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Teresa Ciabatti per "7"- https://www.corriere.it/sette
A tredici anni scintillavo, ora meno, il problema è che ho la casa piena di specchi» racconta Eva Robin’s attrice di cinema e di teatro, in passato cantante, personaggio televisivo, da sempre icona. Lanciata negli Anni 70 come ermafrodito – «un’invenzione per finire sui giornali» - Eva Robin’s è transgender – Roberto Coatti all’anagrafe, mai cambiato. Oggi rinuncia alle offerte televisive, ai reality, per dedicarsi al teatro (Beckett, Genet).
Ma qui non parleremo della sua carriera, tantomeno degli uomini e delle donne che l’hanno amata. Qui parleremo di un’identità innanzitutto carattere, perché quella di Eva Robin’s è la parabola – ascesa e successo – di una personalità fortissima che ha portato alla luce ciò che allora era nascosto e proibito. In questo modo, spudorato, fiero, Eva Robin’s ha cambiato nel profondo il costume italiano.
eva robin's a la confessione di peter gomez 1
Quando nasce Eva Robin’s?
«Nella soffitta del collegio, a cinque anni».
Ovvero?
«Dai quattro agli otto anni sono stata in collegio, prima dalle suore, poi dai preti. La soffitta era quella della suore. Lì mi nascondevo alla ricerca di solitudine, tra oggetti accatastati, quadri».
L’oggetto che più la colpisce?
«Le bandiere. Provo a sbandierare da sola, era difficile però. Mi insegneranno le suore a sbandierare per i saggi».
Eva Robin's by cristina ghergo (12)
(...)
Cosa rimane degli anni in collegio?
«La suggestione per i simboli sacri. A dieci anni volevo farmi prete. Servivo messa come chierichetto, mi piaceva la vestizione».
Cambia idea?
«Capisco che in realtà m’interessano solo le tonache, non ho alcuna vocazione».
Come lo capisce?
l'incontro eva robin's antonio zequila al gf vip 7
«Non volevo rinunciare alla vanità, rifiutavo l’umiltà. Volevo l’oro».
L’oro?
«Tutto quello che luccica, me inclusa. Me nella versione luccicante».
La sua versione luccicante?
«Comincia a otto anni. Mia madre mi lasciava dalla vicina di casa, Carmen, che aveva un amante. Un giorno che Carmen non c’è, io e lui rimaniamo soli. Era un cinquantenne grande, scuro, mi affascinava. Giochiamo alla lotta, sono io a buttarmi su di lui senza immaginare le possibili conseguenze».
Conseguenze?
«Sesso orale. Ricordo la sua voce: “metti la bocca lì, apri, chiudi”. Poi non ricordo più niente».
Comprende che si tratta di violenza?
«Non ho mai vissuto l’episodio come una violenza, anzi. Torno a casa allegra e lo racconto a mia madre».
Reazione?
«Lei va alla polizia a denunciare l’uomo che si becca il foglio di via da Bologna».
Ripensando a quell’evento?
«Al tempo non è stato un trauma, non ho pianto, ma chi lo sa. In fondo solo adesso sto riflettendo su certi accadimenti del passato».
Altra tappa della sua educazione sentimentale?
«Dodici anni: mia madre mi affidava a un suo amico archeologo, un uomo di oltre sessant’anni che mi portava al cinema, al fiume. Proprio al fiume m’insegna a masturbarmi».
In che modo lei vive l’esperienza?
«Lui mi ha iniziato alla scoperta del mio corpo, alla conoscenza delle reazioni. In collegio pensavo di avere una malattia a vedere questa cosa, questa parte di me, che cambiava dimensione».
Mai subito violenza?
«No, se non l’ho chiesta».
La violenza per lei?
«La distruzione di qualcosa che è servito molto tempo a erigere e che viene annullato in un attimo. Qualcuno, qualcosa, la bellezza».
Il bambino di otto anni quel giorno a casa della vicina è stato annullato?
«No».
Proseguendo la formazione sentimentale.
«Ancora dodici anni: di notte fuggo di casa per andare alla Montagnola. Indosso un montgomery arancione».
La Montagnola?
«Ci sono i travestiti, e uomini in cerca di ragazzini».
Chi si ferma per lei?
«Nessuno. Vedono questo bambino arancione, una cosa strana che non interessa a nessuno. Poi arriva la polizia».
E?
«Mia madre mi viene a ripescare in commissariato. Mi riconosce dal montgomery».
La spinta a unirsi ai travestiti?
«Curiosità, voglia di conoscenza. Ero attratta dagli uomini, ma non cercavo qualcosa di preciso. Andavo, mi buttavo a capofitto, volevo uscire dal quotidiano».
Il quotidiano?
«Mesto già dalla pancia: incinta di me mia madre trova mio padre a letto con la sua migliore amica. Lo insulta, e se ne va di casa. Si sistema nel sottoscala di un palazzo confinante con un fornaio. Per riscaldarsi dormiva addossata alla parete dietro cui c’era il forno. Stava bene, mi ha raccontato, doveva solo scacciare i topi attirati dall’odore di latte».
Chi è stata sua madre?
«Madre di quattro figli di padri diversi per guadagnare da vivere giocava a carte. La notte girava i locali, e mi portava dietro».
Ricordi di quelle notti?
«Mi addormentavo sui tavoli».
Poi?
«Dagli undici anni non sono più andata, rimanevo a casa con mia sorella. Ma siccome mamma tornava di notte alticcia e disperata, venendoci a svegliare, io mettevo i tappi nelle orecchie che ho continuato a mettere anche da adulta, pur vivendo da sola. Li ho tolti tardi, appena ho capito che lei non sarebbe più arrivata a tormentarmi».
Le notti in cui veniva a svegliarvi?
«Piangeva, gridava».
Cosa?
«Aiuto».
Tornando ai travestiti della Montagnola.
«Biondi, patinati. Si erano sistemati vicino a un’autostazione. Li vedevo di giorno passando in bicicletta. Gli urlavo “travestiti!”».
Insulto?
«Saluto».
1975.
«A fine estate, tornata da Riccione, mi faccio le mèches. Quel biondo mi trasforma».
Come lo capisce?
«Al bar chiedo un cappuccino, e il barista risponde “subito, signorina”».
Quindi?
«Rifletto che può essere un modo per sopravvivere: al ristorante, al cinema le donne non pagano, ovunque gli uomini pagano per loro. Il mio è un calcolo».
Cioè?
«Come uomo non ce l’avrei mai fatta, misure scarse. Essere donna è stato più un escamotage per farcela che una vocazione».
Mai desiderata l’operazione?
«Sono per la somma, non per la sottrazione».
Dopo le meches?
«Cambio abbigliamento. Inizio la mia fase ammaliante, mi sento potente».
Gli ormoni?
«Me li passa il vicino di casa infermiere. Il Progynon depot, quello che davano a Mussolini per tenerlo carico, più ormoni di scimmia e vitamine, l’ho letto su un libro».
Perché gli ormoni?
«Volevo bloccare la crescita dei peli. La barba mi faceva paura. In più avevo l’acne che grazie agli ormoni e ai trattamenti di Dodo D’Hambourg, passa».
Dodo D’Hambourg?
«La spogliarellista di Hitler trasferitasi a Bologna dove aveva aperto un centro estetico».
Dunque gli ormoni?
«Bloccano i peli, la barba appunto».
Altri cambiamenti?
«Il seno. È un incidente di percorso, non lo volevo. Ma a quel punto non potevo tornare indietro. Erano esperimenti, in quegli anni noi abbiamo sperimentato molto».
Quegli esperimenti?
«Hanno spianato la strada alla ragazze di oggi. Per loro è più facile grazie a noi: sostegno psicologico, assistenza medica».
Voi?
«Eravamo sole».
Negli Anni 70 i travestiti?
«L’Italia non era Parigi. A Parigi c’era “Madame Arthur”, un locale che presentava ai clienti il catalogo delle ragazze con le foto del prima e del dopo: da maschio e da femmina. Molte delle mie amiche venivano da lì, io non ci ho mai lavorato».
1979?
«Divento corista di Amanda Lear. La truffo. M’insinuo nella sua compagnia di ballo come femmina. Se lei avesse saputo cos’ero davvero, non mi avrebbe presa, veniva da una scuola di night di grande invidia e competizione».
Lo scopre?
«Se ne accorge dopo un po’: tra una canzone e un’altra, specie in Romagna, la gente urlava: “Eva, Eva”. Lei mi prende da parte e dice: “tu sei molto popolare qui”».
Diventate amiche?
«Nella vita, almeno al tempo, Amanda non aveva amiche transessuali. La sua era proprio un’idiosincrasia per le persone che facevano questa scelta».
I corteggiatori di Eva Robin’s?
«Molti».
(...)
Eva Robin’s oggi?
«Mia madre è morta da tempo, qualche amica anche. Di certo sono più sola. I periodi in cui non lavoro le giornate sono lunghissime».
E?
«Vado in giro a comprare oggetti, leggo. Dovrei smettere di comprare vestiti, alcuni li metterò solo nella bara».
Per esempio?
«Un cappottino di strass molto pesante».
Invecchiare per lei?
«Un’altra trasformazione».
Il corpo?
«Cambia. Il sedere boh, l’ho perso di vista».
Rimedio?
«Abbassare le luci».
Buio finale?
«Macché, voglio tante luci. Tante luci e cappottino di strass».
A illuminare lei?
«Me e tutti i presenti. Quando incontro una persona nuova penso sempre: verrà al mio funerale?».
LA VITA
Eva Robin’s, pseudonimo di Roberto Coatti, è nata a Bologna 66 anni fa.
È entrata nel mondo dello spettacolo alla fine degli anni Settanta, come corista di Amanda Lear. Ha lavorato a lungo per il cinema, recitando in molti thriller, film erotici e commedie.
È stata diretta da Damiano Damiani, Antonio D’Agostino, Maurizio Nichetti, Simona Izzo. Tra gli altri, anche Dario Argento (Tenebre, 1982) e Alessandro Benvenuti (Belle al bar, 1994). Ha partecipato a numerose trasmissioni tv e anche a una serie (Il Bello delle donne 2).
Da 25 anni ha una relazione con una donna.
eva robinseva robins (2)eva robin s eva man eva robins (3)EVA ROBINSEVA ROBINSEVA ROBINS - MOANA POZZI - SYUSY BLADYeva robins a teatro con l'avaro di moliereeva robins a teatro con l'avaro di moliere eva robins nel film la cerimonia dei sensieva robins a belve 3eva robins belle al bareva robins (5)
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