Federico Rampini per il Corriere della Sera
ROMANO PRODI CINA
Il ricordo degli anni Ottanta quando alla guida dell’Iri aiutò una Cina povera ma già laboriosa e più efficiente della Russia; e il leader comunista Deng Xiaoping gli chiese di portare Maradona a Pechino. L’imprudenza dell’Italia nel firmare il memorandum del 2019 con Xi Jinping. L’illusione di Macron di contare da solo. L’importanza dell’Europa per salvare il mondo dalla guerra.
Sono temi che Romano Prodi affronta in un’intervista televisiva dedicata alla questione cinese. Registrata prima della scomparsa di sua moglie Flavia, l’intervista andrà in onda su La7 nel mio programma «Inchieste da fermo»: un viaggio in due puntate nei due imperi rivali, America e Cina. La prima sugli Stati Uniti stasera alle 21.15, la seconda sulla Repubblica Popolare il 27 giugno.
Quando cominciò la sua relazione con la Cina?
ROMANO PRODI IN CINA - CHINA DAILY
«Ero presidente dell’Iri negli anni ’80. L’Iri aveva avuto una commessa dall’Unione Sovietica per uno stabilimento di tubi per le perforazioni petrolifere. Due anni e mezzo dopo il governo cinese ci chiese uno stabilimento gemello al porto di Pechino, Tianjin. Noi abbiamo finito lo stabilimento cinese, e i giovani tecnici cinesi ci hanno aiutato a costruire quello sovietico. Lì ho capito tutto.
Un altro episodio degli anni ’80. Ansaldo ebbe la commessa di due centrali elettriche in Cina. Firmiamo il contratto, la controparte cinese mi dice: “Il presidente Deng Xiaoping vorrebbe vedere giocare Maradona… due partite a Pechino e Shanghai, Deng sarà allo stadio, avremo 600 milioni di telespettatori”. L’allenatore del Napoli Ottavio Bianchi mi risponde: “Maradona vuole 300 milioni di lire”. Non mi sono sentito come garante di un’impresa pubblica di spendere cifre simili per una partita di football».
I cambiamenti dalla Cina di allora?
XI JINPING IMPERATORE - IMMAGINE CREATA CON MIDJOURNEY
«Nei colloqui da presidente del Consiglio negli anni ’90, da presidente della Commissione europea dal 2000 al 2005… evidentemente il presidente cinese non mi diceva che voleva diventare democratico; c’era il comunismo, ma c’era quasi un’ammirazione verso i sistemi occidentali, una curiosità estrema per l’Unione europea. L’attenzione per l’euro. Eravamo un modello. Da quando c’è Xi Jinping il linguaggio è diverso; è una Cina assertiva, che dice: noi abbiamo tirato fuori dalla miseria 800 milioni di persone. Voi litigate, andate lentamente. Il mondo guarderà a noi e non a voi».
(...)
Nel 2019 l’Italia, unico Paese del G7, firma un memorandum per far parte della Nuova via della seta. Se lei fosse stato premier avrebbe firmato? Abbiamo avuto benefici?
«Benefici all’Italia non ne ha dati. Dato il mio passato e la coscienza che ho sui rapporti di forza del mondo, io avrei firmato insieme agli altri Paesi europei. Noi dobbiamo lavorare con la Germania e con la Francia e con la Spagna perché questo è il blocco nostro.
Però anche qui il fariseismo è arrivato molto in fondo. Si accusa l’Italia di aver firmato ma nel 2020 — nell’intervallo fra Trump e Biden — l’Unione europea, cioè in quel caso la Germania, aveva preparato un protocollo con la Cina denominato Comprehensive Agreement on Investment che era molto più che la Via della seta. Appena è arrivato il nuovo presidente americano al potere, il protocollo è stato eliminato».
romano prodi a dimartedi 4
Washington mette in guardia l’Europa sugli investimenti cinesi nelle infrastrutture. I porti, le telecom di quinta generazione per l’Internet super veloce. Gli americani dicono che la penetrazione cinese minaccia la nostra sicurezza.
«Se dei qatarini o dei cinesi comprano delle ville in Sardegna o dei nostri porti, mica ce li portano via. Noi possiamo controllarli se abbiamo la testa per controllarli. Il buon andamento dell’economia della Grecia deriva dal fatto che il Pireo è diventato il porto più forte di rapporti con la Cina e con l’Est del Mediterraneo. Credo che dovesse essere un ruolo dei porti italiani. Invece sulle tecnologie e le imprese occorre prudenza perché entrano nella fascia della strategia».
(...)
Macron nel viaggio a Pechino ha parlato di autonomia strategica dell’Europa, di ridurre il ruolo del dollaro, si è spinto fino a dire che in un conflitto su Taiwan non ci sarebbero interessi vitali dell’Europa in gioco.
romano prodi a dimartedi 2
«La Francia da sola non può fare queste cose. Insieme a Macron c’era la Von der Leyen. Macron è stato ricevuto in aeroporto dal presidente Xi Jinping, lei da funzionari minori. Lui è stato trattato alla pari, lei no. Questo è un errore enorme perché Macron da solo non potrà mai raggiungere gli obiettivi che ha annunciato. Anzi, la guerra in Ucraina ha prodotto un cambiamento enorme. Adesso che cambia il bilancio militare tedesco, i rapporti di forza cambieranno. E Macron può diventare fortissimo solo se porta i suoi punti di forza (diritto di veto al Consiglio di sicurezza Onu e deterrenza nucleare) a livello europeo».
romano prodi foto di bacco (5) romano prodi foto di bacco (6)