Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera
MUGHINI
«Talmente lontano come sono oggi dal me stesso ventenne, fatico non poco a inquadrare quel che ero davvero quando feci la prima sortita pubblica della mia vita, una concione catanese a commemorare a quindici anni di distanza il 25 aprile 1945, una concione nella quale avevo pronunziato a voce stentorea che la Repubblica italiana del dopoguerra non avrebbe dovuto perdonare chi era stato fascista, e dimenticavo che uno di quei fascisti da non perdonare sarebbe stato mio padre, che era stato fascista fino allo scoppio della guerra e che tuttavia era una brava persona».
Leggere i libri di Giampiero Mughini è sempre un grande piacere intellettuale, in particolare quando sono scaldati (lui direbbe speziati) da squarci autobiografici. Nella sua ultima opera - «I rompicazzi del Novecento. Piccola guida eterodossa al pensiero pericoloso», da oggi in libreria per Marsilio - l'autobiografia all'apparenza passa in secondo piano. In realtà, i «rompicazzi» del libro sono personaggi in cui l'autore si specchia e ritrova una parte di sé.
MUGHINI COVER
Non allineati e non allineabili. A cominciare dai due grandi romeni che dominano il primo e più lungo capitolo: Mircea Eliade ed Emil Cioran, «quei due giganti della cultura europea che per un tempo della loro giovinezza avevano optato per le idee della destra antisemita rumena e non». Cioran in particolare avrà parole entusiaste, poi rinnegate, sulla Germania di Hitler. Eliade e Cioran erano amici (meravigliosa la pagina in cui Mughini racconta la dolce morte di Eliade, leggendo in bozze il capitolo dell'ultimo libro di Cioran a lui dedicato).
Nella ricostruzione minuziosa, opera per opera, disillusione per disillusione, mansarda per mansarda - la povertà materiale si accompagna spesso nei «rompicazzi» alla ricchezza spirituale - del percorso dei due grandi rumeni diventati francesi, Mughini ritrova sia il lungo viaggio dei giovani intellettuali della prima metà del Novecento affascinati da un'ideologia di estrema destra che si rivelerà barbara e criminale, sia, come in un'immagine speculare, la fascinazione dei loro figli e nipoti, nella seconda metà del secolo, per l'ideologia marxista, nonostante i mostri asiatici - ma anche europei e latinoamericani - che aveva partorito.
cioran eliade
E Mughini si riconosce nelle parole di Cioran quarantenne: «Chi tra i venti e i trent' anni non dice sì al fanatismo, al furore e alla demenza è un imbecille. Si è liberali per stanchezza, democratici per ragionamento. L'infelicità è propria dei giovani Nell'epoca in cui ero giovane, tutta l'Europa credeva alla gioventù, tutta l'Europa la spingeva alla politica. Tenete conto poi che il giovane è uno che ama la teoria, è un mezzo filosofo che ha bisogno costi quel che costi di un "ideale" irragionevole. Non gli basta una filosofia modesta: è un fanatico, conta su ciò che è insensato e ne attende tutto. Noi, i giovani del mio Paese, vivevamo di quel che è insensato. Era il nostro pane quotidiano».
A immergersi nel capitolo su Eliade e Cioran si parte dall'incontro tra il giovane Indro Montanelli e il capo della Guardia di Ferro Corneliu Codreanu, si prosegue con l'assassinio di Codreanu strangolato con un filo di ferro, la presa del potere di Antonescu che con la Guardia di Ferro si era alleato, il massacro in carcere dei 54 responsabili della morte di Codreanu, la rottura tra Antonescu e i Legionari, la tragedia del corpo di spedizione romeno in Russia comandato dallo stesso Antonescu.
ELIADE CIORAN
La vita porterà sia Eliade sia Cioran in Francia, e qui il libro incrocia un'altra passione di Mughini: Vichy, la Francia sconfitta e collaborazionista, che eredita le pulsioni destrorse degli anni 30 e le mette al servizio dell'invasore nazista, tra vigliaccherie di comunisti che come il loro capo Maurice Thorez disertano per non combattere contro i tedeschi alleati dell'Unione sovietica e doppi giochi di dignitari petainisti che salvano vite di ebrei e perseguitati; e uno di quei doppiogiochisti, François Mitterrand, diventerà il primo presidente socialista della Quinta Repubblica.
codreanu
Cinque milioni di denunce ricevettero gli occupanti tedeschi dai pacifici francesi che puntavano il dito contro il vicino di casa o il concorrente, additato come ebreo o antinazista. Un'infamia cui fa da contraltare il silenzio dei torturati, come l'editore Pierre Brossolette che mentre Sartre continua indisturbato il suo lavoro letterario si getta dal quinto piano in manette durante un trasferimento perché non sa se riuscirà ancora a tacere, a reggere altri dieci giorni di sevizie come quelli che ha appena passato.
Rispetto a una simile tragedia, il Maggio '68 può apparire una farsa; eppure nella folla accorsa nel teatro dell'Odéon occupato dalla gioventù ribelle e abbandonato dal suo direttore con la moglie attrice, un'Odéon frequentato anche dal Mughini ventisettenne, un giorno arriva ad ascoltare l'assemblea rovente pure Eliade; e a chiudere il cerchio trova o crede di trovare la stessa atmosfera della Bucarest del gennaio 1941, i giorni in cui i Legionari si scatenarono contro gli ebrei al punto da indurre lo stesso Antonescu a fermarli. Un accostamento che ovviamente l'autore non accetta (fulminanti le pagine sul pogrom di Iasi).
nozze mick e bianca jagger (2)
Ma a cui non si sottrae, perché gli estremismi hanno sempre qualche punto in comune: se non nella malvagità e nella drammatica contabilità, nella radicalità. E sulla Romania doveva ancora abbattersi la catastrofe comunista: Cioran non rivedrà per quarant' anni il fratello minore Aurel, imprigionato dal regime, vessato dalla Securitate;
prezzolini
e quando lo ritrova a Parigi nel maggio 1981, il mese dell'elezione di Mitterrand, non lo riconosce. Terminato questo formidabile capitolo, il libro non finisce ma ricomincia, con una galleria di personaggi tutti da degustare: Giovanni Ansaldo, Giaime Pintor, Gianni Celati, Mick Jagger o meglio le sue donne, Giuseppe Prezzolini (in cui si racconta tra l'altro un'epica intervista a Lugano seguita da un'«ululante telefonata» di protesta dell'autore al vicedirettore di Panorama), Marina Ripa di Meana. Tra le tante citazioni possibili, se ne possono scegliere due, che condensano le ragioni della vittoria e della sconfitta del fascismo. La prima è di Prezzolini: Mussolini prende il potere «malmenando la libertà», in un Paese «dove il senso della libertà è sempre stato scarso» e «l'eredità della guerra mantiene disposti gli uomini a una lotta senza riguardi per le regole della vita civile».
marina ripa di meana
La seconda è di Ansaldo: Mussolini perde il potere quando «per dispetto, per vanità, per orgogliaccio offeso, per picca, ci buttammo nelle braccia della Germania. L'Asse fu un colpo di scena, fatto per impressionare la Francia. E quanto meno la Francia dimostrò di impressionarsi, tanto più noi ci infognammo con la Germania, senza conoscerla, senza amarla, senza stimarla».
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