Enrico Currò per “la Repubblica” - Estratti
BOSMAN
Dicembre, per il calcio in tribunale, è decisamente il mese fatidico. Era infatti il 15 dicembre 1995 quando una sentenza della Corte europea, in base al principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Ue, riconobbe la fondatezza del ricorso presentato nel 1990 dall’allora ventiseienne Jean-Marc Bosman: al centrocampista dell’Rfc Liegi era stato impedito, malgrado il suo contratto scadesse a giugno, di perfezionare il trasferimento al Dunkerque senza versamento di indennizzo all’Rfc.
La sentenza Bosman segnò la rivoluzione del calciomercato: liberalizzazione della circolazione nell’Ue per tutti i calciatori (fino ad allora limitato dal passaporto), passaggi di squadra col cosiddetto parametro zero, ingaggi moltiplicati per un’élite dal grande potere contrattuale e in generale boom inarrestabile del business del mercato.
jean marc bosman
Jean-Marc Bosman, 28 anni dopo la sentenza che porta il suo nome, la Corte europea rivoluzionerà ancora il mondo del calcio col caso Superlega?
«Non sono in grado di dirlo. Ma posso dire con certezza che il tema è sempre lo stesso: i soldi. Si combatte per quello, i principi e i valori dello sport c’entrano ben poco. E posso ben dirlo io, che ho fatto arricchire gli altri, ho trasformato completamente un sistema e adesso sono qui, mezzo invalido e abbastanza povero. Mi permette di rinfrescare la memoria agli smemorati?».
Prego.
«Nel 1995 io vinco la causa, durata 5 anni, per vedere riconosciuto un mio diritto. Sembra l’inizio di una nuova era, in cui finalmente i calciatori professionisti, che per la maggior parte non sono affatto ricchi, non possono più essere trattati come pacchi postali, ma hanno le stesse tutele degli altri lavoratori».
ceferin
Invece?
«Invece tutto questo dura per un paio d’anni, il tempo della permanenza di Karel van Miert come commissario europeo alla concorrenza. Lui aveva davvero a cuore lo sport, i suoi successori se ne sono infischiati. Ma io intanto avevo già avviato la seconda parte della battaglia».
Quale?
«La clausola di nazionalità. Le squadre che mi avevano contattato in Francia, dove c’era il tetto dei tre stranieri in squadra, mi dicevano: ti abbiamo seguito, sei bravo, però da noi saresti il quarto o il quinto straniero. Anche se sapevo che a me non sarebbe servito, ho spinto i miei avvocati a insistere. L’ho fatto per gli altri. Così, se nella Ue è saltato il tetto dei comunitari e se poi si è spianata la strada agli extracomunitari, credo che molto del merito sia mio».
Torniamo al 1997.
«Da allora c’è chi si è arricchito sempre di più, ma ha fatto finta di non accorgersi della mia graduale emarginazione. Il sistema mi ha buttato via: non solo negli ultimi anni di carriera, ma soprattutto dopo».
jean marc bosman
A chi allude?
«A tutti. A Fifa e Uefa, che hanno alimentato il loro impero, in particolare coi diritti televisivi. E ai miei colleghi, vecchi e nuovi».
(...)
Sulle sue vicissitudini personali, che l’hanno portata a vivere del sussidio statale, ha inciso l’oblio?
«Ne ho sofferto certamente. Le pare normale che io non sia mai stato invitato a un Mondiale o a un Europeo? Oggi vivo ad Awans, vicino a Liegi, col più piccolo dei miei figli, che ha 14 anni e che mantengo. Ho problemi di mobilità e per fortuna c’è il sussidio che mi dà la Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori».
Bosman, non ha detto cosa pensa della sentenza sul caso Superlega.
«Che mi dispiace molto, se penalizza i piccoli club e i calciatori di seconda e terza fascia: temo sia la legge del mercato, dove il pesce grosso mangia sempre quello piccolo. L’Europa in questo è spietata, l’ingegnere di una grande azienda guadagna cinque volte quello di una ditta minore. Se invece Fifa e Uefa perdono potere, sa che cosa le dico? Che non mi metto certo a piangere per loro».
jean marc bosman