nel fluire della vicenda in una grandiosa coralità. Passeggiando, faticando e cenando converseremo del Corpus Hermeticum di Ficino, dell’usanza contadina di portare a novembre i maiali per nutrirsi di ghiande nei boschi prima di macellarli, di erbe e ricettari, del martirio di San Maurizio, di materie esoteriche, teologia e arte.
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Ma, soprattutto, emergeranno questioni politiche e sociali come l’atroce condizione della donna, gli abusi del potere esercitati in stupri e violenza, espropri, sfruttamento, mortalità infantile, soppressione di un’immaginario popolare legato alle tradizioni pre-cristiane, della volontà di emanciparsi dal potere, perché “la fantasia conduce alla tentazione, e la tentazione ha portato alla caduta di molti uomini e donne”.
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Salvo rari enigmi e mini-giochi davvero minimali, Pentiment è un gioco sulla parola e il dialogo, soprattutto sulle scelte etiche e le loro incancellabili conseguenze che potranno avere conseguenze drastiche nel futuro. Sarà inevitabile provare l’illusione di un triste senso di colpa quando capiremo ciò che seguirà, magari dopo anni, alle nostre scelte; o quando verremo a conoscenza del funesto destino di personaggi amabili. Pentiment colpisce al cuore senza teatralità, senza gli artifici del pathos ma con gli strumenti chirurgici del naturalismo.
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COME IN UN MANOSCRITTO
L’arte bidimensionale di Pentiment è ispirata a quella delle illustrazioni dei codici medievali, delle loro miniature e visioni allegoriche poste ai margini. I caratteri con i quali si esprimono i personaggi variano invece in base alla loro cultura e stato sociale. L’impatto visivo durante l’esplorazione è dunque più che gratificante, un’emozione estetica rara che qui è sempre, appunto, anche etica.
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Ci sono persino momenti onirici, durante i quali Andreas disquisisce con Beatrice, Socrate e il Santo Grobian, giullaresco patrono di grossolanità e volgarità dionisiache. C’è una rara musica, che avrebbe potuto anche essere ancora più latitante, perché ciò che conta davvero in Pentiment è l’eccezionale panorama edificato dai suoni, quelli della natura e delle cose umane: animali, vento, pioggia o lavoro.
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Difficile da confinare in un genere del videogioco, Pentiment è un’avventura dialettica, artistica, politica e visionaria la cui ritmica narrativa ed emozionale sfiora registri tragici e raramente comici con un’efficacia verista che parrebbe impossibile, considerato il sublime artificio della sua illustrazione. Un’opera colta, disperante, crudele, talvolta sorprendentemente dolce e tenera.
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Il dramma umano di un passato remoto che rinasce inquieto nel presente, risultando di un’attualità sconvolgente, un’altra cosa bella di una straordinaria annata videoludica (solo quella) che c’è invece chi considera banale per un pedissequo attaccamento nostalgico ad idealizzati “vecchi tempi” del gioco elettronico.
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