Marco Giusti per Dagospia
tilda swinton in a bigger splash
“Una gioia per i sensi, da svenimento. Due ore d’amore al fresco, fra scenari meraviglioisi e una latente schermaglia erotica”. “Ma da quando Ralph Fiennes è diventato uno dei più grandi attori del momento?” “Mister Guadagnino eccelle nel creare la pornografia dello stile di vita di un genere assolutamente rarefatto, anche se siamo in un classico film europeo”.
ralph fiennes e tilda swinton in a bigger splash
“Il giusto calcio d’inizio, forte e soddisfacente, della stagione estiva del circuito dei film d’arte”. “Luca Guadagnino ha fatto qualcosa di raro e sconvolgente: un film fortemente pagano”. “Si rimane irrequieti, è un film impossibile da ignorare. Si esce dal film come se dallo schermo ci arrivassero delle scottature, e la storia sfida la soluzione”. “Ralph Fiennes da Oscar”. “Mai stato cosi bravo prima”.
dakota johnson in a bigger splash
Insomma, è raro che un film italiano abbia non uno o due articoli positivi, ma tutta la stampa americana dalla sua parte. E parliamo delle star della critica cinematografica, di Justin Chang del “Los Angeles Times”, che vuole Ralph Fiennes agli Oscar, di Manhola Dargis del “New York Times” (“ci indora il piacere con un senso di colpa politico”), di Anthony Lane del “New Yorker” (“è un film dionisiaco”, “Impossibile da ignorare”), di riviste come “Film Comment”, “People”, “Indiewire”.
cast a bigger splash
E’ grazie a questo appoggio che A Bigger Splash è diventato il film d’arte che sarà impossibile non vedere in quest’estate cinematografica americana. Uscito in cinque copie, che poi saranno venticinque questa settimana e dovrebbero arrivare a 250 nel tempo di un paio di mesi. Se le cose vanno come pensa la Fox Searchlights che lo ha prodotto e lo distribuisce in America. Intanto, come media copia, è secondo solo a Captain America, ma la cosa più importante è il trionfo critico che lo rende un imperdibile oggetto di culto per l’intellettuale americano e il frequentatore di cinema alto.
Al punto che, davvero, al di là di ogni polemica, e di ogni schermaglia culturale, la incomprensione dei nostri criticucci italiani a Venezia, “che gli dai due palle? Due palle e mezzo?”, “ma questo finale, lo sa che non funziona?”, la posizione odiosa della nostra industria cinematografica, che non solo lo ha massacrato a Venezia, ma non gli ha permesso di ottenere neanche la più piccola delle nomination ai funesti David, diventano qualcosa di imbarazzante. Per noi.
tilda swinton e luca guadagnino
Non perché non sia un film criticabile, lo è, ma perché da noi siamo abituati, da tempo, anzi da parecchio tempo, a una mediocrità di scrittura cinematografica e a una omologazione di linguaggio di messa in scena, che ci rende, temo, quasi impossibile capire qualcosa che è un po’ diverso o originale. Vedi il caso dei primi film di Checco Zalone o di Jeeg Robot. Ma qui c’è qualcosa che tocca anche un diverso discorso sul cinema, nouvellevaguisticamente, e non solo una storiella modellata sul buon cinema europeo.
a bigger splash
Magari i critici americani sono un po’ boccaloni, vedono la ricotta fresca, i piatti di pesce di Pantelleria, il sole, il mare, e ci cascano. Magari è così. Un tempo bastavano la pizza e i mandolini. Ma non credo proprio che Anthony Lane e Manhola Dargis siano più boccaloni di Paolo Mereghetti e Fabio Ferzetti che si eccitano per un film di Terrence Malick. O di certi giornalisti che scrivono di certi produttori che “danno lavoro agli intellettuali”.
a bigger splash 4
E qui, al massimo c’è un piatto di ricotta fresca, non la Roma della Grande bellezza. Allora il problema si sposta. Perché ai nostri critici e al nostro cinema non piace A Bigger Splash non perché è una macumba per turisti, ma soprattutto perché Guadagnino è critico nei confronti della nostra critica e della nostra industria. Ci rinfaccia i film che facciamo e quello che scriviamo. Ci rinfaccia una mediocrità di scrittura che noi stessi non dovremmo permettere. Almeno in questo, riconosciamolo, è onesto.
a bigger splash
Rischia il linciaggio a casa, che è puntualmente avvenuto, e gioca tutto su un mercato diverso. Ma per noi, per il nostro cinema, che non ha messo un soldo per i suoi film, per quei David inutili, è uno smacco clamoroso. Al di là degli incassi così bassi del film, roba da Stefano Calvagna, insomma. Perché dimostra che, ricotta fresca a parte, ha non solo classe e talento, ma molti validi motivi per rinfacciarci quello che siamo e quello che produciamo.