Leonardo Iannacci per “Libero Quotidiano”
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Pavana e Porretta Terme sono divise da una manciata di chilometri. Per questo il Maestrone, come viene chiamato Francesco Guccini dai fan ma anche dal barista e dagli amici contadini che popolano la frazione sui colli modenesi diventato il suo bunker, ha accettato la trasferta.
Tirarlo fuori da Pavana è un’impresa: non ci riesce più la musica, che ha abbandonato da mesi. Né gli amici di Bologna che un tempo lo avevano eletto re delle notti nelle osterie, tra chiassose partite a carte, fiumi di vino e canzoni leggendarie.
Ci sono riusciti, però, al Rufus Thomas Park di Porretta Terme dove hanno organizzato una «tre giorni» in suo onore.
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Guccini, per una volta mette fuori il naso dalla sua Pavana: un evento?
«In parte sì. Me ne sto così bene tra i miei alberi. Ma non potevo dire no a questa 3 giorni dove hanno pensato di ricordare quello che ho fatto in carriera. A volte penso: mi omaggiano, bene: ma non sono mica ancora morto...».
Stona un po’ la seconda serata, dedicata alla musica, vero?
«In questa stagione della mia vita non ho intenzione di fare deroghe a una decisione presa qualche mese fa: addio con le canzoni».
Si legge in certe biografie: Guccini ex-cantautore. La infastidisce quell’ex?
«È un dato di fatto, mica sono più operativo. Guccini cantautore c’è nei ricordi. Ormai sono un personaggio “parallelo” a manifestazioni come questa di Porretta».
Colpa dell’età?
«Un tempo prendevo la chitarra e componevo. L’Avvelenata la finii in mezz’oretta. Le canzoni fioriscono o non fioriscono, non c’è verso».
Come l’ispirazione? Non sono pochi i suoi colleghi che danno tutto nel primo tempo della loro carriera e arrivano a 50 anni mosci mosci...
«La vena creativa può anche prosciugarsi, come un fiume. Meglio chiudere in bellezza. Se domani mi venisse in mente una melodia, non scriverei una canzone».
Francesco Guccini
Alcuni suoi colleghi, però, lo fanno ancora...
«Magari continuano ad andare avanti con esperimenti strani, laterali pur di restare in prima linea».
I suoi fan sognano il concerto d’addio?
«Non tocco più la chitarra, non canto neppure sotto la doccia. Né ascolto neppure più la radio. Se fiuto che stanno passando una mia canzone, cambio».
Quindi libri e solo libri?
«Sì. Forse qualcuno ricorda anche qualche mia comparsata al cinema, per esempio in Ti amo in tutte le lingue le mondo di Pieraccioni.Ma sono concentrato sui romanzi. Sto scrivendo il terzo giallo con protagonista Poiana, l’ispettore della forestale Marco Gherardini».
Lei ha «fatto» il ’68 con la chitarra in mano: un bilancio?
«È stato un incrocio della nostra vita nella quale sono state cambiate delle cose,magari non tutte quelle che ci eravamo messi in testa. Ma, come si dice dalle nostre parti: piuttosto che niente è meglio piuttosto».
Gli obiettivi raggiunti?
«I cambiamenti nel costume, nel rapporto con l’altro sesso, nel modo di pensare alle cose».
La sua generazione, quindi, non ha perso, come cantava Giorgio Gaber?
«Ahimè, Giorgio se ne è andato troppo presto, non abbiamo fatto in tempo a discutere di questo. Gli avrei detto: guarda che la nostra generazione ha vinto. È uscita ferita ma indenne dalla Seconda guerra mondiale».
CAPOSSELA
Papa Francesco lo ritiene un rivoluzionario dei nostri tempi?
«È un gesuita, quindi applica una dottrina che è quella del Vangelo. È rivoluzionario quando parla di aprire il diaconato alle donne oppure quando fa richiami per una Chiesa più sobria, più vicina ai sacerdoti di montagna, ai loro sacrifici ».
Una canzone per la quale va parecchio orgoglioso?
«Auschwitz. Ha ancora un bel giro armonico, e poi racconta cose importanti».
Rimpianti?
«Per la vista, che non è più quella di una volta. Per leggere sono costretto a usare apparecchi speciali».
Davvero se ascolta la radio e sente una canzone di un collega, cambia?
«Non sempre. Vinicio Capossela scrive cose belle».
Aldo Cazzullo e Francesco Guccini