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“SENTIVO DI DOVER DIMOSTRARE CHE NON ERO COME GLI ALBANESI DIPINTI DAI GIORNALI” – ERMAL META PARLA A "OGGI" DELL’ABBANDONO DEL PADRE E DELL’ARRIVO IN ITALIA DALL’ALBANIA SU UN TRAGHETTO PRESO ALL’IMPROVVISO, A 13 ANNI - L’ANNO DOPO, QUANDO SONO TORNATO PER LE VACANZE ESTIVE, I MIEI AMICI MI TRATTAVANO DA ESTRANEO. “CHE NE SAI TE, TU SEI ITALIANO”. FU TERRIBILE” – E SUI GONFIORI AL VISO CHE LO HANNO COSTRETTO A INTERROMPERE I CONCERTI, DICE…
Da oggi.it
Ermal Meta si racconta a OGGI, in edicola da domani, dopo i gonfiori al viso che lo hanno costretto temporaneamente a interrompere i concerti («Mi è dispiaciuto ma era necessario, alla fine non era niente di davvero preoccupante») e rivela come per lui la felicità sia frutto di un percorso tortuoso: «Ho capito tardi che la gioia è una cosa seria. Mi nascondevo. Il sorriso è un’apertura agli altri e io avevo un’esigenza di nascondermi che arrivava da lontano, da una famiglia in cui non potevi mai mostrare il fianco».
Meta parla del padre «che non perdonerò, che proprio in quegli anni terribili, con
violenza, criminalità, morti per le strade, ci lasciò soli», dell’arrivo in Italia su un traghetto preso all’improvviso, a 13 anni, («L’anno dopo, quando sono tornato per le vacanze estive, i miei amici mi trattavano da estraneo. Facevano finta che non ci fossi. “Che ne sai te, tu sei italiano”, era il refrain. Fu terribile. Un’amputazione»), della giovinezza con lo stereotipo dell’albanese-delinquente: «Sentivo di dover dimostrare che non ero come gli albanesi dipinti dai giornali. Mi sentivo un ospite che non doveva fare rumore. Mi dava fastidio e allora con la musica ho fatto più rumore che potevo».
E del perché non gli piace essere considerato un esempio di Integrazione: «Perché non ho fatto niente per integrarmi, anzi, ho sempre voluto distinguermi. Dal 2006 il mio passaporto dice che ho la nazionalità anche italiana, ma è un passaporto. In Albania ho vissuto 13 anni, in Italia 28. Ma se guardi una pianta non puoi ignorare che è così bella grazie a radici sane. Al solito, le cose importanti non si vedono».
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