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    IL DELITTO (QUASI) PERFETTO DEI BOIARDI DI STATO – DURANTE LA CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO AIUTI BIS UNA “MANINA” HA INSERITO UNA NORMA CHE PERMETTE DI DEROGARE AL TETTO MASSIMO DEGLI STIPENDI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE FISSATO A 240MILA EURO – DRAGHI SI È INCAZZATO CON IL MINISTERO DELL'ECONOMIA, CHE HA RESPINTO LE ACCUSE DICENDO DI AVER FORNITO SOLO UN “CONTRIBUTO TECNICO SULLE COPERTURE”– “MARIOPIO” GELIDO CON I PARTITI: “NON HO INTENZIONE DI METTERE LA FACCIA SU QUESTA NORMA MENTRE LA GENTE FA I CONTI CON L'INFLAZIONE”


     
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    1 – STIPENDI AI DIRIGENTI SALTA IL TETTO NELLA PA L'IRA DI PALAZZO CHIGI

    Estratto dall'articolo di Roberta Amoruso e Alberto Gentili per “Il Messaggero”

     

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    Arriva una picconata al tetto che ferma a 240.000 euro lo stipendio dei supermanager pubblici. La maxi-deroga ai paletti introdotti nel 2011 dal governo di Mario Monti e richiamati dal governo Renzi nel 2014 passa con un emendamento approvato in Senato al Decreto Aiuti-bis. Un correttivo arrivato in extremis, infilato magicamente nell'ultimo provvedimento utile prima dell'appuntamento con le elezioni con il sì di tutti i partiti e l'astensione di FdI, Lega e M5S.

     

    L'ok del Senato all'abolizione del tetto ha colto di sorpresa Mario Draghi. Tant'è, che da palazzo Chigi prima è filtrato «disappunto». E una presa di distanze: «Decisione squisitamente parlamentare». Poi, chi ha parlato con il premier l'ha descritto «molto, molto arrabbiato». «Imbufalito»: «Non può accettare una mossa del genere mentre famiglie e imprese vivono il dramma del caro-bollette».

     

    DANIELE FRANCO E MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO E MARIO DRAGHI

    Ed è seguita la ricostruzione dei fatti: «L'emendamento è stato proposto da Forza Italia ed è stato sostenuto da tutti i partiti. Purtroppo, però, ha avuto una sponda nel governo: il Tesoro e il ministro ai rapporti con il Parlamento D'Incà hanno vistato la norma e non hanno informato il Presidente». In poche parole: «Siamo stati fregati, non lo sapevamo».

     

    Il Tesoro, poco dopo, è corso a precisare di avere offerto «solo un contributo tecnico sulle coperture». E palazzo Chigi ha bacchettato i partiti e ha assolto Daniele Franco e i suoi dirigenti: «Si è trattato di un emendamento parlamentare, inserito all'ultimo minuto, di cui non sapevamo nulla e per il quale il Tesoro ha fornito solo un contributo tecnico».

     

    mario draghi daniele franco mario draghi daniele franco

    Non è mancato l'impegno solenne ad azzerare l'abolizione del tetto degli stipendi: «Per attuare questa norma serve un altro provvedimento, un Dpcm. E potete stare certi che non arriverà mai. Draghi è fermamente contrario». Tant'è che non si esclude che domani o venerdì, quando il governo sarà chiamato a varare il decreto Aiuti ter, «venga introdotta una norma soppressiva» dell'emendamento-scandalo.

     

    Scatta però il classico scaricabarile. Matteo Renzi dà la colpa al governo: «Quel tetto l'avevo messo io, ma l'esecutivo ha fatto questa riformulazione e non avevamo alternativa che votarlo per evitare che saltasse tutto e saltassero 17 miliardi di aiuti alle famiglie».

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    E il Pd, con le capogruppo Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, mette a verbale: «Purtroppo nel testo del decreto è passato un emendamento di Forza Italia riformulato dal Tesoro, come tutti gli emendamenti votati oggi con parere favorevole, che non condividiamo in alcun modo. Pertanto presenteremo alla Camera un ordine del giorno al decreto aiuti bis, impegnando il governo a modificare la norma e ripristinare il tetto nel primo provvedimento utile e cioè nel decreto Aiuti ter». […]

     

    2 - STIPENDI PUBBLICI, DRAGHI STOPPA IL BLITZ NESSUN AUMENTO A GENERALI E DIRIGENTI

    Estratto dall'articolo di Alessandro Barbera per “La Stampa”

     

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    Accade spesso alla fine di governi e legislature. Chiamiamoli regolamenti di conti o - meno maliziosamente - i nodi che vengono al pettine. Fatto è che ieri, fra Palazzo Chigi, Tesoro e le alte burocrazie si respirava una tensione mai vista nell'anno e mezzo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Due le ragioni, entrambe rilevanti per le sorti della campagna elettorale. La prima: la norma sugli extraprofitti delle aziende energetiche. E due: un emendamento approvato in Parlamento contro il tetto allo stipendio dei funzionari pubblici. […]

     

    L'altra ragione di scontro dentro i palazzi è un emendamento votato durante la conversione in legge del decreto Aiuti bis (occhio alle differenze) in Senato. Proposta da Forza Italia e approvato in Commissione da tutti i partiti, la norma permetterebbe ai vertici militari, di polizia, carabinieri e ministeri di derogare al tetto che vieta indennità superiori a quella del presidente della Repubblica, pari a 240mila euro l'anno. Non appena avuta notizia del sì all'emendamento, dallo staff del premier è filtrato il nervosismo verso il suo (fin qui) fidato ministro del Tesoro, Daniele Franco.

     

    giorgetti draghi dinca franco giorgetti draghi dinca franco

    A precisa domanda dal Tesoro ammettono di aver dato parere favorevole alla norma, salvo aggiungere che ogni decisione sugli emendamenti rilevanti è sempre concordata con Palazzo Chigi. «Forse qualcuno si è distratto. Se non Draghi, qualcuno del suo staff», dice una seconda fonte. Per fugare ogni sospetto di complicità, il premier ha recapitato ai partiti un messaggio che si può riassumere così: «Non ho intenzione di mettere la faccia su questa norma mentre la gente fa i conti con l'inflazione».

     

    Che la faccenda si sia tramutata subito in un boomerang l'hanno capito anche i partiti. Dopo il blitz in Commissione, in Aula si sono astenuti (voto di astensione, non contrario, ndr) Fratelli d'Italia, Cinque Stelle e Lega. Ora c'è chi ipotizza una norma soppressiva da inserire nel decreto ter: il Pd (che pure ha votato a favore) promette un ordine del giorno perché ciò avvenga. «Siamo contrari alla norma», diceva ieri sera il segretario Enrico Letta.

    daniele franco mario draghi conferenza stampa sulla manovra daniele franco mario draghi conferenza stampa sulla manovra

     

    Se così non fosse, e poiché la norma avrebbe bisogno di un decreto attuativo firmato dal presidente del Consiglio (Dpcm) Draghi ha fatto sapere che non lo firmerà. In quel caso l'ultima parola spetterà (di nuovo) al successore, ovvero (con molta probabilità) a Giorgia Meloni. Sintesi della storia: nei palazzi c'è molta gente impegnata a far scatoloni. In alcuni casi, a capire quale sarà il prossimo ufficio in cui farli consegnare.

    DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI AL SENATO DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI AL SENATO daniele franco daniele franco DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI

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