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    “BRANDO ERA UN UOMO PICCOLO E LAURA BETTI UNA ‘ROMPICOGLIONA’” – BOMBASTICO ESTRATTO DA "ALFABETO POLI", IL LIBRO POSTUMO DELLA “PRIMA DONNA DEL TEATRO ITALIANO”: “MARLON, CHE POVERETTO, AVEVA UNA VOCE COME DONALD DUCK E VENIVA DOPPIATO CON TIMBRO STENTOREO. L'HO CONOSCIUTO IN CASA ZEFFIRELLI SE LO CHIAMAVI, LENTAMENTE ALZAVA LO SGUARDO E TI FISSAVA TRA IL MACHO E IL LANGUIDO” – “I FUNERALI NON MI PIACCIONO, IO NON CI VADO, SARÒ SOLO AL MIO…”


     
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    ALFABETO POLI - A CURA DI LUCA SCARLINI ALFABETO POLI - A CURA DI LUCA SCARLINI

    Estratto da "Alfabeto Poli" (ed. Einaudi) a cura di Luca Scarlini, pubblicato dal “Fatto quotidiano”

     

    Anniversari. Ho fatto sessant’anni di teatro, ma non sono stati anni di carriera. Sono stati anni di educazione sentimentale. Anni d’illusione e di gioco. È una storia alla Flaubert, non legata alla gioia.

     

    Attore. Questa è la grande forza italiana. Non abbiamo avuto Shakespeare, Molière, Calderón de la Barca. Ma abbiamo i comici: la nostra tradizione sono Petrolini, Mussolini, Fellini, sappiamo vendere il niente, siamo sempre andati in giro a raccontare Arlecchino e Pulcinella. Siamo come i preti, viviamo sulle chiacchiere.Ho conosciuto Carmelo Bene: anche quando era ubriaco entrava e ti strappava il cuore.

     

    Bellezza. Bello io? Non so. Certo ho venduto l’articolo più che ho potuto. Laura Betti. la conobbi in casa di Zeffirelli, aveva la bellezza dei quadri barocchi, del Seicento – aveva una vena verde in fronte, una carnagione bianchissima. Però malgrado la grazia barocca, si vestiva da Pierrot francese, con la calzamaglia nera.

     

    paolo poli paolo poli

    Era una rompicogliona, anche perché quelle donne di allora erano delle virago. Io non ho mai sentito le differenze di sesso, ma solo quelle di intelligenza. Io e Laura eravamo tra le poche ossigenate, insieme a Corrado Pani: andava il biondo svedese. C’era un altro bellissimo attore con i capelli rossi, Ettore Manni, che è morto mentre faceva La città delle donne di Fellini. Con lui siamo andati anche a tingerci i peli degli occhi. (...)

     

    Quando facevamo la tivú io e Laura si mangiava un uovo sodo al giorno, lei ingrassava e io dimagrivo. Quando si pigliava la paga, si andava invece al ristorante ungherese, col violino tzigano e giù gulasch. Io non ingrassavo mai: il nervoso e gli ormoni femminili bruciano evidentemente in maniera diversa.

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    Marlon Brando. Gli anni Cinquanta erano un periodo in cui bisognava essere virili.

    Marlon Brando, che poveretto però aveva una voce come Donald Duck, veniva doppiato con timbro stentoreo. Era un omino piccolo. L’ho conosciuto in casa Zeffirelli. Era carino: mascella volitiva e un repertorio di gesti appresi alla scuola di Strasberg. Se lo chiamavi, lentamente alzava lo sguardo e ti fissava tra il macho e il languido.

     

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    Canzonissima. Nel 1961 ero con Sandra Mondaini, che era autorevole. Tutti e due travestiti da bambini: io ero Filiberto, l’amichetto buono, e lei la pestifera Arabella. Che brava che era e che carina. Era già pronta però a sposare Vianello. (...) Suo marito, bravo attore, era un reazionario spaventoso. Veniva da una famiglia molto signorile, borghesuccia, e in più lo trovavo insopportabile, invidioso. Dovetti smettere di frequentarli.

     

    Cinecittà. Quando ero giovane piacevano gli uomini virili, quelli che i fascisti chiamavano con le palle che fumano: io ero effeminato e non andavo bene, mi facevano sempre fare l’amico del protagonista. Nel 1954 andai a Cinecittà per lavorare, e nel cinema non mancano le occasioni, e poi io, ossigenato completamente e vestito di celeste, ero una stranezza. Ero abituato agli amori furtivi, veloci, allora le case non eran chiuse, i portoni erano accostati e c’era sempre un angolo di buio dove facevo una roba alla cosacca, in piedi, veloce, arrivederci e grazie.

    PAOLO POLI GIOVANE PAOLO POLI GIOVANE

     

    Funerali. Non mi piacciono, io non ci vado, sarò solo al mio. Bisogna trattar bene le persone finché sono vive. Poi, se li bruciano o se li scavano, poco m’importa. Una volta rimasi un po’ scandalizzato al vedere al Teatro San Ferdinando una lapide con dedica dei fratelli De Filippo: “A Ciccillo che lavorava umile chiodo su chiodo”. Facevano meglio a dargli la mancia quando era vivo piuttosto che la lapide dopo morto. So che i due erano piuttosto economi.

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