IRON MAIDEN LEGACY OF THE BEAST TOUR
Federico Ercole per Dagospia
“Tutto quello che è rimasto di ciò che eravamo, è ciò che siamo diventati”, canta Bruce Dickinson, spadaccino, pilota di aerei e voce esemplare (anche quando ha latitato, almeno come ricordo e anelito) degli Iron Maiden. La band leggendaria torna a suonare la sua “bestiale” eredità dal vivo nel Legacy of the Beast Tour, una serie di date rimandate durante i due anni di pandemia e ora possibili, così che il 7 di luglio i sei musicisti che compongono la “ferrosa fanciulla” giungeranno anche in Italia, al Sonic Park di Bologna.
IRON MAIDEN LEGACY OF THE BEAST TOUR
Gli Iron Maiden guardano quindi al loro travolgente passato nella coincidenza sublime con il loro presente, ormai grandi (non)vecchi di un un rock metallico e pesante che si vorrebbe obsoleto ma non muore mai, “heavy metal” purissimo persino nella sua fluidità tra i generi, una musica che mantiene tutta la giovanile potenza delle origini risultando ancora nuova e rivoluzionaria, balsamica e catartica con la furia del suo volume, le distorsioni, l’epica, gli sconfinamenti nella letteratura e nel cinema e la mostruosità, l’orribile e incomparabile bellezza horror dell’iconico Eddie, la marcescente stella delle copertine di ogni disco.
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E’ proprio Eddie, sia egli un assassino, un folle incatenato, un faraone, il messaggero del diavolo, l’ombra nelle tenebre o samurai, che attira per primo un pubblico nuovo e curioso, soprattutto giovanissimo, ammiccando dalle copertine con il suo ghigno perverso; come l’affascinante e spaventosa forma di una pianta carnivora attrae gli insetti nel suo letale interno, così Eddie cattura gli ignari neofiti per precipitarli invece in un nuovo mondo di meraviglie musicali.
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Nel Legacy of the Beast Tour non ci sarà solo il passato della band britannica, fondata a Londra dal bassista Steve Harris nel 1975, ma qualcosa del presente, rari brani tratti dal loro ultimo, struggente e meraviglioso Senjutsu, uscito durante il settembre del 2021, perché appunto : “tutto quello che è rimasto di ciò che eravamo, è ciò che siamo diventati”.
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COME GUERRE STELLARI, GOLDRAKE, D&D E SPACE INVADERS
Sebbene Iron Maiden e Killers siano due album straordinari e magnifica sia la voce più punk che metal di Paul di’Anno, fu nel 1982 con The Number of the Beast e l’avvento di Bruce Dickinson che la band assunse una dimensione extra-musicale, divenendo un “mito” che sconvolse e formò le nuove generazioni in maniera non differente da altri e diversi fenomeni. L’influenza dei Maiden nell’immaginario fu potente come prima quella di Guerre Stellari, degli “anime” soprattutto di Go Nagai quindi Goldrake e Mazinga, del fantasy attuato di Dungeons & Dragons, dei primi videogiochi.
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Nei suoni diabolici e apocalittici, eppure così epici di The Number of the Beast, una generazione trovò un riscatto, una via di fuga dal presente musicale e non, un luogo di unione inclusivo, una nuova leggenda che emancipava e rendeva più forti grazie alla passione che alimenta, al potere salvifico e senza confini della passione.
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Poi vennero le conferme-evoluzioni di Piece of Mind del 1983, con la sua follia furiosa e le canzoni dedicate a Dune di Frank Herbert, a Dove Osano le Aquile, al mito di Icaro ; le alchimie egiziane di Powerslave nel 1984 dove anche i versi tragici e marinareschi di Samuel Taylor Coleridge divengono materia di una lunga ballata; il futuro-western di Somewhere in Time dove convivono brani ispirati ai romanzi di Robert Heinlein e Alan Sillitoe, a Il Paradiso può Attendere con Warren Beatty e ad Alessandro Magno; il progressivo e travolgente Seventh Son of the Seventh Son nel 1988 dopo il quale si allontana, solo per qualche anno, il chitarrista Adrian Smith; il meno ispirato e più “tradizionale” No Prayer for the Dying nel 1990; nel 1992 il di nuovo bellissimo Fear of the Dark.
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Fu dopo quest’ultimo che Bruce Dickinson (da ascoltare, amare e conoscere sono anche i suoi album da solista) lasciò gli Iron Maiden e il ruolo di “frontman” fu affidato a Blaze Bayley che cantò per la band in due album: The X Factor nel 1995 e Virtual XI nel 1998. Si tratta di album meno amati dai fan, ma ingiustamente, e comunque vieppiù riscoperti; certo è che ascoltare canzoni come The Clansman (da Braveheart) e Sign of the Cross (su Il Nome della Rosa) oggi ricantate da Bruce Dickinson fa davvero un effetto positivo, senza nulla togliere all’ottimo Bayley.
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Nel 2000 tornano nei Maiden sia Bruce Dickinson, Adrian Smith e Derek Riggs alla copertina con Brave New World, un album che eredita molto dall’era Bayley dimostrandone quindi la validità, ci sono pezzi ispirati a Aldous Huxley (il brano del titolo) e anche C.S. Lewis. Dopo tre anni arriva lo sperimentale Dance of Death, e ancora tre anni passano per il sempre “mortale” A Matter of Life and Death, album sempre più lunghi e complessi nella forma delle loro canzoni. L’uscita delle opere degli Iron Maiden comincia a rarefarsi progressivamente: Final Frontier nel 2010, The Book of Souls nel 2015 e infine Senjutsu nel 2021, album titanici per contenuti, profondità, volontà di trasgredire alle regole del metal e dilatazione.
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Insomma diciassette album in ventun anni, senza considerare le registrazioni “live”. Al concerto di Bologna del 7 luglio (sono disponibili ancora pochi biglietti), un compendio di tutta questa storia eccezionale, con alcune inevitabili lacune. Si conosce già la scaletta, ma lasciamo ale lettore la sorpresa o la volontà di conoscerla a priori.
IL MUCCHIO SELVAGGIO
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Ci saranno i sei membri attuali e ormai storicizzati degli Iron Maiden sul palco del Sonic Park bolognese più, è ovvio, un mostruoso e nipponico Eddie: Bruce Dickinson (che oltre a dare di spada e pilotare aerei anche di linea negli anni ha sconfitto un cancro alla gola), i tre chitarristi Dave Murray, Adrian Smith e Janick Gers, il bassista Steve Harris, il batterista Nicko McBrain. I membri degli Iron Maiden hanno tutti tra i sessanta e i settanta anni, ma non è percepibile nessuna stanchezza o l’ombra di un’anzianità che non sia una superiore saggezza, nelle loro prestazioni dal vivo.
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Essi sono e permangono un mucchio selvaggio, gloriosi cavalieri del rock in un tramonto che si eterna, alfieri di un Heavy Metal classico che sta tornando ad essere amato e recuperato anche tra i giovani, come dimostra il successo delle tournée di altri Kings of Metal delle origini come i Judas Priest, i Metallica, i Blind Guardian... il mondo già assordato dagli orrori di crisi economiche, pandemie e guerre ha bisogno di nuovo del metal, per coprire i rumori più brutti con la potenza unica del suo volume, e reagire al presente, oppure curare così le orecchie e il cuore.
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