antonio costa meloni
DAGOREPORT
Sono giorni che fa un caldo da togliere il respiro ma Giorgia Meloni suda freddo. E’ un momento delicatissimo per la premier della Garbatella: è giunta a un bivio in cui sono diventate inutili le sue quattro maschere da camaleonte in gonnella. Come direbbe qualcuno dei suoi: è giunta l’ora delle “decisioni irrevocabili”. Lo ha ben capito ieri, a Palazzo Chigi, quando Meloni si è trovata di fronte il successore di Charles Michel, il neo presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa.
Il portoghese, un abile politico che ha salvato il suo paese da una crisi endemica, ha scelto di affrontare come prima tappa del suo tour delle capitali europee, proprio la premier italiana che bocciò la sua nomina a Strasburgo. I fazzolari in servizio militare a Palazzo Chigi hanno fatto sapere ai giornali che i due hanno discusso di “immigrazione” e “competitività”. In realtà, l’incontro si è trasformato in uno scontro.
Macron Scholz Tusk
Quando Costa, dopo i soliti diplomatici convenevoli, ha fatto presente alla Ducetta che uno dei primi atti del nuovo Consiglio Europeo riguarderà il diritto di veto: con il voto all’unanimità non si può più governare l’Unione Europea, ne approfittano solo i piccoli Stati e l’Italia è un grande paese, bla-bla.
pedro sanchez e ursula von der leyen
Ovviamente, l’eliminazione del diritto di veto per la Melona vorrebbe dire tagliare le unghie ai Conservatori di Ecr e ai Patrioti dell’ultradestra di Orban-Lepen. Una decisione che la Fiamma Magica di Palazzo Chigi considera alla stregua di un golpe del quartetto che ha vinto le elezioni europee del 9 giugno: Scholz (Germania), Macron (Francia), Tusk (Polonia), Sanchez (Spagna).
Ma è quello che succede a chiunque quando dimentica il terzo e fondamentale principio della Dinamica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Il no di Meloni al bis di Ursula von der Lejen è servito per salvare la sua presidenza dei conservatori di Ecr, quindi salvaguardarsi dagli attacchi sul fianco destro del suo nemico più intimo, il “vannaccizzato” Salvini, e infine per timore di una reazione del suo zoccolo duro post-fascio di FdI.
jens stoltenberg giorgia meloni
Tale azione ha innescato la reazione ed è partita la prima “rappresaglia” al suo governo. Ecco farsi avanti il segretario uscente della Nato, Jens Stoltenberg, che in modalità “Jena” annuncia la nomina di uno spagnolo come rappresentante speciale dell’Alleanza Atlantica per il Sud Europa, facendo fuori il candidato italiano reclamato dal governo Ducioni.
Oggi tocca a Forza Italia, malgrado la sua appartenenza ai vincitori del Partito Popolare Europeo, pagare il costo di far parte di un governo formata da un partito di destra (FdI) e di un partito di ultra-destra (Lega), apertamente ostile ai nuovi vertici europei: così, a Ciccio Tajani viene sfilata una presidenza di Commissione a Strasburgo e si deve accontentare di una ininfluente delegazione per l’Asia Centrale.
ANTONIO TAJANI - URSULA VON DER LEYEN - MANFRED WEBER - DONALD TUSK
(Mentre il dem Decaro prende la commissione Ambiente e perfino il 5stelle Tridico intasca la sottocommissione per le questioni fiscali). Ovviamente ai “Patrioti” di Orban e Le Pen, nisba incarichi. E Salvini grida al “furto” tra gli sghignazzi degli euro-burocrati di Bruxelles.
E’ chiaro che tale emarginazione con ‘’rappresaglia’’ inclusa potrebbe costare carissima al governo di “Io so’ Giorgia”. A metà agosto l’agenda di Ursula prevede di prendere in esame i nomi dei commissari proposti dai 27 paesi dell’unione, per poi trovare una quadra con i vertici del quartetto al comando. Non è finita: ci sarà poi l’esame dei commissari prescelti da parte del Parlamento, e le sorprese non mancheranno di sicuro.
fazzolari fitto
Anche perché Ursula vuole avere dai 27 governi la candidatura di due nomi per ogni commissario e la possibilità di scegliere lei tra un uomo e una donna. Di qui, i recenti dubbi dei meloniani sul decollo europeo di Fitto: se il ministro non otterrà un commissario economico di primo piano (Pnrr, Coesione o Bilancio), è destinato a restare al suo dicastero romano per sbrogliare i ritardi del Pnrr.
E la Melona infinocchiata, ma felice di non dover fare un rimpastino di governo, spedirà la tuttofare Elisabetta Belloni che, come astutissima diplomatica sopravvissuta alla grande con qualsiasi governo transitato a Palazzo Chigi, non avrà problemi a trovare la giusta alchimia con Bruxelles.
viktor orban incontra matteo salvini a roma
A novembre, quando si insedierà la nuova Commissione di Ursula, il percorso della Ducetta dovrà affrontare salite terribili per riuscire ad ottenere in qualche modo la flessibilità sulle linee guida “lacrime e sangue” del Patto di Stabilità per riuscire infine a licenziare la legge di Bilancio che poi deve passare all’esame degli odiati euro-burocrati. A quel punto, le smorfie e le moine da attrice di borgata potrebbero non bastarle più. Anche perché l’Italia di Meloni e Salvini è l’uno Paese che continua a rifiutarsi di ratificare il Mes.
SALVINI TRUMP
Le strade di Meloni sono tutte in salita, peggio della via Crucis, e, al suo fianco, non c’è più la vecchia Forza Italia sdraiata ai suoi voleri ma si troverà in compagnia di una Lega in modalità Orban-Le Pen, che da Putin ha abbracciato la campagna elettorale di Trump, completamente ostile e astiosa nei confronti dell’Unione Europea che mai, come in tale disordine mondiale, ha bisogno di essere unita e serrare le fila per non farsi trovare impreparata dall’esito a novembre delle presidenziali americane.
VIGNETTA GIANNELLI - GIORGIA MELONI COME DONALD TRUMP
Se Kamala Harris perde, l’’’America First” di Trump abbandonerà l’Europa al suo destino. Dunque, meglio prepararsi all’esplosione di un conflitto inedito nel mondo occidentale sbattendo subito ai margini del potere europeo chi, come la Camaleonte italiana, è già pronta a farsi baciare la testolina bionda dal fraudolento bancarottiere di New York col debole di andare a letto con le attricette del porno.